MICHELANGELO BUONARROTI – VITA E LE PRIME OPERE

Creazione di Adamo

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LA VITA E LE PRIME OPERE DI MICHELANGELO

Dai marmi e dai colori di Michelangelo balza vivo l’uomo del Rinascimento. Michelangelo è senza dubbio la più alta figura d’artista del Rinascimento, è l’artista che con maggior potenza ed energia ha espresso la nuova concezione dell’uomo così come si era andata formando, tra lotte e contrasti, nella società italiana di quel tempo…, concezione attiva, eroica, vigorosa, che nell’uomo vedeva il centro di tutta la realtà, il protagonista della storia e della vita. Tutto l’interesse di Michelangelo infatti è rivolto unicamente all’uomo, senza distrazioni di sorta. Neppure il paesaggio lo interessa. E’ l’uomo che egli scolpisce o dipinge. Creatore di grandi caratteri, di personaggi accesi da profonde passioni, sconvolti da terribili drammi, o sollevati da nobili ideali…, tale è Michelangelo.
La sua arte si pone sotto il segno della nobiltà e della grandezza. Egli riassume nelle sue immagini il significato di una civiltà nuova, dirompente, dinamica, tormentata dallo sforzo di liberarsi di tutto ciò che le impedisce di avanzare, di agire, di affermare il suo dominio. Amore, odio, dolore, decisione, la varia ed intensa gamma dei sentimenti umani, potenziati sino alla loro più acuta tensione, nutrono le sue opere e vi infondono ora una sovrana calma, ora violenza, furore, impeto. Come Dante, Michelangelo possiede un’anima fiera, ferma nelle sue convinzioni, scontrosa e ricca di affetti ad un tempo. Egli vive nel culto dell’ideale classico della bellezza, tuttavia il suo classicismo, come del resto il classicismo di tutti i Maestri del Rinascimento, è pervaso dall’ispirazione dei tempi nuovi, è dilatato da una visione che ne risolleva le sorti in creazioni attuali, pregne di nuovi contenuti. Michelangelo cioè, non è mai appartenuto a quell’umanesimo sterile e retorico, aristocratico e vacuo, contro cui, con tanta veemenza, si scagliava anche Leonardo.

Egli è sempre stato un artista vivo, legato alla sua epoca in senso attivo, e se talora alcuni elementi di inquietudine mistica lo hanno agitato, non sono certamente questi a fornirci la chiave della sua personalità come qualche critico ha tentato di far credere. Giorgio Vasari (1511 – 1574) ne ha lasciato un vivacissimo ritratto nelle sue “Vite”… – “Fu di statura mediocre, nelle spalle largo, ma ben proporzionato con tutto il resto del corpo…, alle gambe portò, invecchiando, di continuo stivali di pelle di cane sopra lo ignudo i mesi interi, che quando poi gli voleva cavare nel tirarli ne veniva spesso la pelle… La faccia era ritonda, la fronte quadrata e spaziosa, le tempie spuntavano in fuori più delle orecchie assai… il corpo era piuttosto grande… il naso alquanto stiacciato… gli occhi piuttosto piccoli che no di color corneo… le ciglia con pochi peli… le labbra sottili, e quel di sotto più grossetto ed alquanto in fuori… la barba e capelli neri lunga non molto, e biforcata, e non molto folta…”.

