RITRATTO DI GINEVRA BENCI – Leonardo da Vinci

RITRATTO DI GINEVRA BENCI ( 1474 circa) Leonardo da Vinci
National Gallery of Art, Washington
Tempera e a olio su tavola cm 38,8 ×36,7

 

Avendo visto ieri sera la prima puntata di Leonardo da Vinci in TV, mi ha colpito la storia di Ginevra Benci, della quale voglio parlare del suo ritratto, che è  il primo eseguito da Leonardo. Le testimonianze antiche ne lodano la straordinaria somiglianza e riferiscono che “ritrasse in Firenze dal naturale la Ginevra d’Amerigo Benci, la quale tanto bene finì, che non il ritratto, ma la propia Ginevra parea”.
Il dipinto potrebbe risalire al 1474, anno del matrimonio della diciassettenne Ginevra con Luigi di Bernardo di Lapo Niccolini, oppure agli anni immediatamente successivi. Ginevra era figlia del banchiere fiorentino Amerigo, della ricca famiglia dei Benci, vicina a quella dei Medici. Al nome della giovane allude la pianta di ginepro che con la sua massa scura e il reticolo delle foglie aguzze ne incornicia il viso perlaceo.

La consistenza diafana dell’immagine ritratta è sottolineata anche dal particolare quasi impercettibile del velo trasparente chiuso alla base del collo.
Questa figura appare concepita da Leonardo in stretta correlazione con l’esempio delle sculture del Verrocchio, ed è soprattutto da mettere in rapporto con il busto marmoreo della Dama del mazzolino (Firenze, Museo Nazionale del Bargello), realizzata proprio negli stessi anni. Il confronto fra i due ritratti femminili, uno pittorico e l’altro scultoreo, evidenzia la mancanza nel dipinto di Leonardo della parte inferiore che doveva essere occupata dalla gestualità sensibile delle mani.
Esiste anche uno studio, conservato a Windsor, che riflette l’idea originaria di Leonardo per le mani mancanti. La parte inferiore del dipinto potrebbe essere stata tagliata perché danneggiata o rimasta allo stato di abbozzo; fra l’altro è proprio presso la famiglia Benci che Leonardo lasciò incompiuta la grande pala dell’Adorazione dei Magi alla sua partenza per Milano nel 1482.
Il fatto che il quadro sia stato accorciato nella parte inferiore di circa un terzo dell’altezza, e forse anche ridotto di qualche centimetro in larghezza, appare evidente se si esamina l’emblema dipinto sul retro della tavola stessa. Vi si distinguono un ramoscello di ginepro al centro, incorniciato da una foglia di palma e da un ramo di alloro, a formare una ghirlanda che doveva chiudersi in basso stringendo insieme le tre fronde. Attorno alle piante dal significato simbolico gira un cartiglio che reca la scritta VIRTUTEM FORMA DECORAT (la bellezza orna la virtù)”, ovvero la bellezza esteriore è soltanto l’ornamento della virtù interiore.
E il motto chiarisce la connotazione di ritratto morale che Leonardo ha attribuito alla figura di Ginevra Benci, con la sua enigmatica espressione e la forza del suo sguardo e della sua presenza.
La superficie del dipinto sul lato posteriore si presenta come un piano di finto porfido. In effetti, l’intera opera, anche sul lato anteriore, è caratterizzata dalla sperimentazione della tecnica pittorica intesa come sfida illusionistica.
Leonardo dà prova della possibilità di rappresentare la varietà degli effetti naturali. L’attenzione analitica per la resa dei particolari fa riferimento agli esempi della pittura nordica, tanto è vero che questo ritratto era un tempo ritenuto opera di Lukas Cranach. Ma, in accordo con la sensibilità atmosferica che viene maturando, Leonardo introduce nella rappresentazione la sottile vibrazione delle superfici: dalle morbide volute dei riccioli che incorniciano il volto, fino agli alberi in lontananza che si riflettono nello specchio d’acqua.
Leonardo indaga gli effetti della luce che, in primo piano, arriva dall’alto a generare i riflessi sui capelli, mentre, più indietro, attraverso il chiarore del cielo contrasta con le punte scure delle fronde di ginepro, viste in controluce.
Infine, nel brano di paesaggio che si apre sulla destra, si distingue la linea alta dell’orizzonte, descritta attraverso il graduale attenuarsi dei colori per l’aumentare della distanza.
A un esame ravvicinato si è potuto vedere che Leonardo utilizzò le dita per distribuire il colore sulle foglie di ginepro e soprattutto sul viso della giovane, vicino agli occhi, dove desiderava conferire al modellato un fine effetto epidermico.
La peculiarità delle impronte digitali lasciate da Leonardo sulla superficie pittorica caratterizza, infatti, questo e anche altri suoi dipinti del primo periodo fiorentino come la Annunciazione (Firenze, Uffizi) e il Battesimo di Cristo (Firenze, Uffizi).
L’adozione di questo metodo rivela l’intento di realizzare una stesura del colore ancora più sfumata rispetto a quella ottenuta col pennello.
Un ultima ipotesi su questo ritratto riguarda la sua commissione a Leonardo da parte di Bernardo Bembo, giunto a Firenze da Venezia in qualità di ambasciatore, il quale nutrì per Ginevra Benci un sentimento neoplatonico di cui restano anche testimonianze poetiche.
Si tratta di una tesi che permetterebbe soprattutto di stabilire uno stretto legame fra quest’opera e l’ambiente veneziano. In particolare si potrebbe riconoscere una ripresa diretta dell’idea di Leonardo da parte di Giorgione nel Ritratto di Laura (1505 circa; Vienna, Kunsthistorisches Museum): qui la rappresentazione è impostata secondo uno schema analogo, con la presenza della pianta di alloro, il lauro, che incornicia la figura femminile ritratta, alludendo al suo nome.
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