BENEDETTO CROCE – La battaglia delle idee

Benedet­to Croce

Non meno importante dell’opera dei poeti che elaborano, in Italia, le esperienze fondamentali del decadentismo, fu l’attività degli intellettuali che promossero un processo di rinnovamento culturale e che diedero vita ad un vivacissimo dibattito ideale attraverso numerose riviste. Protagonista e, in un certo senso, mattatore, di tale dibattito fu Benedetto Croce.

Egli nacque a Pescasseroli (in Abruzzo) il 25 febbraio del 1866 e morì a Napoli nel 1952. A Napoli appunto compì gli studi elementari e medi e trascorse gran parte della sua vita, se si toglie il breve periodo degli studi universitari, rimasti incompiuti, quando, avendo perduto il padre, si trasferì a Roma in casa dello zio Silvio Spaventa.

La biografia del Croce coincide con la pubblicazione delle sue opere. Cominciò con studi di erudizione (“Studi storici sulla rivoluzione napoletana del 1799”) e le ricerche sui teatri di Napoli (dal Rinascimento al Settecento), subì poi l’influenza di Antonio Labriola e del marxismo, alla quale reagì con un saggio che egli ritenne definitivo per la confutazione delle tesi marxiane (“Materialismo storico ed economia marxistica”) s’indirizzò quindi verso una rielaborazione dell’idealismo classico e, in particolare, del pensiero di Georg Hegel.
La sua “Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale”, apparsa nel 1902, sembrò segnare una rivoluzione nella critica e nella concezione dell’arte. La sua rivista, “La Critica”, uscita l’anno seguente, divenne lo strumento con il quale Croce continuò ad elaborare in ogni campo le sue dottrine, a diffonderle nell’opinione intellettuale italiana, ad esercitare su di essa una sorta di egemonia fino alla crisi della seconda guerra mondiale (“La Critica” cessò le pubblicazioni come rivista nel 1943).

Frutto di questa attività svoltasi, quasi senza interruzione, per cinquant’anni sono gli innumerevoli volumi di filosofia, storia, critica letteraria, teoria dell’arte, note di costume, economia, erudizione. Basterà qui citarne solo qualcuno… I volumi della “Filosofia dello spirito” (l’organico sistema filosofico elaborato dal Croce)…, il “Breviario d’Estetica”…, i “Nuovi saggi di Estetica”…, “La Poesia di Dante…, Ariosto…, Shakespeare…, Corneille”…, “Poesia e non poesia”…, “Poesia popolare e poesia d’arte”…, “Poesia antica e moderna”…, “Poeti del primo e del tardo Rinascimento”…, la “Letteratura della Nuova Italia”…, “Storia d’Italia dal 1871 al 1915”…, “Storia d’Europa nel secolo XIX”…, “La Storia come pensiero e come azione”…, “Il carattere della filosofia moderna”.

Accanto alle opere, si dovrà ricordare che il Croce appoggiò prima della guerra 1915-18 le esperienze giolittiane, fu neutralista di fronte alla guerra e, dopo un iniziale disorientamento, decisamente avverso al regime fascista. Dopo la Liberazione fu per alcuni anni ministro e presidente del partito liberale e accentuò i caratteri conservatori e antisocialisti della sua ideologia.

A proposito di Benedetto Croce credo si possa formulare questo giudizio: che la parte più interessante del suo pensiero e della sua critica vada trovata nella lotta che, all’inizio del secolo, egli condusse con energia e spregiudicatezza contro gli aspetti deteriori del positivismo in genere e della scuola storica in specie (vale a dire la critica letteraria erudita d’ispirazione positivista) per affermare una cultura e una critica più moderne ed avanzate. L’introduzione nella cultura italiana di De Sanctis e di Hegel, del pensiero dialettico e della filosofia classica tedesca, di una problematica culturale più vivace e libera, la mortificazione della piatta erudizione dei positivisti e della grettezza dei cattolici rimangono meriti acquisiti ormai per sempre da Benedetto Croce.

