MAZZINI E L’UNITÀ D’ITALIA
La gioventù di Mazzini
Questo mercato della loro libertà imitò fortemente i Genovesi, a qualsiasi classe sociale appartenessero e favorì l’estendersi di una opinione repubblicana, avversa ai Savoia.
Maria Mazzini Drago, madre di Giuseppe Mazzini |
Prima pagina di un numero dell’Indicatore Genovese il giornale sul quale apparvero i primi scritti di Mazzini |
Quando, nel febbraio del 1830, la pubblicazione ne fu proibita, Mazzini, era già da qualche tempo impegnato in una attività più pericolosa e impegnativa. Egli aveva aderito alla Carboneria e lavorava alacremente per cercare nuovi proseliti.
La fondazione della Giovine Italia
Mazzini era convinto che l’Europa fosse alla vigilia di un grande movimento rivoluzionario e che il popolo italiano fosse maturo per parteciparvi. Alla rivoluzione gli uomini erano spinti dall’idea del progresso, idea matrice della storia, ispirata da Dio.
“La Provvidenza”, egli scriveva, “ha stabilito una legge generale di progresso e di miglioramento per le razze umane. Ha di più stabilito che ogni uomo debba giovare allo sviluppo di siffatta legge e questa costituisce la missione di ogni uomo. Alla fine di questa missione ai sarà per noi pace e felicità: più tardi o più presto secondo che noi avremo fatto più bene o meno”.
Questa era la verità che l’uomo aveva il dovere di diffondere e attuare.
Per portare a termine la sua missione I’uomo avrebbe sofferto.
“Ma”, proclamava Mazzini, “il sacrificio solo è santo”.
Ma in qual modo era costituita l’umanità? Essa era l’associazione delle nazioni, organismi attraverso i quali esplicava la sua attività.
La parola nazione indicava, a sua volta, l’associazione di quegli uomini, “che per lingua, per condizioni geografiche, per patrimonio di cultura e di civiltà, formano un solo gruppo, riconoscono uno stesso principio e si avviano, sotto la scorta di un diritto comune, al conseguimento di un medesimo fine. Nazionalità è la parte che Dio ha prescritto a ogni gente nel lavoro umanitario, la missione, il compito che ogni popolo deve compiere sulla terra, perchè l’idea divina possa attuarsi nel mondo”.
La rivoluzione europea, secondo le idee del Mazzini, aveva un nome, nazionalità.
Necessario, per il progresso dell’umanità, era il costituirsi dell’Italia a nazione.
“Oggi l’Italia è disunita ed oppressa. Noi non abbiamo bandiera nostra, non nome politico, non voce tra le nazioni d’Europa; non abbiamo centro comune€, nè patto comune, nè comune mercato. Siamo smembrati in 8 stati, indipendenti l’uno dall’altro, senza alleanza, senza unità d’intento, senza contatto reciproco regolare. Otto linee doganali, senza numerare gli impedimenti che spettano alla trista amministrazione interna di ogni Stato, dividono i nostri interessi materiali, inceppano il nostro progresso, ci vietano ogni incremento di manifatture, ogni vasta attività commerciale… E tutti questi Stati, fra i quali noi siamo divisi, sono governati dispoticamente, senza intervento alcuno del paese.Uno, contenente il quarto, quasi, della popolazione italiana, appartiene allo straniero, all’Austria; gli altri, per vincoli di famiglia o per coscienza di debolezza, piegano ad ogni sua volontà”.
Eppure è indubitabile che una nazione italiana esista.
“Non vi sono cinque Italie, quattro Italie, tre ltalie. Non vi è che un’Italia. Dio, che creandola sorrise sovr’essa, le assegnò per confine le due più sublimi cose ch’ei ponesse in Europa, simboli dell’eterna forza e dell’eterno moto: le Alpi e il mare. Sia tre volte maledetto da voi, e da quanti verranno dopo qui, qualunque presumesse di segnarle confini diversi”.
Compito della Giovine Italia era operare affinchè ciò che era stato destinato da Dio, e cioè la formazione della nazione italiana, si avverasse.
Perciò la Giovine Italia era unitaria, perchè senza unità non vi è veramente nazione.
“Senza unità di credenza e di patto sociale, senza unità di legislazione politica, civile, penale, senza unità di educazione e di rappresentanza non c’è nazione.