Nacque a Caprese, nell’alta Val Tiberina, il 6 marzo 1475, da Ludovico Buonarroti Simoni, podestà del luogo, e da Francesca di Neri. Il primo aprile del 1488 entrò nella bottega di Domenico e Davide Ghirlandaio a Firenze e dopo qualche tempo incominciò a frequentare il Giardino Mediceo di San Marco dove studiò alla scuola dello scultore Bertoldo di Giovanni, discepolo di Donatello. Qui conosce i più dotti umanisti dell’epoca…, il Ficino, Pico della Mirandola, il Poliziano, oltre che, naturalmente, Lorenzo il Magnifico. Le sue prime manifestazioni plastiche stupiscono per l’originalità e la forza, come la “Madonna della Scala”, un bassorilievo che egli scolpì a sedici anni. In esso Michelangelo dimostra di avere già assimilato la lezione dei maestri che l’hanno preceduto e di essere già in grado d’arricchirla di nuove scoperte formali. Di questo periodo è anche un altro bassorilievo…, la “Zuffa dei Centauri”, un’opera in cui l’energia, lo scatto, la dinamica plastica di Michelangelo s’annunciano con sorprendente efficacia. Dopo la morte del Magnifico, nel 1492, Michelangelo lascia Firenze e, dopo un breve soggiorno a Venezia, si ferma a Bologna dove le opere di Jacopo della Quercia hanno su di lui una viva influenza. A Bologna scolpisce tre statuette, tra cui l’ “Angelo reggi-candelabro“.

La Pietà di Michelangelo in San Pietro in Vaticano

Tra il ’95 e il ’96 lo ritroviamo però a Firenze…, qui, per incarico di Pier Francesco de’ Medici, porta a termine un “San Giovannino” e un “Cupido dormiente”. Ma l’invito del Cardinale Riario lo inducono a partire per Roma. E’ il suo primo contatto con la città papale. Un banchiere, Jacopo Galli, gli commette un “Cupido” e un “Bacco”. La “Pietà di San Pietro”, ordinatagli dal Cardinale De la Groslaye de Villiers è come la conclusione di questo suo primo periodo di attività, in cui egli ha cercato d’impadronirsi dei mezzi stilistici propri degli antichi elaborando al tempo stesso un suo personale linguaggio figurativo. Altre sculture di questo periodo sono la “Madonna” detta di “Manchester” e i “Santi Pietro, Paolo, Pio e Gregorio” per la Cappella Piccolomini nel Duomo di Siena. Nello stesso anno, 1501, egli mette mano a uno dei suoi capolavori, il colossale “David” che fu collocato davanti a Palazzo Vecchio in Firenze tre anni dopo. A Firenze, dov‘è dunque tornato, Michelangelo dà inizio al secondo tempo della sua attività. E’ il momento in cui si cimenta anche con la pittura, eseguendo una “Sacra Famiglia”, comunemente designata come “Tondo Doni”, mirabile per rigore compositivo e per disegno. Ebbe anche un altro incarico pittorico… quello di affrescare, insieme a Leonardo, la Sala del Gran Consiglio in Palazzo Vecchio. Ma non riuscì a preparare che il cartone illustrante la “Battaglia di Cascina”, perché Papa Giulio II, nel marzo del 1505, lo chiamò urgentemente a Roma. Il cartone andò distrutto qualche anno dopo. I rapporti di Michelangelo con Giulio II non furono tra i più tranquilli. Il Papa voleva farsi erigere una tomba grandiosa, ma mutò spesso di parere circa il progetto, tanto che Michelangelo, infuriato, piantò Roma e se ne ritornò a Firenze. Ci volle del tempo prima che, per l’intervento di eminenti personalità, si decidesse alla pace con Giulio II. Quando tornò a Roma, invece della tomba, Giulio II gli ordinò di affrescare la Cappella Sistina. Per quattro anni egli lavorò, dal 1508 al 1512, anni di sforzo creativo impressionante oltre che di fatica fisica incredibile. Ma l’opera, tra urti ed ostacoli, fu portata a termine e resta senza dubbio una delle creazioni più grandi e potenti che genio umano abbia realizzato. Dopo la titanica impresa della Cappella Sistina (la sola volta è di metri 13 x 36), Michelangelo si dedica alla tomba di Giulio II, ridotta nel progetto e sistemata in San Pietro in Vincoli. Il “Mosè” la scultura che domina la tomba, gigante di marmo, potente e imperioso. Per questa tomba però Michelangelo aveva già preparato altre sei statue di “Prigioni”, statue allegoriche, di cui due si trovano oggi al Louvre di Parigi e quattro, allo stato di abbozzo, presso l’Accademia di Firenze. Queste opere sono, per me, le più belle e suggestive scolpite da Michelangelo. Così la “Cappella Medicea di San Lorenzo” in Firenze, i cui lavori furono iniziati nel 11520, è la sua grande opera successiva, architettonica e scultorea. Nel 1536 lo ritroviamo ancora a Roma dove, nella Cappella Sistina, dipinge l’affresco del “Giudizio Universale” (13,70 x 12,20). Ma il lavoro di Michelangelo si allarga. Solo la morte vi porrà termine. Progetti d’architettura, ancora affreschi, ancora statue…, Palazzo Farnese, la Cupola di San Pietro, i dipinti della Cappella Paolina, le ultime statue… la “Pietà di Palestrina”, la “Deposizione”, la “Pietà Rondanini“… un abbozzo forte e patetico, l’ultima opera del Maestro. Quanto fervore di opere! E insieme ai quadri, agli affreschi, alle statue, Michelangelo ci ha pure lasciato una serie di robusti, commossi, profondi sonetti in cui il suo travaglio spirituale e umano trova accenti di vera poesia. Il 18 febbraio 1564, nella piccola casa di Macel de’ Corvi, in Roma, Michelangelo muore, all’età di 89 anni.

