Vincent Van Gogh – Vita e opere

IL TORMENTO NELLA PITTURA

 

“Un artista è sempre un fallito”…ha affermato il grande scrittore americano William Faulkner poco prima di morire. E questa scandalosa dichiarazione voleva esprimere una verità secondo lui indiscutibile… proprio il grado di fallimento ci dà la “misura” per giudicare un artista, sia esso poeta, pittore o musicista.
Non discuto qui la veridicità di questa affermazione, mi limito ad ammettere che l’olandese Vincent Van Gogh è l’esempio più suggestivo di tale teoria.
Infatti la sua vita non fu che una continua e clamorosa successione di fallimenti, che lo bruciarono anzitempo nel corpo e nello spirito. Il genio non fu riconosciuto e ammirato che dopo la tragica morte, avvenuta nel 1890, quando il pittore aveva 37 anni.
Ma anche allora il cammino dell’arte di Van Gogh non fu né agevole né lineare.
Occorsero anni e anni perché la gente lo capisse e accettasse il suo modo di dipingere così fuori delle regole, così personale, così “alluvionato”.
In realtà, Van Gogh chiedeva alla pittura una cosa impossibile… svelare il mistero che c’è dietro l’apparenza delle cose, dire attraverso i colori la furia delle nostre passioni, “fissare” il dolore del mondo.
Di lui, come del suo connazionale Rembrandt, si può dire che quando si poneva davanti allo specchio per dipingere il proprio autoritratto, lo faceva con rabbia, con disperazione, perché cercava di individuare nell’unità delle forme del volto nientemeno che la parte di Dio e la parte dell’uomo… una cosa semplicemente irraggiungibile.

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VASO CON IRIS (1890)
Vincent Van Gogh (1853-1890)
Rijkmuseum Vincent Van Gogh – Amsterdam
Olio su tela cm. 92 x 73,5

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IL MISTERO DELLE DUE ANIME

Vincent Van Gogh nacque il 30 marzo 1853 a Groot-Zundert, un villaggio posto sulla strada che unisce Breda ad Aversa, vicino al confine tra l’Olanda e il vicino Belgio. La sua venuta al mondo venne esattamente un anno dopo il giorno in cui suo padre, il pastore protestante Theodorus Van Gogh, pianse il figlio primogenito, non sopravvissuto al “travaglio della nascita”.
La strana coincidenza non sfuggì alla nonna paterna, la quale prese in disparte il figlio e gli sussurrò -“Ho paura per questo bambino. Oggi, fa un anno che piangiamo la disgrazia, ricordi? Io temo ch’egli sia nato con due anime… la sua vita e quella dell’altro”.
“Ma che dici – protestò Theodorus – Nemmeno per scherzo dovresti accennare a una superstizione così mostruosa.
Nessuna creatura umana può albergare in sé due anime immortali !”
“Eppure…” mormorò la vecchia, poco convinta.

Forse la stessa cosa pensò anche Theodorus Van Gogh, mentre guardava compiaciuto quel tenero frutto del suo sangue che si agitava nella culla. La paternità lo rendeva orgoglioso, gli addolciva il fiero carattere puritano, che faceva di lui un pastore più incline al rimprovero che alla carità. Theodorus sperava grandi cose dal piccolo Vincent. Ma la sua aspettativa andò in massima delusa. Il bambino crebbe scontroso, lunatico, pieno di tenerezze improvvise e di ribellioni tanto violente quanto ingiustificate. Un giorno, rispondendo a un rimprovero della madre, esclamò… “Mamma, io ho nella testa tante cose che voi non potete capire” Sua madre lo guardò male e divenne ancora più severa con lui.
Questa donna solitamente dolce e affettuosa aveva i nervi a fior di pelle e scattava appena si sentiva contraddetta. Inoltre, non riusciva a perdonare al figlio di aver preso nella vita il posto dell’altro, il vero primogenito, colui che solo avrebbe dovuto portare il nome di Vincent.