L’unità doveva essere lo scopo fondamentale del Risorgimento e doveva coronare un processo storico secolare. “L’unità fu ed è nei fati d’Italia”. Ma per costituirsi ad unità l’Italia doveva abbattere due ostacoli: il papato e la Austria. Roma non era solamente la capitale d’Italia, era anche la sede dell’istituzione papale, “sorgente d’ogni autorità arbitraria usurpata in Europa, dell’istituzione che dichiarava serva l’anima umana. La libertà di Roma era la libertà del mondo”.
Così pure la sconfitta dell’Austria avrebbe significato non solamente la libertà per l’Italia, ma anche la libertà per tutti i popoli soggetti agli Asburgo e la loro costituzione in nazioni.
La Giovine Italia era repubblicana perchè, teoricamente, “tutti gli uomini di una nazione sono chiamati, per la legge di Dio e dell’umanità a essere liberi, uguali e fratelli e l’istituzione repubblicana è la sola che assicuri questo avvenire, perchè la sovranità risiede essenzialmente nella nazione, sola interprete progressiva e continua della legge morale suprema”.
D’altra parte la tradizione italiana era tutta repubblicana, non monarchica.
“Repubblicane le grandi memorie, repubblicano il progresso della nazione, e la monarchia s’introdusse quando cominciava la nostra rovina e la consumò: fu serva continuamente dello straniero, nemica al popolo e all’unità nazionale”.
Queste furono le idee principali, direttrici, che il Mazzini e i suoi amici posero alla base della Federazione della Giovine Italia. A capo della società fu nominata una congrega centrale, della quale Mazzini fu presidente. A sua volta la congrega centrale creò delle congreghe provinciali e queste, città per città, un ordinatore. Gli iscritti, che avrebbero dovuto essere giovani, presero il nome di federati e furono divisi in federati propagatori e in federati semplici. Ognuno, per ragioni di cautela cospirativa, prese un nome di battaglia. Mazzini, ad esempio, si fece chiamare Filippo Strozzi.
La diffusione della nuova associazione fu rapida,e ben presto si formarono congreghe in Liguria e Toscana.
Le cospirazioni mazziniane contro i Savoia
Il 27 aprile 1831 Carlo Alberto era finalmente riuscito a salire su quel trono, per avere il quale si era ignobilmente umiliato davanti al suo predecessore Carlo Felice e davanti agli onnipotenti capi dell’Austria, l’imperatore Francesco I e il ministro Metternich, scongiurandoli che lo perdonassero del breve fallo liberale del 1821. Il suo primo gesto, non appena ebbe in mano il potere, fu la stipulazione di un trattato segreto di alleanza militare con l’Austria. Per Carlo Alberto i patrioti esuli in Francia erano la canaglia italiana; quelli rimasti in patria i pidocchi. Questi ultimi li chiamava così, perchè era convinto che si annidassero dappertutto, in ogni branca dell’amministrazione pubblica. Egli stesso dirigeva le operazioni di polizia e fu egli e scoprire, fin dai primi giorni del suo regno, una innocua cospirazione , detta dei Cavalieri della libertà, ordita dall’avvocato Angelo Brofferio, che divenne poi uno dei più importanti uomini politici del Piemonte e dai fratelli Giacomo e Giovanni Durando, futuri generali.
Ebbero inizio gli arresti, cominciarono le delazioni e i patrioti incriminati, condotti davanti ai tribunali militari, furono condannati a morte. Dodici di essi furono fucilati, due si uccisero.
Il 26 ottobre il Consiglio di guerra di Alessandria condannò a morte in contumacia il Mazzini, come “nemico della Patria e bandito di primo catalogo”.
Mazzini si decise per questa seconda via.
“Se noi agiamo risolutamente”, egli disse, “se cacciamo una scintilla di vivo fuoco, l’Italia è un vulcano”.
Ma alla prima delusione se ne aggiunsero altre. Il piano prevedeva una sollevazione generale a Napoli, che avrebbe dovuto estendersi alle limitrofe province dello Stato Pontificio. Gruppi di volontari provenienti dalla Corsica e da Marsiglia, avrebbero dovuto sbarcare a Livorno, mentre altre colonne, calando dalla Savoia, avevano il compito di piombare su Torino. Contemporaneamente i mazziniani sarebbero insorti a Genova, con l’aiuto dei marinai ammutinati della flotta militare.
