ODISSEA – Riassunto e commento 10° libro

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ODISSEA

I LESTRIGONI
L’ISOLA DI EEA
GLI INCANTESIMI DI CIRCE
L’AIUTO DI MERCURIO
ULISSE E CIRCE
IL SOGGIORNO NELL’ISOLA

LIBRO X

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Tempo: Trentatreesimo giorno dall’inizio del poema. Azione raccontata ad Alcinoo

Luoghi dell’azione raccontata: Isola di Eolo, paese dei Lestrigoni, di Eea, reggia di Circe.

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NEL LIBRO PRECEDENTE

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Ulisse inizia il racconto delle sue avventure. Partiti da Troia sbarcano al paese dei Ciconi, che depredano, perdendo tuttavia, alla fine, sei compagni per nave. Da una tempesta sono quindi sbattuti alla terra dei Lotofagi, dove l’eroe imbarca di nuovo i compagni, presi dall’oblio della patria, per aver gustato il loto. Sono quindi in vista del paese dei Ciclopi; Ulisse, lasciati gli altri all’isola delle Capre, con una nave e pochi compagni va alla spelonca di Polifemo per conoscere il mostro; ma l’accoglienza è feroce: due compagni sono sbranati e poi altri quattro. L’eroe medita la vendetta: acceca, infine, il gigante con un palo acuminato e quindi riesce a sfuggirgli con un’astuzia, sfidando ancora, la ferocia di Polifemo, mentre sta salpando ed evitando a stento i massi ch’egli getta alla cieca nel mare. Ulisse ritorna cosi all’isola delle Capre, donde riparte alla volta di Itaca.
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Partito dall’isola delle Capre Ulisse sbarca nell’isola di Eolia, residenza del Dio dei venti Eolo, che lo ospita cortesemente nella sua reggia per un mese.
L’itacese chiede quindi congedo ed Eolo, tra l’altro, gli fa dono di un otre, che egli stesso lega al fondo dell’imbarcazione, il quale contiene tutti i venti tempestosi; il solo Zefiro non c’è, perché dovrà spingere la nave verso Itaca.
Ulisse, dopo nove giorni di felice navigazione, quando già la sua isola è in vista, disgraziatamente s’addormenta e i compagni, ignari del contenuto dell’otre, approfittano per aprirlo e impadronirsi dei presunti tesori d’oro e d’argento. Cosi i venti si scatenano e volano alla loro isola, conducendo seco anche la nave.
Ulisse, abbattuto ed umiliato chiede nuovamente ospitalità ad Eolo, ma questi, ritenendolo un malvagio in odio agli Dei, lo scaccia.
Dopo sei giorni e sei notti Ulisse giunge alla regione dei Lestrigoni, una terra dove le notti sono brevissime. Undici navi entrano nel porto della città di Telèpilo e Ulisse si àncora con la sua ad uno scoglio dall’alto del quale scorge in lontananza un fil di fumo. Egli manda allora in perlustrazione tre compagni, che s’imbattono nella figlia di Antifate, il re del luogo, la quale tosto li accompagna alla reggia. Ivi essi inorridiscono dinanzi alla regina, una gigantesca donna che mette spavento, mentre il suo degno consorte, afferrato uno dei tre malcapitati, lo divora.
Sbucano fuori intanto altri Lestrigoni, che distruggono con macigni le navi e a stento Ulisse riesce a salvarsi con la sua imbarcazione e quarantacinque compagni.
I superstiti approdano quindi all’isola di Eea, riposano per due giorni e nel terzo giorno Ulisse scorge in lontananza un tetto che fuma, entro un bosco di querce. Dopo aver abbattuto un cervo e abbondantemente banchettato l’eroe divide i suoi uomini in due schiere capeggiate da Euriloco e da lui stesso. Si tratta di esplorare la terra e la sorte affida il compito alla schiera guidata da Euriloco.
Vanno dunque i prescelti in perlustrazione e trovano la dimora di Circe, che cantando sta tessendo al telaio; la chiamano e quella, dopo averli invitati ad entrare, offre loro del vino mescolato a latte rappreso, farina, miele e a un particolare succo misterioso; quindi li tocca con una verga e tutti divengono porci. Tutti salvo Euriloco, che non ha accolto l’invito e che, spaventatissimo, ritorna alla nave per avvertire dell’accaduto.