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AUTORITRATTO CON CAPPELLO DI FELTRO (1887)
Vincent Van Gogh (1853-1890)
Rijksmuseum di Amsterdam
Olio su tela cm. 44 x 37,5

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LA PRIMA DELUSIONE D’AMORE

I rimproveri della madre, che a ogni piccola marachella lo redarguiva aspramente, rinfacciandogli che il vero Vincent non si sarebbe comportato così, che non le avrebbe piantato una simile spina nel cuore, riempirono tutta l’infanzia di Van Gogh e tesero un velo nero su quelli che avrebbero dovuto essere i suoi giorni più spensierati. Ma Vincent non sopportava di essere ritenuto dalla madre poco meno che un figlio sbagliato. Egli reagiva a modo suo, cercando la solitudine e non ammettendo accanto a sé che il fratellino Thèo, nato quattro anni dopo di lui, il primo maggio 1857.
A Thèo , Vincent teneva lunghi discorsi, di cui l’altro non capiva quasi nulla.
Del resto, ciò non aveva alcuna importanza per il futuro pittore.
Egli voleva solo un ascoltatore, un testimone muto dei suoi monologhi, uno al quale poter dire all’improvviso… “Và via, adesso, non ti voglio più vedere”
. E Thèo infatti obbediva subito, senza porre domande, proprio come in seguito obbedirà sempre ai capricci di Vincent.
La situazione del ragazzo, tuttavia, diventa insostenibile in casa. La madre non gli dà tregua e il padre si andava sempre più convincendo che egli non avrebbe mai concluso nulla di buono. Perciò, appena il figliolo compì sedici anni, Theodorus Van Gogh se ne “liberò”, facendolo assumere dalla galleria d’arte Goupil di Parigi, che lo destinò alla succursale dell’Aja e poi a quella di Bruxelles.
Ecco dunque Vincent, che fino a quel momento non aveva mostrato alcuna particolare inclinazione, avviato a diventare mercante d’arte. Avrebbe potuto essere una buona carriera, se egli non fosse stato così scopertamente incapace di tener conto degli interessi della galleria.
Comunque, l’arte lo attraeva e, sia pur disordinatamente, egli si fece una “cultura” in materia di quadri. Ma ciò gli serviva soltanto per polemizzare con i clienti e accusarli di preferire “croste” a opere di autentico valore.
A Bruxelles cercarono di capire perché egli agisse in quel modo pazzesco, ma poi, stanchi delle stravaganze di quel commesso, decisero di disfarsene, trasferendolo alla succursale di Londra. Vincent sbarcò sulle rive del Tamigi con la testa piena delle gesta dei personaggi di Dickens, uno scrittore che aveva imparato ad amare. Questa volta riuscì a non combinare troppi disastri nella galleria, perché trascurò i clienti per tuffarsi nei quartieri popolari della città, dove l’estrema miseria della gente lo affascinava e sgomentava nello stesso tempo. Infine dimenticò anche i poveri, per delirare d’amore ai piedi di una ragazza, Ursula Loyer, figlia della donna che gli aveva affittato una camera.
Con parole spiritate e folli, Vincent convinse Ursula a fare qualche passeggiata romantica con lui, le giurò che si sarebbe ucciso se lei non gli avesse corrisposto, le promise come cosa certa la più grande felicità del mondo. Che cosa ottenne?
La spaventò al punto da distruggere quel poco di simpatia che pur era riuscito a suscitare nel cuore di lei. E Ursula lo mise alla porta, gli gridò in faccia che non poteva più delle sue pazzie, che mai e poi mai lo avrebbe amato, che qualsiasi giovane londinese era mille volte meglio di lui.
Per Vincent fu una delusione tremenda, un colpo che gli aprì una ferita cocente nell’anima.
Di quello che avrebbe potuto essere un piccolo dramma giovanile, egli fece una tragedia enorme, chiamò l’universo intero a testimone dell’ingiustizia che gli veniva arrecata, credette di veder sprofondare il proprio cervello negli abissi della follia. I Goupil, che in fondo avevano compassione di quel loro sconosciuto impiegato, tentarono di salvarlo da quella catastrofe spirituale trasferendolo alla sede centrale di Parigi. Ma quando si accorsero che il rendimento del giovane era quasi nullo, persero la pazienza e lo licenziarono.