In quegli anni, alla rivolta anti positivistica condotta in nome di un generico ‘ideale’ e di ancor più generiche “ragioni dello spirito”, egli diede una sistemazione organica e razionale, sostanzialmente laica e immanentistica, in cui si cercava di conservare alcune delle conquiste del pensiero borghese dell’Ottocento.

Non si può negare che alla ventata irrazionalistica e alla disordinata ricerca di modernità egli seppe contrapporre reali esigenze di rinnovamento e di svecchiamento, che portò avanti con coraggio contro gli schemi piatti e stantii della cultura accademica, contro gli aspetti più caramellosi e torbidi dello spiritualismo trionfante (anche se, com’è stato osservato, egli compì un’analoga operazione contro le punte più avanzate e rivoluzionarie del materialismo e dello stesso pensiero borghese).

E’ proprio questa posizione di conservatore, ma illuminato, che provocò nei confronti di Benedetto Croce la reazione non solo di coloro che si ponevano all’opposizione e rifiutavano la società a loro contemporanea, ma anche dei campioni dello spiritualismo e dell’irrazionalismo, che non potevano perdonargli di essere “una bomba carica di buon senso”, cioè non potevano perdonargli la sua disciplina mentale, fatta di idee chiare e distinte, la sua polemica contro la retorica e la faciloneria tradizionali e contro i nuovi miti decadenti. Né a costoro poteva piacere la crociana “religione della libertà” la quale – con tutti i suoi limiti borghesi e conservatori – fu senza dubbio una componente non trascurabile degli orientamenti antifascisti nel periodo della dittatura.

Così Benedetto Croce in quegli anni dominò la cultura italiana ma non ebbe veri amici, non fu certo oggetto d’entusiasmo o di esaltazioni (come del resto Giolitti che può considerarsi il corrispettivo del filosofo napoletano sul piano della politica).
Il Croce, insomma, ebbe un’influenza enorme su tutti, ma rimase estraneo alle correnti di opinione e di cultura che allora si venivano manifestando: restò estraneo – nonostante le iniziali confluenze, o, meglio, confusioni – ai movimenti di avanguardia, respinse tutte le correnti irrazionalistiche, diffidò dei novatori cattolici, rimase indifferente nei confronti della problematica meridionalistica, non si confuse nemmeno con i moralisti della “Voce”, verso i quali mantenne sempre un ben chiaro distacco.

Con la prima guerra mondiale si attenuò molto la spinta progressiva e nel corso degli anni, man mano che ci si avvicinava alla crisi del regime fascista, il pensiero crociano subì una rapida involuzione mettendo sempre più in risalto i suoi tratti conservatori, rendendo sempre più pallide e sfocate le sue istanze progressive.
Voglio dire che anche l’opera del Croce deve essere guardata storicamente e soprattutto non deve essere considerata come blocco unitario: tanti motivi e sollecitazioni diversi – e spesso contraddittori – si intrecciano in essa rendendola disponibile di fronte a interpretazioni e suggestioni contrastanti. Esaminiamola un po’ da vicino, sotto l’angolo visuale che interessa di più il nostro discorso, quello dell’estetica e della critica letteraria.

Croce si presentò all’inizio del secolo alla ribalta della cultura italiana e bandì la nuova verità: l’arte è intuizione pura. Voleva dire, cioè, che l’arte è una delle forme del conoscere, conoscenza individuale distinta dalla conoscenza universale che è propria della filosofia e della storia.

Non starò qui ad esaminare la validità filosofica della definizione: non è compito nostro ma dei filosofi di professione. Cercheremo invece di esaminare alcune conseguenze che c’interessano per il nostro discorso sulla critica letteraria di Benedetto Croce.

