L’ORDINE NUOVO – Gramsci, Togliatti, Terracini e Tasca

Antonio Gramsci
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A distanza di molti anni, nella rivista L’ORDINE NUOVO che si pubblicò a Torino settimanalmente dal 1° maggio 1919 al 31 dicembre 1920 per iniziativa di Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini e Angelo Tasca, la prima cosa che colpisce è la straordinaria attualità e la validità, purtroppo oggi mutata, della battaglia politica e ideale che quei giovani rivoluzionari condussero per il rinnovamento delle strutture organizzate del movimento operaio italiano e per quello della cultura nazionale. Fin da quegli anni Piero Gobetti aveva colto il fatto che “L’ORDINE NUOVO” è stato decisamente un giornale di pensiero, singolarissimo in Italia, conscio dell’importanza dei problemi nazionali, preoccupato di fondare una coscienza politica nuova e di ascoltare le esigenze culturali del mondo moderno. E Lenin, dal canto suo, aveva acutamente compreso il carattere di novità nel panorama del socialismo italiano del tempo rappresentato dalle posizioni degli ordinovisti…
“Per ciò che riguarda il Partito socialista italiano – scrisse nelle Tesi per il II congresso dei l’internazionale Comunista – il II congresso della III Internazionale trova fondamentalmente giuste la critica di questo partito e le proposte pratiche, che sono state pubblicate, come indirizzo della sezione torinese al Consiglio del Partito socialista italiano, nel giornale L’ORDINE NUOVO dell’8 maggio 1920 e che corrispondono integralmente a tutti i principi fondamentali della III Internazionale”. Certo questi risultati furono il frutto di un processo lungo e laborioso, della ricerca appassionata della giusta linea che fu punteggiata in quei mesi di ferro e di fuoco da scontri e rotture nel gruppo che aveva dato vita al giornale, mosso, come avrebbe notato Gramsci, da una vaga passione d’una vaga cultura proletaria.
I motivi che avevano mosso i giovani intellettuali torinesi andavano ricercati, come avrebbe notato Togliatti, nella aspirazione “più a una ricca informazione enciclopedica sui temi del movimento operaio e della sua storia, che a un vero processo di rinnovamento culturale. Nonostante, però, la conseguente incertezza e confusione di alcune battute iniziali, fu precisamente a un processo di questa natura che noi approdammo. La nostra battaglia fu condotta sul terreno della politica e della organizzazione operaia, ma appunto per questo fu nuova, efficace e profonda l’azione che svolgemmo sul terreno culturale. La rivista si colloca, quindi, nel grande filone di sviluppo della cultura italiana, con una fisionomia originale, ricca di motivi, non tutti adeguatamente sviluppati e forse nemmeno tutti adeguatamente valutati, allora, ma che acquistano una evidenza particolare, oggi, alla luce di così ampie esperienze nuove”.

PER IL RINNOVAMENTO DEL SOCIALISMO

Angelo Tasca
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Nonostante la rapida maturazione del suo nucleo più omogeneo che lo portò ad essere, nel “biennio rosso”, l’interprete più fedele ed appassionato del rinnovamento in senso marxista della società e del movimento operaio italiani, e pur avendo avuto una funzione di primissimo piano nella nascita del Partito comunista d’Italia, il gruppo ordinovista non ebbe nel nuovo partito il peso e l’influenza che il suo valore gli avrebbero dovuto assicurare. I primi anni di vita del nuovo partito furono caratterizzati da un settarismo e da un chiuso dogmatismo che ben poco avevano a che fare con le posizioni aperte e creative alle quali erano approdati Gramsci e i suoi compagni. Ma come all’interno del partito socialista la battaglia ordinovista era stata combattuta contro le chiusure estremistiche e inconsistenti del massimalismo, così, nei primi anni di vita del partito comunista, prima cautamente poi sempre più apertamente, il gruppo torinese ricostituitosi sotto la direzione di Gramsci, operò per il rinnovamento del nuovo partito, per farne il partito della classe operaia e non solo un gruppo eroico di quadri la cui unica forza risiedesse nella rigida disciplina dei suoi membri e nella chiusura settaria verso ogni altra forza politica e ideale.