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CONTADINI IN SIESTA (1890)
Vincent Van Gogh (1853 – 1890)
Museo d’Orsey – Parigi
Tela cm. 72 x 92

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L’INFERNO DEI MINATORI

Sette anni durò l’esperienza di Vincent nel mondo dei mercanti d’arte… sette anni che egli giustamente considerò perduti. Ma non se ne rammaricava, perchè intanto una nuova passione era esplosa in lui.. la “passione” per la Bibbia.
Leggeva quotidianamente il gran libro e si convinse di essere chiamato a compiere una missione di cui nessun altro essere umano sarebbe stato capace.
Finalmente suo padre gli diede ilo consenso di seguire la sua nuova vocazione ed egli si recò ad Amsterdam per sostenervi gli esami d’ammissione al seminario di teologia. Vincent voleva fare bella figura ad ogni costo.
Per questo studiò come un forsennato, senza concedersi un minuto di tregua. A volte, dopo ore e ore trascorse sui libri, sentiva di avere il cervello in fiamme, ma non desisteva.
Era per lui un punto d’onore dimostrare ai familiari di non essere un perdigiorno, incapace di applicarsi seriamente. Il 22 luglio 1878 ha luogo la prova, Vincent vi arriva esaurito dal troppo studio e il suo esame si conclude con un fallimento clamoroso. E’ respinto senza remissione e vede così troncata ogni sua speranza di diventare pastore. Significa che dovrà rinunciare per sempre alla sua “follia mistica” ? Neanche per sogno. Dopo aver frequentato un corso di tre mesi presso una scuola evangelica di Bruxelles, ottiene di partire per il Borinage come “predicatore volontario”.
Il Borinage è una regione poverissima, un inferno… l’inferno dei minatori.
Quando vi arriva, Vincent rimane senza fiato per lo stupore. Non credeva che sulla terra potesse esistere una miseria così assoluta, così squallida. Guardandosi intorno, egli si vergognava dei suoi abiti puliti e delle poche comodità di cui usufruisce. Il fatto di essere nato e vissuto in un ambiente piuttosto agiato gli appare come una colpa della quale deve chiedere perdono a Dio. Ma con le opere, non con le chiacchiere… , perciò si priva di tutto, persino del vestito che indossa, e inizia la sua missione. seguono mesi terribili, di lavoro e di angoscia. Vincent si concede un solo vizio, il tabacco.
Per il resto si priva di tutto, persino del pane quotidiano. Vuol essere il più povero dei poveri che lo circondano, il “pazzo” di dio.
Ma agendo in questo modo compromette gravemente la propria salute, già piuttosto cagionevole. Ha i nervi agitati dall’insonnia e il suo cervello è addirittura sconvolto da continue allucinazioni. Tuttavia non vuole arrendersi.
Un giorno il padre, avvertito dello stato in cui egli è precipitato.
Lo riporta a casa, lo fa curare, lo strappa letteralmente alla morte.

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CAMPO VERDE DI GRANO (1889)
Vincent Van Gogh (1853-1890)
Narodni Galerie – Praga
Olio su tela cm. 73,5 x 92,5