 

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MICHELANGELO SCULTORE

“Tirai dal latte della mia balia gli scalpelli con cui fo le figure”. Per meglio comprendere il carattere dell’opera di Michelangelo, vale la pena di riportare qui alcuni pensieri che la grande scultrice russa Vera Mukhina (1889 – 1953) esprimeva in una sua conferenza… – “Nella “Creazione dell’Uomo” della Sistina, il creatore e l’opera sua non si distinguono né per le proporzioni né per la concezione. Tutti i personaggi michelangioleschi sono eroi o titani…, infatti il Maestro ha divinizzato l’uomo, e d’altronde è forse il solo che l’abbia fatto…”. All’epoca del Rinascimento i soggetti mitologici o biblici non erano che un pretesto per la creazione di immagini ed espressioni delle idee del tempo. La Bibbia e l’antichità sono utilizzate come un’immensa riserva di temi utili nelle più varie circostanze.. E’ interessante studiare l’evoluzione della tematica dell’arte classica. Due volte nella storia le arti plastiche ritornano alle forme classiche considerate come canoni infallibili. Sembrerebbe perciò che le copie dovessero assomigliare agli originali… niente di meno vero. Paragoniamo gli eroi dell’antichità greca a quelli del Rinascimento… l’arte classica è impregnata di sereno coraggio, di chiarezza di spirito, di perfezione armoniosa nelle forme e nei supporti. Con il Rinascimento le forme classiche ereditate dall’antichità si riempiono di energia, di forza tumultuosa. Ciò è dettato dallo spirito dell’epoca. E’ curioso osservare che i personaggi preferiti del Rinascimento sono i vincitori…, così il “Perseo” del Cellini, il “David” di Michelangelo, il “San Giorgio” di Donatello, il “Colleoni” del Verrocchio. Sino al Cristo del “Giudizio Universale” della Sistina, non c’è protagonista che non sia un giustiziere, vincitore del male. Quando invece perveniamo all’arte del pseudo classicismo (neoclassica), le cose cambiano radicalmente. Paragoniamo la tranquilla virilità di Policleto, la nobile eleganza di Prassitele, la possanza titanica di Michelangelo, alla sdolcinata leziosaggine dei personaggi, anche quelli maschili, di Canova, impregnato di romanticismo salottiero e di una graziosa mollezza. Un corpo preteso classico che alberga un’anima di un piccolo maestro del XVIII secolo…, il corpo dell’atleta destinato alle competizioni dell’Ellade classico o del Rinascimento è ormai dedicato alla sola Voluttà. L’aristocrazia dominante ci ha lasciato un’arte d’involuzione e di decadenza a sua immagine e somiglianza, sebbene rivestita di forma superficialmente realistiche. Questi concetti sono fondamentali per comprendere l’arte del Rinascimento e, in particolare, il vigoroso realismo di Michelangelo. Michelangelo si sentiva soprattutto scultore, anche quando dipingeva…, gli affreschi della Sistina ne sono un esempio… le figure, a furia di chiaroscuro, hanno un rilievo plastico di eccezionale evidenza, si staccano in rilievo dalla parete come se veramente fossero scolpite. Non per nulla amava ripetere da vecchio…

