IMMANUEL KANT

Immanuel Kant (Königsberg, 22 aprile 1724 – Königsberg, 12 febbraio1804) è stato un filosofo tedesco. Fu il più importante esponente dell’Illuminismo tedesco, anticipatore degli elementi basilari della filosofia idealistica e di gran parte di quella successiva. Kant concepì la propria filosofia come una rivoluzione filosofica (o “rivoluzione copernicana”), volta a superare il dogmatismo metafisico del pensiero precedente ed ad assumere i caratteri di una ricerca critica sulle condizioni de  conoscere.

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UN UOMO DI CATTEDRA CHE FU UN GRANDE RIVOLUZIONARIO

“Rimango seduto ogni giorno davanti all’incudine del mio leggio, e vibro con cadenza uniforme il pesante martello di lezioni sempre uguali… Tuttavia mi appago del plauso che altri mi danno, e così trascorro la mia vita”.
Davvero la vita di Kant, che egli così descrisse in un momento di confidenza, fu una vita incolore e monotona, meticolosa e un po’ pedante, tutta e soltanto dedita alla meditazione e all’attività accademica. Nessun fatto esteriore appariscente, nessuna partecipazione benché minima alle vicende politiche e alla vita pubblica del suo tempo; suddito ossequiente e sottomesso del re di Prussica; precettore dapprima presso alcune nobili famiglie prussiane, professore poi all’università di Königsberg, sua città natale, egli morì celibe, il 12 febbraio 1804, all’età di ottant’anni.
Sbaglierebbe però chi, basandosi su questa esistenza arida e solitaria, pensasse di poter intendere a fondo l’opera di Kant prescindendo dagli eventi politici e sociali che gli furono contemporanei. Certo: dati fondamentali per la comprensione del pensiero kantiano sono, come è noto, l’empirismo inglese con Hume, che lo “svegliò dal sonno dogmatico”; la scuola razionalistica di Gottfried Wilhelm von Leibniz e di Wolff; la scienza newtoniana di cui Kant fu profondo e originale cultore. Ma dall’opera del padre della filosofia classica tedesca non è assente l’ “esprit de l’époque”, quello spirito che sfociò nella Grande Rivoluzione.
La stessa tendenza che stava alla base dell’ILLUMINISMO, quella cioè di trascinare ogni cosa davanti al tribunale della ragione, è ravvisabile anche nel cosiddetto “criticismo kantiano”: criticismo nel senso che Kant si propose anzitutto di sottoporre ad un esame critico la ragione umana per accettarne le possibilità e fissarne i limiti.
I filosofi prekantiani avevano intessuto arditi romanzi metafisici su Dio, sull’anima, sull’essenza del mondo, pienamente convinti della validità di queste loro costruzioni: ma si trattava – Kant – di superbi sogni di visionari.
L’unica conoscenza autentica è infatti, secondo lui, quella rivolta al mondo della nostra esperienza, al mondo studiato dalla scienza, che egli chiama “fenomenico” per distinguerlo e contrapporlo a quello delle “cose in sé”, che egli chiama “noumenico”, e che non può essere oggetto di effettiva conoscenza, ma solo, se mai, dell’aspirazione dell’animo umano a trascendere la realtà empirica.
Nella conoscenza del mondo naturale, “fenomenico”, il pensiero umano non si comporta però come uno specchio passivo: al contrario esso ha una funzione attiva, formatrice e costruttrice. Kant crede di poter riconoscere in esso delle “condizioni a priori” (cioè non derivanti da esperienze e da abitudini) che accolgono e organizzano i dati del senso (la materia grezza, diciamo così, del conoscere) fissando la trama e dettando le leggi al mondo Fenomenico. Queste condizioni a priori, universali e necessarie, sono di due specie: le intuizioni sensibili, cioè “tempo e spazio”, che non appartengono alle “cose in sé stesse”, ma sono piuttosto un “modo nostro” di inquadrare l’esperienza, e le “categorie” intellettive, cioè i concetti di sostanza, causalità, pluralità ecc.
Con questa concezione Kant veniva a realizzare quella che egli stesso definì la “rivoluzione copernicana” in filosofia. E cioè: come l’astronomo Copernico difronte alle difficoltà in cui urtava il sistema geocentrico aveva pensato che la Terra non fosse immobile, ma girasse essa stessa intorno al Sole, così Kant, difronte alle difficoltà in cui si dibatteva il problema della conoscenza nella impostazione empiristica e razionalistica tradizionale, pensò di poterlo risolvere affermando che il soggetto ha una funzione attiva, formatrice, costruttrice.
CRITICA DELLA RAGION PURA – in cui sono ampiamente e profondamente trattate le teorie di cui ho dato un fugacissimo cenno – seguì la CRITICA DELLA RAGION PRATICA (1788) che contiene la morale di Kant.
Kant stabilisce un abisso tra ciò che è utile e ciò che è piacevole, da una parte, e ciò che è “morale” dall’altra. Egli afferma il carattere di comando, l’imperatività assoluta della legge morale, la quale, però, non è fuori di noi, ma è nel profondo di noi stessi: afferma cioè l’interiorità del volere morale che coincide col dovere. E’ questo l’ “imperativo categorico”.
Il significato rivoluzionario della morale kantiana sta nel fatto che l’obbedienza alla legge morale non è l’obbedienza a qualcosa di esterno all’uomo, ad un potere, ad un’autorità che sia fuori o al di sopra di lui, e nemmeno è ossequio al volere divino.
“Con Kant – ha scritto un filosofo italiano dell’Ottocento, Bertrando Spaventa – sono impossibili la casistica dei gesuiti, la soggezione ad ogni legge arbitraria in cui lo spirito non riconosca se stesso, la negazione della libertà individuale, la dipendenza della podestà laica da quella ecclesiastica…”.
Sia pure su un piano astrattamente rigoristico, la morale kantiana valorizza fortemente la personalità umana: e questo dimostra come Kant abbia fatto proprie, nel clima della società arretrata e semifeudale in cui viveva, quelle esigenze di libertà che trovarono la loro espressione negli ideali e nelle conquiste della Rivoluzione Francese.Non a torto dunque il Carducci paragonò in due versi famosi la portata rivoluzionaria dell’insegnamento di Kant all’azione politica di Robespierre.
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