Per ammutinare la marina militare egli contava sull’opera del giovane Garibaldi; per la spedizione in Savoia egli si rivolse al generale Gerolamo Ramorino, che si era fatto una fama combattendo a fianco dei Polacchi. Ramorino si fece dare 40.000 franchi, andò in Francia per acquistare armi, li sperperò al gioco e quando tornò in Svizzera non aveva nè un soldo nè un fucile. Tuttavia intorno a Mazzini si erano raccolti molti volontari, italiani, polacchi, francesi e tedeschi. Perciò un consiglio di guerra decise di iniziare egualmente l’impresa, pur sapendo che le molte spie avevano informato i governi di quanto si stava preparando.
La principale, col Ramorino e il Mazzini; penetrò in Savoia, occupò il paesetto di Annemasse, poi indugiò e alla fine si sbandò, quando i volontari si accorsero che il Ramorino non aveva alcuna intenzione di proseguire sul serio fino in fondo. Mazzini, in preda alla disperazione e alla febbre fu ricondotto in territorio svizzero.
Anche a Genova la progettata rivolta fallì prima ancora di essere iniziata.
Il pensiero mazziniano domina il movimento insurrezionale italiano
Carlo Alberto di Savoia-Carignano, re di Sardegna dal 27 aprile 1831 |
Mazzini poté quindi rimanere ancora a Berna e quivi, proseguendo con grande forza d’animo la sua opera, costituire il Comitato della Giovine Europa, allo scopo di coordinare le forze rivoluzionarie delle nazioni europee.
L’atto di fratellanza fu firmato il 15 aprile 1834 da 17 profughi italiani, polacchi e tedeschi. L’organizzazione della Giovine Europa proseguì con fervore e il 31 maggio 1835 vi fu un’assemblea generale dei suoi aderenti.
Traversarono la Francia scortati dalla polizia e nel gennaio 1837 trovarono definitiva residenza a Londra.
Qui guardo il cielo, la luna, la terra come cose morte; libro chiuso. Soli non si può vivere ed io non ho persona che voglia udire do sensazioni mie. Quando torno a casa dalla biblioteca, mi par di entrare in casa non mia, in camera non mia. Mi par desolata, vuota, come se fosse sepolcro. Il mio vivere è una continua lotta, un’alternativa continua tra una decisione che s’impadronisce di me e che, a certi momenti, senza cagione immediata alcuna, mi mette voglia di piangere e di far ragazzate e una tensione d’animo che cerco con ogni mia possa, dalle mie credenze di dovere, di vita, di missione, di rinnegamento dell’io. In questa lotta che subisco muto e immobile, io ho potuto almeno, convincermi che la mia fede è forte in me, radicata nell’anima e che morrò in quella”.
Tornò ad occuparsi di politica. La Giovine Italia non esisteva quasi più; i membri ne erano sbandati, molti patrioti l’avversavano apertamente.
Il 30 aprile 1840 Mazzini diffuse una circolare per annunciare che la Giovine Italia aveva ricominciato il suo lavoro di associazione. Rapidamente la ripresa di attività diede i suoi frutti e ovunque si riformarono, in Italia e fra gli esuli fuori d’Italia gruppi mazziniani. Mazzini cercò inoltre di allargare la base sociale del movimento facendo appello agli operai.
La crisi di scoraggiamento, la “tempesta del dubbio”, che aveva travagliato Mazzini nell’ultimo periodo degli anni trenta, era nata dalla convinzione che non esistesse nel popolo italiano spirito rivoluzionario. Non era così. In realtà, nonostante le ripetute sconfitte, esisteva in tutta la penisola, ma soprattutto nella borghesia meridionale e in quella dello Stato pontificio, un forte sentimento di malcontento e di ribellione, che ogni tanto dava luogo ad esplosioni.
Nell’agosto del 1843 ebbe luogo il moto di Savigno, in Emilia, e il tentativo di colpo di mano su Imola, ambedue falliti. Per questi episodi furono fucilati sette patrioti. Altri furono condannati a morte per singoli attentati a militari pontifici. Ma la spietata repressione non mise fine al fermento rivoluzionario.
Il 23 settembre 1845 gli insorti si impadronirono di Rimini. Uno dei cospiratori, Luigi Carlo Farini, scrisse un Manifesto delle popolazioni dello Stato romano ai principi e ai popoli d’Europa.
Anche gli insorti di Rimini dovettero, poi, sbandarsi e rifugiarsi nel territorio toscano.