“Tirai dal latte della mia balia gli scalpelli che io fo le figure”.

Le statue eseguite per la Tomba di Giulio II insieme a quelle per le Tombe Medicee sono certamente le statue più forti e più belle create da Michelangelo. Il primitivo e grandioso progetto per il monumento sepolcrale a Giulio II non fu mai realizzato. Rimangono però alcune statue… i 6 “Prigioni” e il “Mosè”. Dei “Prigioni” due sono al Louvre e quattro alla Galleria dell’Accademia di Firenze. Questi ultimi sono rimasti incompiuti. Tuttavia sono senza dubbio tra le opere più suggestive di Michelangelo, perché in esse si vede come lavorava il sommo maestro, il processo del suo fervore creativo. Per Michelangelo infatti la scultura era un vero e proprio liberare dal marmo soverchio l’immagine già concepita della statua. E’ questo il senso preciso di una sua famosa quartina…

…”Non ha l’ottimo artista alcun concetto
che marmo solo in sé non circoscriva
col suo soverchio…, e solo a quello arriva
la mano che ubbidisce all’intelletto”.

Mosè (Michelangelo)

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I “Prigioni” sono vigorosi corpi di uomini che si divincolano e i loro gesti acquistano viva efficacia proprio per l’ingombro che alle parti finite dell’opera fa il marmo non ancora lavorato è come se questi nudi potenti volessero sciogliersi dalla materia che li imprigiona, simbolo della vita che dalla natura erompe attraverso una lotta energica e feconda. Di tutte le statue per la Tomba di Giulio II, che Michelangelo scolpì senza aiuto di allievi, solo il “Mosè” finì col fare parte del sepolcro sistemato in San Pietro in Vincoli. Il “Mosè” è un’opera di largo e semplice impianto… l’eroe biblico è seduto, ma si capisce che tra poco si leverà in piedi in tutta la sua alta statura…, il volto è corrucciato, gli occhi terribili… egli volge la testa minacciosa verso il suo popolo…, tiene la lunga barba fluente con una mano… maestosità, grandezza, contenuto furore spira da tutta la figura. Le due tombe a Giuliano e a Lorenzo de’ Medici furono erette nella Sacrestia Nuova di San Lorenzo, a Firenze, nel 1522. Si tratta di due monumenti di uguale composizione. Lorenzo e Giuliano sono seduti, in alto…, ai loro piedi stanno adagiate rispettivamente due statue allegoriche… l'”Aurora” e il “Crepuscolo” ai piedi di Lorenzo…, il “Giorno” e la “Notte” ai piedi di Giuliano. Lorenzo è in atto pensoso, la testa poggiata alla mano…, Giuliano in atto di sorgere…, due statue severe, solenni, di un rigore fermo, di una misura plastica superba. Ma è difficile dare l’idea della sommità dell’arte toccata da Michelangelo, con le quattro statue allegoriche… due nudi femminili e due nudi virili. Ecco il “Giorno” col volto lasciato grezzo e col corpo atletico, rilevato di muscoli…, ecco la “Notte” stanca, rilassata, la bellissima testa reclinata…, ecco il “Crepuscolo” con la faccia quasi nebbiosa, col corpo affaticato, e l’ “Aurora”, di una bellezza solida, giovanile, anche se una diffusa malinconia la pervade. Nella stessa cappella funeraria dei Medici si può ammirare un’altra grande opera di Michelangelo… “La Vergine col Bambino”, scultura di un’eccezionale arditezza per la positura data al bambino che, vorace, s’attacca alla mammella materna…, scultura ricca, mossa nel panneggio, nei contrasti chiaroscurali…, di perfezione ed ispirazione sublimi la dolce testa della madre. Le tre “Pietà”…, quella di Santa Maria del Fiore, quella di Palestrina e quella detta “Rondanini” concludono l’attività di Michelangelo scultore…, mirabili opere, in parte incompiute le due ultime. In esse Michelangelo esprime il dolore dell’uomo di fronte alla morte che distrugge ogni energia, che spegne la bellezza, che respinge nel nulla la vita.
Opere drammatiche dunque, in cui Michelangelo con libertà di invenzione e coraggiosa composizione coglie con acutezza la tragedia dell’uomo che muore. Nessun miglior commento a queste sculture che un pensiero di Michelangelo stesso … “Io sono tanto vecchio, che spesso la morte mi tira per la cappa, perché io vada seco…, e questa mia persona cascherà un dì come questa lucerna, e sarà spento il lume della mia vita”.

