ODISSEA – Riassunto e commento 3° libro

ODISSEA

NESTORE RACCONTA
LA PARTENZA PER SPARTA

LIBRO III
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Tempo: Notte sul terzo giorno; quarto e quinto giorno fino a sera.
Luoghi dell’azione: Mare Egeo, Pilo, tragitto da Pilo a Sparta (Fera), Sparta

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NEL LIBRO PRECEDENTE

Al mattino Telemaco, convocata l’assemblea, denuncia agli Itacesi i soprusi dei Proci, i quali per bocca di Antinoo ritorcono le accuse su Penelope, che da tre anni li inganna con lo stratagemma della tela. Il giovane tuttavia difende la madre ed invoca sui Proci la maledizione degli Dei. L’indovino Aliterse interpreta funestamente per i Proci l’apparizione di due aquile in lotta tra di loro, ma Eurimaco lo fa tacere, minacciandolo. Telemaco chiede invano una nave per recarsi in cerca del padre; l’assemblea si scioglie ed il giovane, sulla riva del mare, invoca Minerva che prontamente gli appare assicurandogli il suo aiuto. Difatti, mentre Telemaco fa i preparativi per la partenza, ella gli appresta nave e rematori e quindi, sotto le spoglie di Mentore, s’imbarca con lui; il vento sospinge quindi propizio la nave verso Pilo.
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È l’alba quando la nave giunge a Pilo, dove sulla spiaggia Nestore e i suoi stanno celebrando un grande sacrificio a Nettuno; i due ospiti, amabilmente accolti, vengono invitati a sedere a mensa e a partecipare alla sacra libagione.
Finito il pranzo, su richiesta di Nestore, il giovane Telemaco dichiara di essere figlio di Ulisse e di aver compiuto quel viaggio per avere notizie di suo padre. Il vecchio re, commosso, ha parole di stima per l’eroe itacese, del quale tuttavia non sa più nulla dal giorno che lo lasciò nell’isoletta di Tenedo; egli fa quindi la storia di quel glorioso ritorno, pieno di avventure; dopo la caduta di Troia alcuni dei Greci si fermarono con Agamennone per placare l’ira di Minerva, divenuta ostile; altri invece, con Menelao, partirono subito. Tra essi Io stesso Nestore, Diomede ed Ulisse. Giunto a Tenedo, tuttavia, Ulisse cambiò idea e volle tornare a Troia, per ricongiungersi con Agamennone.
Nestore continua il suo racconto: quelli che erano partiti subito insieme a lui raggiunsero presto le loro terre, salvo Menelao, il quale, fermatosi al capo Sunio, per dare sepoltura ad un suo nocchiero morto durante il viaggio, fu successivamente colto da una tempesta che ne disperse le navi e lo gettò sulle coste d’Egitto. Neppure Agamennone come si seppe, ebbe un felice ritorno, giacché giunto in patria fu ucciso da Egisto il quale, a sua volta, fu punito di morte da Oreste.
Poiché l’ultimo a tornare era stato Menelao, il vecchio re esorta Telemaco a recarsi a Sparta, dove più facilmente potrà avere qualche notizia di suo padre.
Trascorre cosi l’intero giorno ed il finto Mentore, poiché sta scendendo la sera, prega il re di concludere il sacrificio, dopo il quale egli e Telemaco si ritireranno nella nave a riposare. Nestore si oppone e vuole che gli ospiti dormano nella sua reggia; Mentore tuttavia, esortando Telemaco ad accettare, afferma che egli deve per forza recarsi alla nave, per rianimare i compagni.
Quindi, pregato il re di concedere per il mattino seguente a Telemaco un cocchio ed un suo figliolo, che l’accompagni a Sparta, sparisce improvvisamente come aquila, tra lo stupore dei presenti; ma Nestore, riconosciuta nel falso Mentore Minerva, le rivolge una riverente preghiera, ordinando che al mattino seguente le si offra in sacrificio una giovenca.
All’alba del nuovo giorno si compie il sacrificio; la biga viene preparata e fornita di vettovaglie e Telemaco è accompagnato nel suo viaggio da Pisistrato, figliolo del re. I due viaggiano per l’intera giornata, giungendo al tramonto a Fera, dove alloggiano nella casa di Diocle. Ne ripartono il mattino seguente e, verso l’imbrunire, sono a Sparta.
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COMMENTO– Nel terzo libro non ritroviamo ancora la grande poesia di Omero, anche se la cornice religiosa del canto richiama alla mente certi sentimenti largamente diffusi nell’Iliade, tra le pause della battaglia.
Ritroviamo invece un dolce personaggio, con le stesse caratteristiche che ce lo hanno fatto amare nel primo poema: Nestore. Sacra ospitalità, ossequio agli Dei nella intimità della famiglia, manifesta gioia di ricordare, di raccontare, di parlare. Sono tutti gli attributi e i sentimenti, le note spirituali che hanno fissato nella nostra memoria il Nestore della guerra di Troia, ancora e sempre proverbialmente saggio.
E il vecchio indugia piacevolmente a parlare di Ulisse, un altro saggio che per tante analoghe virtù a lui s’avvicina e Telemaco, anche se nulla di concreto gli è dato sapere sulla sorte del padre, di lui ode parlare da chi ne fu compagno d’arme, d’ardimento e di assennata astuzia. E nelle parole di Nestore, quasi una ouverture nel fascinoso racconto delle vicende di Ulisse narrate nei canti V-XII, trovano largo spazio i ritorni degli eroi da Troia. Ritorni di Nestore stesso, di Pirro, di Filottete, di Idomeneo e, più tragico di tutti, il ritorno di Agamennone, nel quale le note più salienti sono quelle del tradimento di Egisto e della vendetta di Oreste. Una situazione che fa pensare a Itaca, ai pretendenti, alla forza che il giovinetto Telemaco va cercando, sull’esempio di Oreste, perché la giustizia trionfi anche nella propria casa, insidiata dai Proci.
Il canto, che s’è aperto con una grandiosa scena di sacrificio in riva al mare, si chiude pure con una particolareggiata cerimonia propiziatoria a Minerva, che la sera precedente, uscendo dalla falsa immagine di Mentore, si è mostrata a tutti nella sua vera essenza
In questa atmosfera di fiduciosa speranza Telemaco parte alla volta di Sparta con Pisistrato; due giovani che appena si sono conosciuti, ma la cui amicizia è cementata da quella sincera dei loro padri, rivissuta nelle memori parole di Nestore; la figura di Ulisse, anche in questo libro, è presente e andrà via via sempre più concretizzandosi nel canto seguente, per le parole di Menelao.
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