Fu così caratteristica costante dell’indirizzo de L’ORDINE NUOVO il rifiuto della negazione estremista ed anarchica della tradizione culturale. Anzi a quanto di più vivo vi era in questa tradizione Gramsci ed i suoi compagni si sarebbero rifatti per liberare la loro concezione rivoluzionaria da ogni incrostazione metafisica e meccanicistica. Nella dura polemica con i bordighiani che precedette il congresso di Lione, Togliatti avrebbe rivendicato la linea creativa, non negatrice seguita dal gruppo de L’ORDINE NUOVO…
“Al marxismo – scriveva – si può giungere per diverse vie. Noi vi giungemmo per la via seguita da Carlo Marx, cioè partendo dalla filosofia idealistica tedesca, da Hegel. Attendiamo ci si dimostri che questa origine è meno legittima di una eventuale origine da altri punti di partenza: dalle scienze matematiche, ad esempio, o dal naturalismo, o (perché no?) da una fede religiosa. Per conto nostro la via che abbiamo seguita è, rispetto a qualsiasi altra, la via maestra, ed ha tutti i vantaggi dell’essere tale”.

II riallacciarsi ai grandi filoni della cultura tradizionale non significava però abdicare alla specificità del marxismo, rinunziare a considerarlo come la più alta concezione del mondo finora elaborata dall’umanità e quindi, perciò, l’unica “vera”. Come rivendicare sul piano politico il contenuto di libertà che è proprio del movimento della classe operaia per costruire una società nuova, non escludeva, ma anzi presupponeva la funzione dirigente che spetta al partito della classe operaia come “nuovo principe” e “intellettuale collettivo”. Chi vuole il fine, sosteneva già allora Gramsci sulle pagine de L’ORDINE NUOVO deve volere i mezzi, giacché la moralità consiste appunto nell’adeguare i mezzi al fine. Volere la rivoluzione sociale per la liberazione degli uomini da ogni forma di sfruttamento materiale e spirituale, senza volere i mezzi rivoluzionari che sono quanto di più autoritario vi sia poteva significare solo rifugiarsi nel sogno piccolo borghese di un progresso umano senza rotture anche violente. Sul piano politico (come anche su quello culturale) i motivi della libertà e della costrizione si intrecciano in Gramsci e in tutta l’elaborazione de L’ORDINE NUOVO
in modo assolutamente originale. E l’accusa contradditoria di “spontaneismo” e di “volontarismo” che in quegli anni era un motivo ricorrente della polemica contro l’indirizzo de L’ORDINE NUOVO stava a confermare, come già ha notato lo stesso Gramsci, la fecondità di questa originale impostazione.