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I COLORI DELLA MISERIA

Il destino di Van Gogh è la solitudine, il tormento.
Appena si è rimesso dalla terribile avventura del Borinage, si innamora di una cugina, già vedova e madre di un figlio. Le dichiara il suo amore ma viene respinto.
Il dramma della ragazza di Londra si ripete. I familiari che non sanno più a quale partito votarsi, tengono una riunione per decidere come “incanalare” finalmente nella vita il giovane Vincent e stabiliscono di affidarlo al cugino Mauve, che fa il pittore all’Aja. Questi offre ospitalità nella sua casa al “vagabondo del Borinage” e s’impegna a “raddrizzarlo”. Ma tutti i suoi buoni propositi vanno presto in fumo.
Vincent considera Mauve un volgare imbrattatele e u giorno pianta in asso lui e la sua famiglia per andare a vivere con una donna di facili costumi, Christine, madre di una bambina e in attesa di un altro figlio. Venti mesi dura la relazione tra i due. Poi interviene Thèo, il quale convince il fratello a staccarsi dalla sua compagna. Vincent obbedisce, ma inizia un periodo di vita scioperata. E’ durante questo periodo che si verificano due episodi in diverso modo significativi… per la prima volta Van Gogh affronta la tela come un vero pittore, cimentandosi nei dipinti ad olio…, e per la prima volta e unica volta in tutta la sua esistenza riceve una “ordinazione”… dodici disegni a penna.
I colori che Vincent adopera con la mano che gli trema sono i grigi, “oscuri”, privi di gioia. Sono i “colori della miseria”, della polvere di carbone che vela paesi e figure del Borinage.

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NOTTE STELLATA – Vincent Van Gogh – 1889 
New York, The Museum of Modern Art
Olio su tela cm 72 x 92

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LA FUGA INCONTRO AL SOLE

A questo punto, imprevista, si apre una parentesi felice nella vita di Van Gogh.
Tornato dal padre, che è stato nominato pastore nel presbiterio di Neunen, egli accende d’amore una vicina non bella ma sensibile e dolce… Margot.
Non ricambia di uguale intensità la passione amorosa di Margot, ma sposerebbe volentieri la ragazza se i parenti di lei glielo permettessero.
Questi, invece, considerandolo una “nullità eccentrica e sgradevole”, lo respingono bruscamente, causando così una tragedia. Margot infatti tenta il suicidio e finisce all’ospedale. Vincent va a trovarla, ha per lei buone e affettuose parole di conforto, ma poi scompare definitivamente dalla sua vita. Per lui, purtroppo, non c’è pace a questo mondo… , la nonna paterna aveva ragione a temere per lui un destino infelice. Convito che la solitudine sia d’ora in poi la sua unica compagna, Van Gogh decide di recarsi a Parigi, dove si era stabilito, da qualche tempo, l’amato fratello Thèo.
Così, sul declinare dell’inverno del 1886 egli approda a Montmartre.
Ha le scarpe rotte, i vestiti a brandelli, ma gli occhi gli brillano di una luce che affascina e fa paura insieme. Chi lo incontra ne rimane colpito e capisce d’istinto che non si tratta del solito vagabondo.
Rosso di capelli e di barba, “Vincent l’olandese”, come lo chiamano gli artisti di Montmartre, si distingue subito. Ora, improvvisamente, è stanco dei colori della miseria. Cerca un’evasione nella luce, si è innamorato del sole.
Ma nessuno vuole i suoi quadri ed egli è costretto a vivere della carità del fratello Thèo, il quale, benché minore di età, lo tratta come un padre indulgente.

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NATURA MORTA CON GIRASOLI (1888) Vincent Van Gogh
National Gallery – Londra
Neo-impressionismo
Tela cm. 95 x 73