La concezione dell’arte come intuizione pura, malgrado i successivi approfondimenti, ha sempre avuto come conseguenza che l’arte fosse considerata come un fatto immediato e non come il risultato di una lenta e faticosa costruzione.
E’ vero che il Croce riconosce ad ogni poeta un periodo di elaborazione dei suoi motivi: ma si tratta soltanto di un antecedente, materia bruta, finché non viene illuminata dal lampo dell’intuizione.
E’ su questo momento, sul momento dell’intuizione, che Croce in definitiva – malgrado che talvolta affermi il contrario – fissa la sua attenzione, disinteressandosi del resto. Ne consegue che anche l’identità, nell’intuizione, di forma e di contenuto, è una identità immediata e non una unità dialettica, faticosamente conquistata.
Il contenuto esiste, prima del fatto estetico, come materialità di impressioni: diventa contenuto solo quando – con lo scoccare dell’intuizione – s’identifica con la forma.
E il lungo processo di chiarimento dei propri motivi a se stesso?
E il travaglio della ricerca formale, della formazione di uno stile, della scoperta delle parole, dei colori, dei suoni adeguati a quei motivi? Antecedenti. Di qui la polemica del Croce contro la filologia, le ricerche sullo stile, sulle poetiche, sulla formazione dei poeti. Di qui anche per lui, la incapacità di comprendere che quello che egli negava sul terreno astrattamente teorico si affermava invece ed era valido sul terreno della storia concreta. Da quanto si è detto prima, appare chiaro, per esempio, che la qualità di un’opera non risiede nel contenuto (bruta materia) ma nell’identità di un contenuto con la forma.
Egli ne deduceva una polemica giusta contro le dottrine che volevano stabilire in astratto i contenuti estetici e quelli non estetici. Ma egli non riusciva a comprendere quanto giusta fosse – sul terreno della creazione storica della poesia – la polemica che ogni poeta e ogni tendenza conduce per i contenuti. Lo stesso potrebbe dirsi dei generi letterari, o delle caratteristiche specifiche delle varie poetiche, problemi che Croce con la sua intuizione pura crede di annullare, ma che si ripropongono nella concreta attività di ogni artista.L’intuizione crociana, insomma, ci porta a concepire l’arte come pura “contemplazione del sentimento” : essa è, sì, conoscenza, ma del sentimento e non della realtà.
Attraverso di essa, quindi, non si conosce – sia pure in forme diverse dalla storia e dalla scienza – la realtà che ci circonda, la vita degli uomini e delle cose, e, attraverso questa-: conoscenza, non si partecipa al processo di trasformazione e di progresso della vita degli uomini e delle cose.
E’ un’arte distaccata dalla realtà, dalla storia, dalla vita. E’ la forma eterna della Bellezza che non ride, non piange, non lotta, non soffre, non si esalta, e non si dispera, ma ha sempre sul volto il velo immutabile di una serena e dolce malinconia.Da una simile concezione dell’arte scaturisce il modulo critico di Benedetto Croce. E’ ormai diventata classica la sua definizione…”Il critico non è artifex additus artifici, ma philosophus additus artifici”.

Cioè, per dirla in parole povere, il critico per giungere al giudizio sull’opera d’arte deve passare attraverso vari stadi. Il primo sarà quello della riproduzione in noi stessi dell’opera d’arte, perché non sarà possibile giudicare una poesia se essa sarà per noi un bruto dato di fatto, un arido documento. Chi le si accosta con lo animo del miope ricercatore di notizie, dell’erudito, del cronista, la fa avvizzire prima ancora di toccarla.
E’ necessario che si riviva la poesia, che se ne senta il fascino e la armonia del canto: altrimenti ci è preclusa la via della critica.