 

Il Giorno e la Notte (1526-1531)

 

MICHELANGELO PITTORE E ARCHITETTO

 

Michelangelo non si dichiarò mai pittore…, egli teneva ad essere considerato scultore…, che, per lui, la scultura era la prima e fondamentale tra le arti figurative…, “fiaccola della pittura” egli la chiamava. Eppure il suo primo tirocinio fu pittorico…, a quattordici anni, come già annotato all’inizio di questa pagina, era nello studio del mite Domenico Ghirlandaio. Vuole la tradizione che egli, all’insaputa del maestro ne correggesse i disegni e che, quando questi dipingeva in Santa Maria Novella, il ragazzo avesse aggiunto ai dipinti del maestro figure sue di tal bellezza che, il Ghirlandaio, geloso del suo straordinario allievo, per non avere in lui un domani un rivale, lo avesse indotto a darsi alla scultura. Nell’opinione che Michelangelo aveva di sé artista, essere solo scultore, possiamo trovare, in fondo, una profonda verità, nel senso che anche quando dipinse, egli rimase scultore, tanto sono plastiche, scultoree, le sue potenti figure e soprattutto gli “ignudi” di cui abbondano i suoi dipinti. Ciò sia detto specialmente per il “Diluvio universale”…, al punto che quando quest’opera di grandezza dantesca, nel 1512, fu scoperta, alla sbalordita ammirazione generale seguirono, mosse dall’invidia o dall’ignoranza, acerbe critiche per le nudità delle figure, che venivano dichiarate immorali, mentre esse non esprimevano che potenza e tragicità. Ma Paolo III non ascoltò le critiche e gli commise ancora due grandi quadri per la Cappella Paolina, la “Conversione di Paolo” e la “Crocifissione di Pietro”. Del periodo giovanile, e cioè del 1501 o 1506 è la prima pittura importante… la “Sacra Famiglia”, commissionatagli a Michelangelo da Angelo Doni. E’ un tondo dipinto a tempera, che ricorda molto le forme precise e scultoree delle figure di Luca Signorelli. I colori freddi e le cupe zone di ombra conferiscono a quest’opera un grande rilievo.

