LATIN ROCK –  SANTANA

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Carlos Santana (Vedi qui file originale)

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     LATIN ROCK – SANTANA

Nella gran febbre di “fusion” che accompagnò la seconda metà degli anni ’60, il disco di esordio dei Santana spinse qualche volonteroso pennivendolo ad allungare la lista di ibridi e di innesti di cui andava già fiera la musica dell’epoca: Latin rock!

Un’operazione certamente senza precedenti nel contesto rock, ma che poteva contare però su di un nobilissimo pedigree, quello del cosiddetto Latin jazz… anche se per Tito Puente, cinquantasettenne maestro del genere “si dovrebbe parlare semmai di musica ‘caraibica’, comprendendovi Cuba, Haiti, Santo Domingo, Porto Rico, la Giamaica, tutto il centro America; arricchita di contaminazioni col jazz”.
Compositore, arrangiatore, percussionista, vibrafonista, pianista e direttore della più celebre orchestra latina del dopoguerra, Ernesto “Tito” Puente, allevato alla corte di Machito, è stato al centro di un’evoluzione stilistica, parallela a quella del jazz, che, dal mambo alla moderna “Salsa“, ha avuto quale epicentro New York. La sua big band di trenta elementi (in cui hanno militato nientemeno che Miles Davis, Dizzy Gillespie, Dexter Gordon, il formidabile percussionista Mongo Santamaria e Ray Barretto) è oggi l’ultima erede dei vecchi “Combos” elefantiaci il cui suono “grosso” per molti versi Santana ha cercato di duplicare con formazione elettrica.
Con Puente soprattutto, la musica afrolatina è uscita dai ghetti, dai cosiddetti “Barrio”, soltanto per cambiar nome – da mambo a cha-cha-cha, da meringuè a “Salsa” – non mancando di affascinare le grandi orchestre di Duke Ellington, Count Basie, Stan Kenton e Woody Herman, per non dire degli eroi del be-bop.
Ma i musicisti jazz, pur sapendo piegarsi a qualunque variazione di tonalità, hanno sempre avuto bisogno di un’orchestra “typical” per accentuare e infiammare il ritmo, e così si arriva alle collaborazioni di un altro gigante, Machito, con Charlie Parker, Max Roach, Cannonball Adderley, Nat “King” Cole ed Ella Fitzgerald.
74 anni, dell’Avana, vero nome Frank Raoul Grillo, Machlto è “l’uomo che ha reso famoso presso il pubblico americano il mambo”, piombando nel ’40 in piena Manhattan con gli Afro-Cubans, messaggeri di poliritmie “impossibili” e di progressioni armoniche assolutamente inusitate.
“Terrific Rhumba & Pop Music”, strillarono i manifesti al Birdland o al Savoy, annunciando un mulinar di percussioni (bongos, timbales, congas e diaboliche maracas), torrido e liberatorio, che sarebbe esploso un quarto di secolo più tardi con Santana riportando la musica latina in cima alle classifiche. Fu proprio questa fusione dei tradizionali ritmi cubani coi riffs delle orchestre swing e con le esperienze del be-bop ad attirare il giovane Santana che, senza batter ciglio, già nel ’67 si assicura una sezione ritmica di tutto rispetto con Josè “Chepito” Areas e Mike Carrabello (in seguito sostituiti col buon Armando Peraza, un allievo di Santamaria, con Coke e Pete Escovedo, con Raoul Rekow e il cubano 0restes Vilatò, quest’ultimo già con Ray Barretto e i Fania All-Stars, magnifici campioni di Salsa) e ama cavar di tasca disinvolte citazioni, come i due omaggi a Puente, Oye Como Va e Para Los Rumbelos, e un classico davisiano del calibro di ln A Silent Way.
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Santana, nel corso degli anni, ha inoltre selezionato collaboratori esterni, spesso presi a prestito da altre due megabands californiane, lanciate anch’esse sulle orme di Puente ma “in rock”: gli Azteca dei fratelli Escovedo e i Malo in cui militò il fratellino Jorge.

Ma le ambizioni del chitarrista chicano non hanno mai consentito un attaccamento incondizionato alle “radici”, cui egli è tornato a guardare a più riprese solo per facile calcolo o per ristabilire la “credibilità” della sua band.
Fatto piuttosto curioso se si considera che la Salsa ha riscosso i suoi maggiori consensi, oggetto addirittura di un film, “Salsa!” appunto, in cui si celebra lo storico concerto del ’73 allo Yankee Stadium di New York, con protagonisti, tra gli altri, i Fania All-Stars, Mongo Santamaria, Manu Dibango e i Malo.
“È quanto meno strano” spiega il percussionista Pete Escovedo, vecchio maestro di Santana, “Carlos è assurto negli ultimi anni a vero e proprio eroe della comunità latinoamericana. La sua affermazione, il suo riscatto dai condizionamenti razziali che sussistono in America, la sua riuscita operazione di ‘fusione’ sono oggi un esempio per migliaia di ragazzi che ne hanno fatto il ‘loro’ Muhammad Alì. Credo che la negazione da parte sua delle sue ‘radici’ abbia molto a che fare con la sua svolta mistica e con la ricerca di un’identità universale.”

Malgrado la sua cronica irrequietezza e quella smania di libertad stilistica che lo ha avvicinato sempre di più.a musicisti di estrazione jazzistica (vedi The Swing 0t Delight con Shorter, Hancock, Carter, Williams etc.), Santana si è tuttavia riconciliato in diverse occasioni con le matrici latine collaborando con Paco de Lucia e José Feliciano, tra gli altri, e ritrovando il gusto dell’improvvisazione caliente col sassofonista Gato Barbieri.

I tempi di Oye Como Va Guajira sono però lontani.

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