In questa capacità di aderire al bello e rifuggire dal brutto consiste la sensibilità di cui tanto si è parlato e si parla. Per mezzo di essa la poesia “se realmente esiste, è rinvenuta e fatta propria con gioia dallo spirito contemplante, e, se, invece, si prova menzognera e inesistente, lo delude e l’irrita con la sembianza della bruttezza”.
La critica possibilistica e impressionistica – sempre a parere del Croce – si ferma a questo primo stadio; ma si ferma nell’anticamera della critica vera, la quale invece sorge solo con il giudizio, cioè quando i dati della sensibilità vengono universalizzati dalla categoria, quando viene dato il nome alle cose, e ciò che si è sentito come bello, è riconosciuto bello, e; al contrario, è definito brutto ciò che al gusto ripugna. Il giudizio non ha bisogno di molte parole; gli è sufficiente la formula..

“C’è un’opera d’arte A – con la corrispondente negativa: non c’è un’opera d’arte A”.

Questo sarebbe l’elemento nuovo che Croce introdurrebbe nella metodologia critica: il philosophus (la categoria) accanto e sopra l’artifex (la riproduzione fantastica, la sensibilità).
Non già che prima non si giudicasse, perché in tutti i tempi si è fatto della buona critica e non è certo detto che, nel passato, si facesse peggiore di quella di oggi; ma il Croce per primo ha avuto coscienza del carattere filosofico della critica e ha sentito l’inadeguatezza di una interpretazione affidata solo alla sensibilità e al gusto.

E a chi, incautamente, pensasse che tale novità non sia molto importante e che, tutto sommato, non sia tanto difficile dare il nome alle cose, il Croce risponde rilevando la complessa preparazione filosofica che richiede il rigoroso pensamento delle categorie, che “non può operarsi se non mercé la filosofia, unicamente mercé la filosofia, e neppure con una parte sola di essa, come sarebbe la filosofia dell’arte o estetica, la quale non è veramente comprensibile se non nel tutto di cui è parte, ossia in relazione con la filosofia di tutte le altre forme dello spirito”.

