ODISSEA – Riassunto e commento 8° libro

ODISSEA

IL BANCHETTO D’ONORE
DONI PER ULISSE
IL SALUTO DI NAUSICA
IL CANTO DI DEMODOCO
ULISSE PIANGE

LIBRO VIII

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Tempo: Trentatreesima giornata
Luoghi dell’azione:  L’isola di Scheria; la piazza, la spiaggia, il palazzo del re

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NEL LIBRO PRECEDENTE

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Nausica ritorna alla reggia ed anche Ulisse entra in città e s’imbatte in Minerva, sotto le spoglie di una giovane che torna dalla fonte, la quale gli indica il palazzo reale e gli suggerisce di rivolgersi per aiuto direttamente alla regina Arete. Ulisse ammira la sontuosità della reggia e il magnifico giardino; poi s’addentra nel mègaron, sempre avvolto in una nebbia, si getta alle ginocchia di Arete e le chiede aiuto, per poter ritornare in patria. Alcinoo lo rassicura e, dopo aver licenziato i principi, invitandoli a ritornare il giorno seguente per rendere omaggio all’ospite, ode dalla viva voce di Ulisse la sua perigliosa storia. Ne resta ammirato e se non fosse perché l’eroe anela la sua patria ne farebbe volentieri lo sposo di Nausica. Gli ripromette comunque l’aiuto richiesto e quindi, poiché l’ora è tarda, tutti si recano a dormire.
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Il giorno seguente si raduna l’assemblea dei Feaci nella piazza,. presso le navi. Il re Alcinoo, che vi si reca insieme con Ulisse, esprime il desiderio che sia soddisfatta la preghiera dell’ospite, per cui i principi dovranno scegliere cinquantadue giovani esperti cui si affiderà il compito di ricondurre in patria lo straniero. Si allestisce intanto un banchetto, al quale è chiamato anche il cantore Demodoco; durante il pranzo egli intona una famosa contesa tra Ulisse ed Achille, al cui ricordo l’eroe piange nascostamente; ma di quel pianto si accorge il re, che fa interrompere il canto.
I presenti sono quindi invitati ad uscire dalla sala, per cimentarsi nei vari giochi del cesto, del salto, della corsa, in onore dell’ospite. Nella corsa vince Clitonèo, un figlio di Alcinoo, nella lotta Eurialo, nel salto Anfialo, Elatreo nel disco e Laodamante, un altro figlio del re, nel pugilato.
Quest’ultimo invita anche Ulisse a cimentarsi, ma l’eroe rifiuta, adducendo a scusa le lunghe afflizioni ed il logorio fisico subito nelle peregrinazioni sul mare. Eurialo tuttavia non crede a queste parole e svillaneggia Ulisse, il quale risponde sdegnoso e, afferrato il disco, lo lancia più lontano di tutti; l’Itacese sfida poi i presenti anche in tutte le altre gare, salvo nella corsa, per le ragioni già addotte.
Tutti ammutoliscono, finché Alcinoo, intervenendo, rimprovera Eurialo della sua poca urbanità verso l’ospite, e giustifica i suoi, ché i Feaci più che negli agoni sportivi, sono abili nella danza; tosto ne vien data una dimostrazione, davanti alla quale Ulisse ha parole di elogio e di compiacimento.
Il re propone quindi che i seniori offrano allo straniero i loro doni, ed anche Eurialo, chiedendo scusa all’ospite per quanto ha detto, gli presenta una spada, che Ulisse accetta con cortesi parole.
Ognuno dei dodici principi offre una tunica, un manto ed un talento d’oro, doni che vengono dagli araldi portati alla reggia e da Arete riposti insieme con una coppa d’oro di Alcinoo, in un forziere.
Quindi Ulisse prende un bagno e, mentre si dirige verso la sala del banchetto, incontra sulla soglia Nausica, che dopo averlo guardato a lungo ammirata, gli augura di essere felice, pregandolo di non dimenticare la prima sua salvatrice. L’eroe, con riconoscente tenerezza, le promette che si ricorderà sempre di lei, come di una Dea.
S’inizia quindi il banchetto e Demodoco, invitato dal re, intona l’episodio del cavallo di Troia, raccontandolo nei piri minuti particolari e provocando ancora il pianto di Ulisse.
Alcinoo, al quale neppure questa volta sfuggono quelle lacrime, invita finalmente l’ospite a rivelarsi, gli chiede il suo nome, quello della terra dove dovrà essere ricondotto, e per quale motivo, ogniqualvolta il cantore ricorda l’impresa troiana, egli non può trattenere il pianto.
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COMMENTO – Come ho già detto, nelle brevi note al libro precedente, che neppure il canto ottavo è canto di grande poesia. Fu definito un canto conviviale, ché due banchetti vi si celebrano in onore di Ulisse, durante i quali il cieco vate Demodoco, cantando le vicende della guerra di Troia, prepara praticamente l’occasione perché Ulisse abbia a rivelarsi.
Ed è certamente canto interessante dal punto di vista storico-erudito, giacché con esso noi completiamo la nostra conoscenza sulla civiltà di questo popolo feacese, i cui aspetti sono stati confermati, talora alla lettera, dagli scavi che hanno portato alla luce le sfarzose vestigia della civiltà minoico-cretese.
Ma anche la poesia compare nel canto, almeno in due episodi; essa è presente – non appaia strano – non tanto in quello che il poeta dice, quanto per i suggestivi silenzi di cui Omero, qui e altrove, s’è rivelato maestro. Alludiamo al pianto di Ulisse e al saluto di Nausica all’ospite che partirà.
Ulisse piange due volte, udendo da Demodoco il racconto di gesta di cui egli fu viva parte; ma sono lacrime appena accennate, che amano essere ignorate, lacrime di pura nostalgia che fa ricordare e soffrire, in sordina, per un cumulo di sentimenti inespressi e inesprimibili, che pure partecipano della grande poesia.
La fugace apparizione di Nausica, per l’ultimo commiato, non abbraccia più di quindici versi; della fanciulla che ha riempito di sé e dato il tono al libro sesto, il poeta non ci ha più parlato. L’abbiamo lasciata nella sua stanza a raccontare, certamente, alla fedele Eurimedusa che le preparava la cena, di quell’uomo fantastico, mandatole dagli Dei. Il sogno di Nausica si conclude qui, nell’ottavo libro, con voce amorosa ancora, ma anche dolente. E si esaurisce nella sola speranza di essere almeno ricordata da Ulisse, di cui fu la prima salvezza e nella sincera. promessa di lui di venerarla, anche nel dolce nido natio, come una Dea.
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