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IL FUOCO DEI GIRASOLI 

Vincent (così, col solo nome, egli firma i suoi quadri) è pervenuto alla pittura attraverso una serie di “illuminazioni folgoranti, non per un processo naturale di approfondimento interiore. Perciò, in mezzo a tanti artisti tecnicamente e culturalmente più agguerriti di lui, fa la figura del “sauvage”, dell’autodidatta. Ma il fuoco che gli brucia l’anima e il cervello si attacca anche a chi non lo capisce o lo fraintende. E parecchi cominciano a guardarlo con simpatia, cercano di dargli dei buoni consigli, di aiutarlo a comprendersi, affinché il genio che è in lui esploda.
Oltre duecento opere sono il risultato del soggiorno di Vincent a Parigi… duecento dipinti tra i quali molto capolavori. Essi però pesano sulla vita del pittore come altrettanti fallimenti, perché i critici li ignorano, e non ci sono acquirenti.
Quando la febbre della creazione non lo assale, facendogli dimenticare ogni altra cosa, Vincent è preso da gravi crisi di sconforto. Allora corre da Thèo come un bambino deluso e gli parla per ore e ore, impedendogli perfino il sonno.
E se il fratello chiude gli occhi, vinto dalla stanchezza, diventa furioso, lo insulta, lo minaccia, salvo poi chiedergli perdono con le lacrime agli occhi.
Sono scene pietose che a poco a poco avvelenano i rapporti tra i due fratelli.
Oh… se solo gli acquistassero qualche quadro! Il problema sarebbe risolto. Coi soldi ricavati egli compenserebbe Thèo della sua generosità e si cercherebbe un posto tranquillo per dipingere e condurre un’esistenza libera, di cui non render conto a nessuno.
Ma Parigi continua a essere avara di riconoscimenti per questo suo sconcertante ospite, che trova comprensione solo tra gli artisti, e in particolare in Paul Gauguin, un impiegato che, preso dal furore della pittura, ha abbandonato moglie e figli per dedicarsi all’arte.
Eppure Vincent sente che deve uscire ad ogni costo dalla situazione che si è venuta creando a poco a poco. Il 20 febbraio 1888, bruscamente, rompe gli indugi e parte per il mezzogiorno della Francia, seguendo il consiglio che gli ha dato un altro pittore, Toulouse-Lautrec, il quale gli ha detto con voce enfatica…
“L’avvenire della pittura è nel sud”.
Ed è vero, almeno per Vincent Van Gogh. Quest’uomo ormai irrimediabilmente minato dalla follia, questo artista che usa i colori come brandelli della propria anima lanciata alla conquista del segreto ultimo e più profondo della vita, della natura, di Dio, scopre nel sud, simboleggiato dal giallo avvampante dei girasoli, quel paesaggio che oscuramente aveva cercato da sempre.

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CAMERA DA LETTO (1888)
Vincent Van Gogh (1853 – 1890)
Rijksmuseum Vincent Van Gogh
Tela cm. 72 x 90

