ODISSEA – Riassunto e commento 5° libro

ODISSEA

L’ISOLA DI CALIPSO
LA ZATTERA
IL NAUFRAGIO
LEUCOTEA
L’APPRODO A SCHERIA

LIBRO V

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Tempo: Dal settimo al trentunesimo giorno dell’inizio del poema

Luoghi dell’azione: Olimpo. L’isola di Ogigia. Il mare in burrasca. L’isola di Scheria

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NEL LIBRO PRECEDENTE

Telemaco e Pisistrato giungono a Sparta durante le nozze dei figli di Menelao Ermione e Megapeite; vi sono accolti ospitalmente e dopo che essi hanno rivelata la loro identità, Menelao racconta a Telemaco le peripezie del suo ritorno da Troia. Gli dice, tra l’altro, che nell’isoletta di Faro, dove rimase bloccato per molti anni, seppe dal Dio Proteo che Ulisse si trova in un’isola dell’Oceano, prigioniero della ninfa Calipso. mentre Telemaco lascia Sparta, ad Itaca i Proci, venuti a sapere del suo viaggio, si preparano a tendergli un agguato. La notizia di tali trame criminose giunge anche a Penelope, che è cosi informata del viaggio del figlio. La donna, disperata, invoca l’aiuto di Minerva, che in sogno la rassicura sulla sorte di Telemaco.
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Al sorgere dell’Aurora gli Dei si radunano a concilio. Minerva si lagna che Ulisse sia ancora trattenuto suo malgrado nell’isola di Ogigia, mentre ad Itaca addirittura tramano contro la vita di Telemaco. Ma Giove le risponde che all’incolumità di Telemaco può provvedere ella stessa, mentre egli, da parte sua, ordina a Mercurio di recarsi da Calipso ad annunciarle che per volontà degli Dei ella deve lasciare partire Ulisse, solo e su di una zattera.
Mercurio obbedisce e, a volo, giunge ad Ogigia, dove la ninfa abita in una grotta, circondata da alberi e da fiori con strani uccelli e limpide acque scorrenti. Il Dio è accolto ospitalmente a banchetto, ma quando comunica l’ordine di Giove, Calipso si sdegna contro la crudeltà dei Numi, che non le permettono di amare un mortale; comunque obbedirà, giacché non può essere altrimenti.
Partito Mercurio la ninfa s’incontra con Ulisse, il quale sulla spiaggia, con lo sguardo e l’anima protesa alla patria lontana, piange; lo invita a cessare di piangere giacché ella non lo tratterrà più ed anzi lo aiuterà a costruirsi una zattera per lasciare l’isola. Ma Ulisse non crede a quelle parole e la ninfa è costretta a giurare che non vuol tendergli nessun inganno. Insieme essi ritornano quindi alla grotta e siedono a mensa.
Calipso, con dolci rimproveri, tenta di vincere ancora una volta l’anima di Ulisse, perché voglia restare e divenire suo sposo immortale, ma l’eroe è inflessibile nel desiderio di ritornare alla sua terra, anche se molti affanni ancora l’attendono.
All’alba Calipso conduce Ulisse in un’luogo estremo dell’isola, dove egli possa abbattere alberi disseccati e costruirsi una zattera. Dopo tre giorni di lavoro, nel quarto la zattera è pronta e al quinto avviene la partenza, avendo la ninfa fornito l’eroe delle necessarie vettovaglie per il viaggio.
Dopo diciassette giorni di felice navigazione Ulisse scorge davanti a sé l’isola dei Feaci. Nettuno tuttavia, ritornando dal paese degli Etiopi, lo vede dall’alto dei monti di Solima e, subito avvampando di sdegno, gli solleva contro una tremenda tempesta. L’imbarcazione è ben presto sconquassata dal vento e le onde spazzano in mare l’eroe, il quale a stento riesce a riemergere ad afferrarsi alla zattera capovolta, che spinta dai flutti erra per il mare.
Tuttavia la ninfa marina Ino Leucotea, avendo pietà del naufrago, gli appare, gli consiglia di abbandonare la zattera e gli dà una cintura divina, che l’eroe ben presto indossa, affidandosi alle onde, dopoché un’ondata più forte delle altre ha sfasciato del tutto la zattera.
Per due notti e due giorni Ulisse erra a nuoto per le acque e finalmente, il terzo giorno, sollevato in alto sulla cresta di un onda, rivede in lontananza l’isola Scheria. Ma non è facile l’approdo sugli scogli; egli, coraggiosamente lo tenta; s’afferra a una rupe, ma il risucchio dell’onda lo trascina nuovamente in mare. Finalmente, vista la foce di un fiume, prende terra affranto, senza respiro e senza voce.
Rigettata quindi in mare la fascia divina, come gli era stato prescritto, s’addentra in un bosco e, fattosi un letto di foglie, si addormenta.
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COMMENTO – La grande poesia di Omero, che già è affiorata anche nei libri precedenti, in questo quinto canto esplode. Ulisse appare sulla scena del poema; in un’isola di sogno e di incanto, dove una Dea gli ha offerto l’amore e l’immortalità, l’eroe s’è appartato il più possibile dal miraggio di un’esistenza felice, e s’è ritirato sullo scoglio più lontano, donde guarda tra le lacrime la distesa infinita del mare, al di là del quale, lontana, c’è la sua patria. La sua patria petrosa ma cara, la sua donna mortale, suo figlio, il suo regno.
Tutto il canto è un inno alla umanità, il trionfo dell’umana saggezza che non cede alle lusinghe divine, dell’umana fortezza che non trema di fronte ai nuovi pericoli che le vengono annunciati, dell’umano spirito di avventura, che gioisce della sua conquista, che rifiuta il dono di una facile felicità, che lotta contro l’amore divino di una ninfa, contro l’odio implacabile di un Dio, contro le avverse forze della natura, la quale infine cede, completamente soggiogata.
Ed il lettore è trasportato in questa atmosfera tra incantesimo e realtà, tra cielo e terra, tra divino e umano.
Alla line l’umano trionfa sul divino. È dura l’esistenza che l’uomo conduce sulla terra, creandosi giorno per giorno la sua vita, dove gioie e dolori ricevono significato le une dagli altri, ma quella vita ha il sapore di ciò che si crea, con le nostre forze, è una celebrazione dell’uomo, artefice della sua fortuna. E Ulisse ben si può dire che nel quinto canto sia l’espressione di questo ideale.
Ogigia è un’isola di sogno, ma senza una nave sulle sue rive; e l’eroe, quando la volontà degli Dei interviene ad accelerare il corso del suo destino, si accinge all’opera della costruzione della zattera con ansia gioiosa. L’inerzia è vinta, l’attività trionfa sull’ozio non dolce, ma esecrato, la vita ricomincia, riprende la grande avventura!
Poi, nella orrenda ed apocalittica scena della tempesta, la forza fisica dell’uomo soggiace di fronte alla potenza del Dio del mare ed il soccorso di Ino vale a salvarlo, ma il morale dell’eroe esce vincitore dalla impari lotta; mai la volontà di sopravvivere viene meno, mai Ulisse desiste dal lottare, fino al bacio della terra dei Feaci, l’isola della salvezza. L’orrida scena della tempesta ha fine, la Natura si placa, subentra una tranquilla serenità di cielo e di mare, che ottimamente preludono ad un altro magnifico canto, il seguente.
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