ODISSEA – Riassunto e commento 4° libro

ODISSEA

 ELENA
ULISSE È PIANTO
LE AVVENTARE DI MENELAO
IL RITORNO DI AIACE E DI AGAMENNONE
MENELAO A SPARTA

LIBRO IV

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Tempo: Sera del quinto giorno e notte sul sesto giorno. Sesto giorno

Luoghi dell’azione:  Sparta, nella reggia di Menelao; Itaca
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NEL LIBRO PRECEDENTE

All’alba la nave di Telemaco giunge a Pilo, dove Nestore e i suoi, che stanno compiendo un sacrificio a Nettuno, ricevono amabilmente i forestieri. Alla fine del pranzo Telemaco rivela la sua identità e Io scopo del viaggio, Nestore tuttavia, pur raccontando le vicende occorse ad Agamennone e a Menelao nel loro ritorno da Troia, nulla sa di Ulisse, che ha lasciato nell’isola di Tenedo. Esorta pertanto il giovane a recarsi a Sparta, per interrogare Menelao. Il falso Mentore, sparendo alla vista in forma di aquila rivela a Nestore il suo vero essere. Al mattino seguente Telemaco e un figlio di Nestore, Pisistrato, partono in cocchio alla volta di Sparta; viaggiano tutto il giorno, e dopo aver pernottato a Fera, in casa di Diocle, all’imbrunire del giorno seguente sono in vista di Sparta.

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I due giovani giungono a Sparta proprio nel giorno in cui si celebrano due matrimoni, della figlia di Menelao Ermione e del figlio Megapente; essi sono accolti al banchetto nuziale ospitalmente, benché ancora ignoti e, poiché ammirano le infinite ricchezze raccolte nella bellissima reggia, Menelao espone loro le lunghe sofferenze sopportate al ritorno da Troia, prima di poter giungere in patria con quelle ricchezze. Ricchezze, del resto, che mai potrebbero compensare la perdita del fratello Agamennone, di altri cari compagni e forse di Ulisse stesso? di cui egli non ha saputo più nulla.
Telemaco non riesce a trattenere le lacrime e Menelao se ne accorge, mentre anche Elena, che nel frattempo è entrata nella sala del banchetto, confessa al marito che uno di quei due giovani assomiglia stranamente ad Ulisse.
Pisistrato allora rivela l’identità dell’amico e la propria, aggiungendo che Telemaco viene in cerca di consiglio e di aiuto.
Si rinnova cosi il pianto per l’eroe infelice; Elena tuttavia, giacché il pianto non si addice ad un banchetto di nozze, infonde nelle tazze un nepente, che dà a tutti l’oblio dei mali. Finisce il convito con il racconto da parte di Elena e di Menelao di gloriose imprese di Ulisse.
Al mattino successivo Telemaco narra a Menelao dei Proci e gli chiede notizie del padre. L’Atride allora gli racconta che, durante il ritorno da Troia, egli era stato trattenuto lungamente nell’isola di Faro, presso la costa egiziana, dove sarebbe morto di fame se non l’avesse aiutato Idotea, la Ninfa figlia del Dio marino Proteo. Ella infatti gli rivelò come avrebbe potuto fare a costringere il padre – solitamente restio – a manifestargli il futuro, ed il vecchio Dio, ingannato mediante l’artifizio delle false foche suggerito e preparato dalla stessa Ninfa, gli aveva svelate le vie del ritorno e manifestata la sorte di altri eroi: Aiace d’Oileo morto in mare, Agamennone ucciso a tradimento, Ulisse trattenuto suo malgrado, senza più compagni né nave in un’isola, in mezzo al mare, dalla ninfa Calipso.
Finito il suo racconto Menelao prega l’ospite di voler trattenersi ancora qualche giorno con lui, promettendogli doni preziosi, ma Telemaco chiede licenza di partire subito e si congeda.
Ad Itaca intanto i Proci, che hanno saputo del viaggio di Telemaco, si preparano a tendergli un agguato, per ucciderlo al suo ritorno. Fatta consapevole da un araldo, che ha inteso le trame criminose dei pretendenti, anche Penelope viene a conoscenza del viaggio del figlio e, dopo essersi sdegnata con le ancelle, che non l’hanno avvertita, invoca con preghiere Minerva.
La Dea, apparendole in sogno, la rassicura sulla sorte del figliolo; mentre i Proci, imbarcatisi di notte su di una nave, si nascondono in un porto dell’isola Asteride, tra Itaca e Same, e ivi attendono il ritorno del giovane.
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COMMENTO – In questo libro, l’ultimo della Telemachia e certamente il più poetico, duplice è la scena: a Sparta, per la maggior parte della narrazione, e ad Itaca verso la fine, dove il lettore viene condotto, per assistere a quanto sta accadendo prima ancora che vi giunga Telemaco, che è sempre il protagonista del canto.
Duplice la scena e diversa la vita che in quelle due residenze regali si conduce. A Sparta da due anni è tornato Menelao e con lui lo splendore, la tranquillità, l’intima dolcezza della famiglia. Il ricordo dei mali e delle angustie del passato, fa piangere si, ma non di un pianto cocente e quasi è dolce l’amarezza, che un nepente (pianta carnivora) vale comunque a cancellare, nel giorno in cui, dopo una lunga parentesi di morte e di terrore, la vita ha la sua celebrazione più naturale, nel matrimonio di due figli del re, Ermione e Megapente.
Ad Itaca Ulisse non c’è; il disordine ha invaso la reggia; non sfarzo di ricchezze e di prede, ma una modesta sostanza che ospiti indesiderati vanno consumando in banchetti e gozzoviglie, le quali stridono sinistramente col gran lutto che aleggia nel cuore di chi è rimasto fedele all’Assente.
E di lui, delle sue gesta, del suo grande cuore, della sua mente prodigiosa è ancora pieno il libro e l’introduzione di Ulisse, materialmente ancora assente dalla scena del poema, acquista in questo canto una realtà ancora piri viva che nei precedenti della Telemachia, per la affettuosa rievocazione di Menelao, nel gentile ricordare di Elena.
È questo ancora un canto di attesa, ma di attesa più fiducioso. Telemaco infatti coglie il frutto del suo gesto audace: ha saputo che suo padre è vivo, che sta lottando con un destino avverso, il quale lo tiene ancora lontano dalla patria; ma nel cuore del giovane si è ravvivata la speranza.
La disperazione di Penelope, invece, negli ultimi versi del libro, raggiunge il suo punto culminante, ora che anche il figlio l’ha abbandonata e senza che nessuno le dicesse nulla e gli infami Proci si apprestano ad ucciderlo, per eliminare anche l’ultimo ostacolo, inopinatamente grave, alla loro brama di amore e di ricchezza.
Ma la conclusione del libro si rasserena nel sogno della donna, soffuso di una divina speranza. Il prologo è finito e tutti quei motivi che siamo andati fin qui cogliendo in questi primi quattro libri, saranno sviluppati e diverranno, ognuno per conto proprio, grandissima poesia nei canti seguenti.
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