Il processo, a questo punto, sembrerebbe compiuto: una volta giudicato, che cosa rimane da fare?
Nella prima fase del pensiero crociano ci si fermava al giudizio.
Ma, in un ulteriore sviluppo del suo pensiero, ai due stadi già descritti egli ne aggiunge un terzo, la caratterizzazione, la quale non può riguardare la forma della poesia che è la forma unica ed eterna della bellezza ma “si riferisce veramente al contenuto della poesia, al sentimento che la poesia ha espresso e nell’atto stesso ampliato trasferendolo nel suo aere, e che ora, prescindendo da questa idealizzazione, si considera nelle sue sembianze, in quel ‘caratteristico’ che (secondo il motto ricordato dal Goethe) è come il punto di partenza del bello”.
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ALCUNE CITAZIONI
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* Se la storia non è punto idillio, non è neppure una « tragedia di orrori », ma è un dramma in cui tutte le azioni, tutti i personaggi, tutti i componenti del coro sono, nel senso aristotelico, « mediocri », colpevoli-incolpevoli, misti di bene e di male, e tuttavia il pensiero direttivo è in essa sempre il bene, a cui il male finisce per servire da stimolo, l’opera é della libertà che sempre si, sforza di ristabilire, e sempre ristabilisce, le condizioni sociali e politiche di una più intensa libertà. Chi desideri in breve persuadersi che la libertà non può vivere diversamente da come è vissuta e vivrà sempre nella storia, di vita pericolosa e combattente, pensi per un istante a un mondo di libertà senza contrasti, senza minacce e senza oppressioni di nessuna sorta; e subito se ne ritrarrà inorridito come dall’immagine, peggio che della morte, della noia infinita. (Benedetto Croce)
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* Mi pareva che tanto io come il Cosmo come molti altri intellettuali del tempo (si può dire nei primi 15 anni del secolo) ci trovassimo in un terreno comune che era questo: partecipavamo in tutto o in parte al movimento di riforma morale e intellettuale promosso in Italia da Benedetto Croce, il cui primo punto era questo, che l’uomo moderno può e deve vivere senza religione rivelata o positiva o ,mitologica o come altrimenti si vuol dire. Questo punto mi pare anche oggi il maggiore contributo alla cultura mondiale che abbiano dato gli intellettuali moderni italiani, mi pare una conquista civile che non deve essere perduta. (Antonio Gramsci)
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CONTRO I PATTI LATERANENSI
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* Come che sia, accanto o di fronte agli uomini che stimano Parigi valer bene una messa, sono altri per i quali l’ascoltare o no una messa è cosa che vale infinitamente più di Parigi, perché è affare di coscienza. Guai alla società, alla storia umana, se uomini che così diversamente sentono, le fossero mancati, o le mancassero!  (Benedetto Croce)
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* Al di sopra del blocco agrario funziona nel Mezzogiorno un blocco intellettuale che praticamente ha servito finora a impedire che le screpolature del blocco agrario divenissero troppo pericolose e determinassero una frana. Esponenti di questo blocco intellettuale sono Giustino Fortunato e Benedetto Croce, i quali, perciò, possono essere giudicati come i reazionari più operosi della penisola. In una cerchia più ampia di quella molto soffocante del blocco agrario, essi hanno ottenuto che la impostazione dei problemi meridionali non soverchiasse certi limiti, non diventasse rivoluzionaria. Uomini di grandissima cultura e intelligenza, sorti sul terreno tradizionale del Mezzogiorno ma legati alla cultura europea e quindi mondiale, essi avevano tutte le doti per dare una soddisfazione ai bisogni intellettuali dei più onesti rappresentanti della gioventù colta del Mezzogiorno, per consolarne le irrequiete velleità di rivolta contro le condizioni esistenti, per indirizzarli secondo una linea media di serenità classica del pensiero e dell’azione. I cosiddetti neoprotestanti o calvinisti non hanno capito che in Italia, non potendoci essere una Riforma religiosa di massa, per le condizioni moderne della civiltà, si è verificata la sola Riforma storicamente possibile con la filosofia di Benedetto Croce: è stato mutato l’indirizzo e il metodo del pensiero, è stata costruita una nuova concezione del mondo che ha superato il cattolicissimo e ogni altra religione mitologica. In questo senso Benedetto Croce ha compiuto una altissima funzione « nazionale »; ha distaccato gli intellettuali radicali del Mezzogiorno dalle masse contadine, facendoli partecipare alla cultura nazionale ed europea, e attraverso questa cultura li ha fatti assorbire dalla borghesia nazionale e quindi dal blocco agrario. (Antonio Gramsci)
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* Quanto alla teoria politica, il concetto di potenza e di lotta, che il Marx aveva dagli Stati trasportato alle classi sociali sembra ora [durante la prima guerra mondiale] tornato dalle classi agli Stati, come mostrano nel modo più chiaro teoria e pratica, idea e fatto, quel che si medita e quel che si vede e tocca. La qual cosa non deve impedire di ammirare pur sempre il vecchio pensatore rivoluzionario: il socialista, che intese come anche ciò che si chiama rivoluzione, per diventare cosa politica ed effettuale, debba fondarsi sulla storia, armandosi di forza o potenza (mentale, culturale, etica, economica), e non già confidare nei sermoni moralistici e nelle ideologie e ciarle illuministiche. E, oltre l’ammirazione, gli serberemo, – noi che allora eravamo giovani, noi da lui ammaestrati, – altresì la nostra gratitudine, per aver conferito a renderci insensibili alle alcinesche seduzioni (Alcina, la decrepita maga sdentata, che mentiva le sembianze di florida giovane) della Dea Giustizia e della Dea Umanità. (Benedetto Croce)
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* Non era ammissibile, per il Croce, che alla libertà si affiancasse la giustizia. Non era concepibile, per lui, che dalla libertà come metodo si tentasse di passare alla libertà come sostanza, cioè alla rivendicazione di un mutamento dell’ordinamento sociale che esiste attualmente. (Palmiro Togliatti)