SACRA FAMIGLIA – TONDO DONI (1507)
Michelangelo (1475–1564)
Galleria degli Uffizi – Firenze
Tavola Ø cm. 120

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Nel 1505 Michelangelo lavora al cartone della battaglia di Cascina, per il Palazzo pubblico di Firenze. Questo cartone rimase esposto a lungo e servì quasi da scuola al Sansovino, al Cellini, Andrea del Sarto e perfino a Raffaello. Fu distrutto per invidia dal Bandinello, e a noi non sono tramandati che due frammenti. Per istigazione, pare del Bramante, che sperava vederlo sconfitto nel paragone con Raffaello, Giulio II gli affidò l’incarico di dipingere la cappella Sistina. Questa, a cui ho già accennato inizialmente, è l’opera più grande di Michelangelo e la più completa. Egli comincia il faticosissimo lavoro (il più delle volte doveva dipingere nelle posizioni più strane e più scomode) il 10 maggio 1508 e lo termina il 31 ottobre 1512. Nelle figure della Cappella Sistina Michelangelo riassume tutta la sua esperienza precedente…, lo studio del nudo energico e preciso si avvalora di un colore sobrio e potente. Solo con Michelangelo e appunto nelle figure della Cappella Sistina, la pittura raggiunge plasticità, cioè ha la medesima forza espressiva di una scultura… Questo è ottenuto con un disegno scattante che racchiude scorci dinamici, e con un colore vigoroso e sobrio allo stesso tempo. Nel 1536 Clemente VII ordina a Michelangelo il “Giudizio Universale”, che terminò nel 1541. Questa seconda gigantesca opera di Michelangelo contrasta molto con le pitture della volta. Mentre, infatti, le figure della volta della cappella sono delimitate e spiccanti, nelle loro singole sagome, nel “Giudizio Universale”, invece, si ha a prima vista un’impressione generale di masse di chiaroscuro. (Anche per quest’opera di Michelangelo le critiche furono durissime a causa delle nudità raffigurate e pochi compresero che in quel modo possente e vigoroso, intensamente plastico di raffigurare il corpo umano, si concentrava il senso dell’Incarnazione secondo il Vangelo di Giovanni … “La Parola di Dio si è fatta carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Solo in seguito l’ammirazione e il consenso furono totalmente unanimi).
DAVID di Michelangelo (1501-1504)
Galleria dell’Accademia, Firenze
Vedi qui file originale (Jörg Bittner Unna)

 

Anche nel campo dell’architettura spazia la grandezza di Michelangelo, che divide questo primato col Bramante. Alla serena, tipicamente classica, compostezza del suo grande rivale Michelangelo oppone la forza plastica, densa di movimento, che caratterizza la sua arte di scultore e di pittore. Nel 1516, per commissione di Leone X, eseguì il progetto per la facciata di San Lorenzo in Firenze, rimasto non realizzato per l’insofferenza del papa per il ritardo dell’opera, ma l’anno seguente, per commissione di Giulio de’ Medici (poi Clemente VII) cominciò la costruzione della “Sacrestia Nuova”, destinata a racchiudere le tombe dei Medici, rimase incompiuta, così come la “Biblioteca Laurenziana”, che fu condotta a termine dai suoi discepoli Giorgio Vasari e l’Ammannati, opera armoniosa e solenne nelle linee di magnifica semplicità. Nel 1547 il papa Paolo III nomina Michelangelo architetto della fabbrica di San Pietro ed a questo periodo appartengono le grandiose opere architettoniche della sua maturità e vecchiezza che dalla piazza del Campidoglio con i suoi tre palazzi, da Santa Maria degli Angeli e dal disegno di Porta Pia, culmina nell’abside e nella cupola di San Pietro il cui primo progetto era del Bramante. All’antico rivale egli rendeva omaggio e giustizia, così scrivendo al suo discepolo, l’Ammannati……

“È non si può negare che Bramante non fossi valente nell’architettura, quanto ogni altro che sia stato dagli antichi in qua. Lui pose la prima pianta di San Pietro, non piena di confusione, la chiara e schietta, luminosa e isolata atorno, in modo che non nuoceva a cosa nessuna del palazzo…, e come ancora è manifesto…, in modo che chiunque s’è discostato da detto ordine di Bramante, come ha fatto il Sangallo, s’è discostato dalla verità”.

Michelangelo non se ne discostò ma le dette l’impronta immortale del suo genio.

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