La sua fama era anche accresciuta dalla ricerca affannosa che ne facevano le polizie. A lui si rivolse, nel novembre 1843, l’ufficiale di marina austriaco Attilio Bandiera, il quale, col fratello Emilio, aveva fondato una nuova società segreta intitolata Esperia. I due inviarono al Mazzini il collega ed amico Domenico Moro, il quale aveva l’incarico di illustrare al capo della Giovine Italia i progetti rivoluzionari dell’Esperia. Fu deciso che quest’ultima sarebbe stata una sezione della prima e che Mazzini ne sarebbe stato il dittatore.
Alta e nobile figura di combattente per la libertà, al contrario, quella di Nicola Ricciotti, dal Mazzini incaricato di mettersi alla testa dei più giovani e meno esperti cospiratori.
“Sono pieno di dolore per la morte dei Bandiera e dei loro compagni”, scriveva il Mazzini alla madre. “Dolore non per la causa, che la perdita di pochi individui non può far retrocedere; ma per gli individui stessi che erano delle migliori anime che io abbia incontrato negli ultimi dieci anni”.
Incontrati spiritualmente, perchè personalmente i Bandiera e Mazzini non si incontrarono mai. “In poche pagine che io consacrerò alla loro memoria dirò fin dove io li conosceva; ma certo è che erano giovani rari. Bensì, l’ardore in essi era soverchio; e la spedizione in venti fu fatta da loro a dispetto, non solamente di me, ma dei nostri amici in Malta e Corfù”.
Il Mazzini pensava sempre che la soluzione del problema nazionale dovesse essere unitaria e repubblicana e dovesse nascere da una iniziativa di quello che egli chiamava popolo, cioè da una iniziativa della borghesia rivoluzionaria. Ma ci voleva un capo militare e per questo aveva messo gli occhi su Giuseppe Garibaldi, divenuto celebre dopo le sue campagne nell’America meridionale.
Mazzini e Pio IX
Il Mazzini cominciò con l’affermare come egli non fosse quel pericoloso estremista quale la voce pubblica lo faceva apparire…”Io son sono sovvertitore, nè comunista, nè uomo di sangue, nè odiatore, nè intollerante, nè adoratore di un sistema o d’una torma immaginata dalla mente mia. Adoro Dio e un’idea che mi par di Dio: l’Italia una, angiolo di unità morale e di civiltà progressiva alle nazioni d’Europa. Qui e dappertutto ho scritto, come meglio ho saputo, contro i vizi di materialismo, d’egoismo e di reazione e contro le tendenze distruggitrici che contaminano molti del nostro partito”.
Questa era la sua convinzione ed egli si rivolgeva al papa, “come a Dio, al di là del sepolcro”. L’Europa era in una crisi tremenda di dubbi e di desideri; la fede era morta, il cattolicesimo perduto nel dispotismo, il protestantesimo nell’anarchia.
Pio IX poteva affrettare quel momento mettendosi a capo del futuro sviluppo religioso. Egli, Mazzini, lo chiamava a questa missione , ma per compierla lo avvertiva che erano necessarie due cose: “essere credente e unificare l’Italia”.
La lettera esortava Pio IX a essere credente, ad aborrire di essere re, uomo di Stato, e ad operare per l’unificazione italiana.
Il Quarantotto e il Quarantanove
Frattanto era venuto il 1848 e la rivoluzione europea divampò. Cominciò la ribellione di Palermo, la quale, mettendo in moto tutto il partito liberale dell’Italia meridionale, obbligò il re Ferdinando II a concedere la costituzione. Seguirono, sulla strada delle riforme e della costituzione, premuti dal movimento ormai inarrestabile della borghesia liberale e dei gruppi più avanzati del proletariato, il granducato di Toscana, il re di Sardegna e lo stesso pontefice Pio IX.
Frattanto, nel febbraio la rivoluzione era scoppiata a Parigi , la monarchia era stata abbattuta e la seconda repubblica proclamata. Rapidamente la fiamma rivoluzionaria si diffuse in Europa; insorsero i Tedeschi, gli Ungheresi e gli Austriaci. Da Vienna venne la notizia della fuga del Metternich. Fu allora la volta dell’Italia, il cui moto culminò nelle Cinque Giornate di Milano e nella sconfitta dell’esercito del Radetzki.