LA CULTURA DELLE MASSE

Umberto Terracini
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“Noi crediamo – si legge nelle cronache de L’ORDINE NUOVO del 19 luglio 1919 – perché siamo socialisti, che le idee tanto più sono feconde di bene, quanto più esse sono la espressione di uno stato d’animo maturato in tutta la massa, sotto lo stimolo della esperienza collettiva. Agli studiosi spetta di dare la guida generica, di chiarire le idee comuni, vero modo di accrescere la loro efficienza e la loro forza. La soluzione non la si trova sui libri, la soluzione sarà preparata dalla discussione e dall’esperienza comune. E questo diciamo per tutti quelli che pur animati dal migliore degli ardori, ma incerti sulla via da seguire, vorrebbero da noi un insegnamento completo, un’esposizione delle cose da farsi, compiuta fino nei più minuti particolari. Ora, a costoro, a tutti voi vogliamo dire: fate, lavorate, cercate voi…, le cose dette sul giornale, ripensatele, vedetele coi vostri occhi, trovatene le applicazioni pratiche che fanno al vostro caso. Solo quello che si conquista da sé ha valore, e nella lotte sociali e nella vita intellettuale soprattutto. Si faranno degli errori, ci saranno delle incertezze, ma questa è la vera scuola, la scuola vivente, la concreta scuola di rivoluzionarismo, di autonomia, di libertà”.
Da questa impostazione discende poi la concezione profondamente rivoluzionaria e di scottante attualità in questo momento del problema della scuola che troviamo in un’altra pagina di Gramsci…
“Abbiamo già altre volte accennato al modo come crediamo dovrebbe essere fatto un giornale, anzi una rassegna comunista di cultura. Essa deve tendere a diventare, nel suo piccolo, una cosa completa, e se anche non può giungere a soddisfare tutti i bisogni intellettuali dei nucleo di uomini che non solo la leggono, ma la sostengono col loro consenso, e vivono intorno ad essa e le comunicano un poco della loro vita, essa deve cercare di far sì che nelle sue pagine tutti trovino ciò che li interessa e li appassiona, e ciò che li solleva dal peso quotidiano del lavoro, della lotta economica, della discussione politica. La rivista dovrebbe almeno dare l’incitamento a uno sviluppo completo delle proprie facoltà mentali, a una vita più alta e piena, più ricca di motivi ideali e di armonia, lo stimolo a un arricchimento della propria personalità. Perché non potremmo cominciare noi, con le nostre modeste forze, in mezzo a quei gruppo di giovani che ci seguono con fiducia e con aspettazione, l’opera che sarà della scuola, della nostra scuola di domani? Perché la scuola socialista, quando sorgerà, sorgerà necessariamente come una scuola completa, tenderà ad abbracciare subito tutti i rami dell’umano sapere. Sarà una necessità pratica e sarà un’esigenza ideale. Non vi sono già ora degli operai, ai quali la lotta di classe ha dato un senso nuovo di dignità e di libertà, che, quando leggono i canti dei poeti o sentono fare i nomi degli artisti e dei pensatori, si chiedono con rammarico…Perché la scuola non ha insegnato queste cose anche a noi?… Ma si consolino essi: la scuola, com’è stata fatta negli ultimi dieci anni, com’è stata fatta ora dalla classe che ci dirige, non insegna più nulla a nessuno, o ben poco. Il compito educativo tende ora ad attuarsi per altre vie, liberamente, attraverso spontanee associazioni di uomini animati dal desiderio comune di migliorare se stessi. Perché un giornale non potrebbe diventare il centro di uno di questi gruppi? Anche in questo campo lo Stato dei borghesi sta per far fallimento. Dalle sue mani aggrinzite nello sforzo unico di accumulare ricchezze per i privati, la fiaccola della scienza è caduta, come è caduta la lampada sacra della vita. A noi il raccoglierla, a noi il farla brillare d’una luce nuova”.

UNA LEZIONE ATTUALE

 Palmiro Togliatti
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La lezione antidogmatica, antisettaria de L’ORDINE NUOVO appare particolarmente preziosa oggi che da più parti, contro il presunto “revisionismo” dei partiti comunisti, si giunge a rivendicare un estremismo a forti tinte anarcoidi come antidoto a quella che, parafrasando Lenin, viene bollata come “malattia senile del comunismo”. Il leader degli studenti francesi Cohn-Bendit con il concorso del fratello ha addirittura scritto un libro nel quale, offrendo una testimonianza alquanto rara di disinvoltura, si improvvisa storico, teorico, politico, profeta, e nel quale in una girandola di sentenze e condanne parla un po’ di tutto.

La “testa di turco” contro cui si avventa il giovane studente tedesco è naturalmente la “burocrazia staliniana” ma quel che sembra essere l’obiettivo reale è la concezione stessa del partito rivoluzionario quale Lenin ha elaborato soprattutto nel “Che fare?”.

Che però tutto si risolva in un gioco Cohn-Bendit lo dice espressamente nell’ultima pagina, “Ora, vestiti – perché spero che tu abbia letto queste pagine stando a letto – e va’ pure al cinema. Là, guarda la tetra noia di quello spettacolo che normalmente ti esclude. Guarda le immagini che si agitano davanti ai tuoi occhi, guarda gli attori che fingono di recitare le azioni che tu vivi ogni giorno senza però, disgraziatamente, recitarle. Poi, nel momento in cui sullo schermo appare la prima immagine della pubblicità, prendi i pomodori che ti sei portato dietro ed entra in azione. Prendi le uova, e tirale. Rifiuta tutto”.

A quei giovani che si lasciano affascinare dal verbalismo rivoluzionario e dal dilettantismo di questo tipo va indicata perché la meditino la lezione di rigore che ci viene a quasi cento anni di distanza dalle pagine sbiadite dal tempo de L’ORDINE NUOVO.

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