Tosto Ulisse si avvia al palazzo di Circe, da solo, giacché Euriloco non vuole accompagnarlo e incontrato per istrada Mercurio, sotto l’aspetto di un giovinetto, ne riceve l’erba moli, buona per annullare gli incantesimi, e le istruzioni per ammansire Circe.
La maga Io accoglie cortesemente, gli propina in un nappo d’oro la bevanda incantatrice e lo tocca con la verga fatata. Ma l’eroe, immune da incantesimi, le si scaglia addosso con la spada sguainata, finché ella gli giura solennemente che non gli nuocerà più e gli offre il suo amore. Ulisse accetta di fare un bagno, ma non toccherà cibo se la maga non avrà prima ridato forma umana ai suoi compagni, per cui, tratti dalla stalla gli uomini-porci ed untili con un unguento, Circe ridà loro aspetto di uomini e li rende più belli di prima.
Quindi Ulisse, per esortazione della stessa maga, si reca alla nave e conduce al palazzo gli altri compagni ed anche Euriloco, che si lascia persuadere solo con le minacce.
La gradita ospitalità dura un anno intero, finché i compagni, punti da nostalgia per la patria, inducono Ulisse a prendere congedo. Circe non si oppone, ma lo avverte che dovrà prima recarsi all’Ade, per interrogare l’ombra dell’indovino Tiresia sulle sue vicende future e gli dà consigli sul da farsi e sulla via da seguire.
All’alba avviene la partenza; manca tuttavia Elpenore che salito sul tetto della casa ubriaco, in cerca di un po’ di fresco e svegliatosi improvvisamente ai richiami di Ulisse, era precipitato uccidendosi.
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COMMENTO – È il libro dell’avventura; non libro di grande poesia, specie nella prima parte, quella che si riferisce al soggiorno nell’isola di Eolo e alla disgraziata visita alla terra dei Lestrigoni.
A questi due episodi segue quello di Circe, anch’esso vagamente fantastico e, poeticamente, il più valido.
II canto s’apre con la bella fiaba di Eolo, il re dei venti, signore di un’isola irreale, natante sulla superficie del mare, isola tranquilla e festosa, dove la gioia non conosce tramonto se non quando la notte porta un riposo altrettanto soave.
Da quell’isola, dopo un mese di felice soggiorno, Ulisse ed i suoi puntano direttamente su Itaca; già la terra amata e selvaggia si profila all’orizzonte, quando un malaugurato sonno del capo, che per nove giorni non ha lasciato il timone, permette ai compagni di Ulisse di soddisfare la loro insana curiosità che scatena, attraverso l’otre dei venti scoperchiato, una nuova bufera.
Secondo episodio: i Lestrigoni. Omero ricalca quasi i motivi del grande canto precedente, quello di Polifemo. La situazione è press’a poco la stessa, ma l’ispirazione tradisce il poeta. II drammatico lascia il posto al farsesco. Non solo sei compagni, come nell’antro del mostro monocolo, ma molti, molti di più muoiono infilzati dalle lance dei Lestrigoni o schiacciati, insieme con undici navi, sotto i loro macigni. Ma la tragedia sconfina nell’umorismo, anche se la narrazione riesce sempre felice e disinvolta.
Infine l’episodio di Circe. Già la scena, non appena Ulisse mette piede nell’isola, è greve di mistero: un’isola apparentemente deserta con un fiI di fumo, quasi impercettibile, che si eleva al cielo in lontananza, da una selva di annose querce.
E questa atmosfera di mistero e di magia dura per tutto il resto del canto, quasi sino alla fine, quando, rotto l’incantesimo, nasce l’idillio e la maga Circe dalla verga fatata e dai beveraggi incantatori diventa la donna dolce e affettuosa e prodiga con Ulisse e con i suoi.
Ulisse e i suoi. Schiera anonima di compagni della quale due soli nomi emergono sugli altri e si pongono in luce: lo spaventatissimo, prudente e sospettoso Euriloco che accostato ad Ulisse fa per contrasto risaltare l’intrepidezza risoluta e sagace dell’eroe; e lo sborniato Elpenore che trova il suo attimo di gloria in una ingloriosa e direi quasi comica morte, giù a precipizio dal tetto, scordatosi della scala.
Finisce anche la gioiosa dimora nell’isola felice: ancora una donna che sospira per l’eroe senza pace, che il Destino chiama nei regni d’Ade. E l’avventura continua.
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