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I CORVI NEL PETTO

Ad Arles, dove ha fissato la sua dimora, Vincent si fa raggiungere da Gauguin e vive con lui giorni esaltanti e tempestosi.
Oltre all’amore per la pittura, i due non hanno niente in comune, e per giunta il “rosso olandese” ha il genio di litigare proprio con le persone che più gli stanno a cuore. Con Gauguin, Vincent arriva fin sull’orlo del delitto. Durante una furiosa discussione, aggredisce l’amico col coltello e solo per poco manca il colpo. Poi, pentito e disperato, decide di punirsi e rivolge l’arma contro se stesso, tagliandosi netto un orecchio. I vicini di casa inorridiscono e lo denunciano come pazzo. Arriva il fratello Thèo e Vincent accetta di farsi ricoverare nel manicomio di Saint-Rèmy. Adesso egli trema come un bambino quando sente arrivare gli accessi della follia e invoca degli infermieri e dei medici perché gli impediscano di fare del male a se stesso o agli altri. Tuttavia non smette di lavorare.
Quando il male gli dà tregua, afferra i pennelli e dipinge con la furia di chi sa di avere i giorni contati. Il colore che “squilla” nei suoi quadri è il giallo…, il colore che per lui è il simbolo del messaggio d’amore che intende gridare agli uomini, perché lo raccolgano e ne facciano un’arma per sconfiggere l’infinita miseria che oscura il mondo.
Durante una pausa di relativa tranquillità, Vincent si reca a Parigi, dove Thèo è diventato padre di un bambino cui ha dato il suo nome. Commosso, Van Gogh reca in dono al nipotino nientemeno che un nido di rondini. Thèo, dal canto suo, viene incontro al fratello togliendolo dal manicomio e alloggiandolo presso il dottor Gachet, a Auvers-sur-Oise. E qui, nella casa di un uomo generoso, amico di pittori e pittore egli stesso, si conclude tragicamente la vita tormentata di Van Gogh.
Un pomeriggio che il medico non è in casa, Vincent guarda incantato le messi di un bel giallo dorato, il “suo” giallo, e scopre che schiere di corvi vi svolazzano sopra. E’ la scena che pochi giorni prima egli ha dipinto in un quadro.
Ma quei corvi lo disturbano, guastano l’armonia del paesaggio. Che fare per scacciarli? Vincent prende una pistola ed esce, dicendo che va a sparare a quegli uccellacci. Nessuno lo ferma ed egli si avvia tranquillo tra le messi Ad un certo momento alza il braccio e punta la pistola verso il cielo, poi di colpo si arresta. Non è contro l’azzurro che deve sparare. I corvi veri, neri come il peccato, sono dentro di lui, proprio in mezzo al petto, dove pare che si sia formato un globo di fuoco.
E’ da essi che deve liberare la campagna, il mondo….
E’ un attimo. Una rivelazione folgorante. Ora Vincent sorride. Ha capito dove sta il male, finalmente. Abbassa il braccio, punta la canna della pistola sul proprio petto, fa fuoco. Il colpo, improvviso, rintrona tra le messi, mette realmente in fuga i corvi, ma Vincent non li guarda. Intorno a sé ora vede solo i girasoli, tanti smaglianti girasoli….
Quando Thèo arriva da Parigi, Vincent è nel letto, che aspetta la morte. Accanto a lui è il dottor Gachet, disperato.
Egli dice che la ferita in se stessa non è grave e che se solo Vincent avesse voglia di vivere, forse ci sarebbe qualche speranza.
Ma Vincent non desiderava più vivere. La sua storia è finita. Le due anime che egli portava con sé, come una maledizione, hanno finito di combattersi. Afferra la mano del fratello e mormorava con voce dolce e rassegnata…
“La miseria non finirà mai”. E chiude gli occhi, per sempre.
E’ il 29 luglio del 1890.
Così Van Gogh abbandonava la terra… , lasciava un patrimonio di opere che un giorno sarebbero state disputate a base do milioni, ma che allora nessuno voleva.
Tuttavia, già una voce si era levata per annunciare al mondo che il lungo “esilio” di Vincent Van Gogh stava per avere termine… , a Parigi il giovane poeta Albert Aurier aveva scritto un articolo per sostenere che il “folle dei girasoli” era un grande pittore, era l’iniziatore di una forma d’arte nuova destinata ad imporsi nel futuro.

Trentasette anni… dal 1853 al 1890…, un percorso in cui sono impresse le impronte di un uomo… un passaggio di un uomo dall’esistenza breve ma folgorante, una delle più straordinarie del nostro tempo. Straordinaria per la complessità del suo dramma interiore. Trentasette anni, la metà dei quali fu una ricerca tragica in cui si fondono la fede e l’orgoglio, l’umiltà, la sofferenza morale e fisica, il desiderio dell’apostolato e la volontà dell’artista, anni di ricerca e di lotte, al termine dei quali l’esperienza, di cui Van Gogh fu in qualche modo la “cavia”, raggiunge un campo che, in effetti, non è più il nostro. Poiché attraverso il pittore, il malato, si scopre sempre l’uomo.
Per le sue stesse contraddizioni, per un carattere fatto, sembra, di aspetti non solo differenti ma opposti, i cui contrasti danno l’impressione che molteplici esseri convivano in Vincent, ispirandogli di volta in volta la sua violenza e la sua tenerezza, la sua rivolta e la sua fede, la sua umiltà e la sua indipendenza, la sua inquietudine e le sue esaltazioni. La lotta non era solo con la società, con l’arte, con Dio.., era dapprima in Vincent stesso.

Era la lotta più intensa, la più lacerante, poiché nessun uomo fu più sincero.

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Albicocchi in fiore (1888)
Vincent Van Gogh
Museum, Amsterdam
Olio su tela cm 65,5 x 80,5

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