Subito dopo ebbe inizio la prima guerra d’indipendenza.
L’8 aprile, accolto da manifestazioni popolari, giunse a Milano e si accinse alla pubblicazione del giornale L’Italia del popolo.
Carlo Cattaneo, Giuseppe Ferrari e gli altri repubblicani, che avevano guidato la rivoluzione popolare delle Cinque Giornate, gli denunciarono le manovre compiute da Carlo Alberto, con la complicità del Governo provvisorio lombardo, onde ottenere, nonostante i patti convenuti, l’immediata annessione della Lombardia al regno di Sardegna. Mazzini rifiutò la proposta del Cattaneo di operare un colpo di stato contro il Governo provvisorio, invocando l’intervento francese.
Battaglia di Custoza |
In Svizzera Mazzini riprese instancabilmente la trama del suo lavoro cospirativo. Seguì con attenzione le vicende italiane, mantenendo il collegamento coi repubblicani francesi, ai quali dichiarò che in Italia la guerra dei re era finita e cominciava la guerra dei popoli. Cercò anche di suscitare un moto nell’Alta Lombardia, che fallì. Anche le speranze nella Francia fallirono, quando il potere cadde nelle mani di Luigi Napoleone, il futuro Napoleone III.
Mazzini scrisse una lettera a Gerolamo Buonaparte, affinchè convincesse il cugino presidente a rimaner repubblicano.
Ogni tanto subiva delle crisi di sfiducia e gli veniva da pensare che il popolo italiano, corrotto dal gesuitismo e dal machiavellismo, fosse inferiore alla sua missione…
“Io non credo che la provvidenza abbia mai detto così chiaramente ad una nazione: tu non avrai altro Dio che Dio, nè altro interprete della sua legge che il popolo. E non credo che sia al mondo gente più ostinata della nostra a non vedere nè intendere. La provvidenza ha fatto dei nostri principi una razza di inetti e di traditori e noi vogliamo andare innanzi a rigenerarci con essi. La provvidenza, quasi a insegnarci guerra di popolo, ha fatto sconfiggere un re in una impresa già quasi vinta e noi non vogliamo far guerra se non con quel re. La provvidenza ha fatto del Borbone di Napoli un commento vivo dei ricordi di Samuele agli Israeliti che chiedevano un re e la Sicilia, liberata di quello, bussa alle porte delle sale regie in cerca di un altro. La provvidenza fa di un papa un fuggiasco spontaneo, vi toglie, come una madre al bambino ogni ostacolo e voi, ingrati, rimanete in forse…”.
In un’altra lettera dichiarava di meditare la fondazione di un grande partito nazionale, di un partito dell’azione.
La Repubblica Romana
Subito il Mazzini si recò in Toscana e propose l’immediata unione di questa regione con Roma e la proclamazione della repubblica. Non fu ascoltato.
Quando giunse notizia che le ostilità fra il Piemonte e l’Austria stavano per ricominciare, il comitato esecutivo, spinto dal Mazzini decise di mandare un corpo di spedizione sul Po. Ma la fulminea sconfitta di Novara, mandò all’aria il progetto.
L’Assemblea, in previsione di un assalto reazionario alla Repubblica, decise di rafforzare il potere esecutivo e nominò un triumvirato, composto da Mazzini, Saffi e Armellini, con poteri illimitati per la guerra dell’indipendenza e la salvezza della Repubblica.
Arbitro del potere in Roma, Mazzini svolse un’opera assidua ed efficace per dare una prima organizzazione al nuovo Stato e per superare le gravissime difficoltà economiche, finanziarie ed amministrative che ne minacciavano l’esistenza.
Giuseppe Mazzoni |
Per migliorare le condizioni del popolo, il Triumvirato decise, il 15 aprile, che una grande quantità dei beni rustici, provenienti dalle corporazioni religiose e dalle manimorte, dovevano essere assegnati alle famiglie del popolo sfornite di mezzi, affinchè li coltivassero.
Il 27 questo decreto fu completato da una serie di norme precise per Ia divisione della terra secondo il numero dei componenti delle varie famiglie. Provvedimenti di questo genere, i più avanzati ai quali potesse giungere la borghesia italiana e che riportavano alla memoria le famose leggi dei robespierristi, guadagnarono alla Repubblica la simpatia delle masse rurali, che non fornirono uomini alla reazione. Misero, invece, in sospetto i ceti abbienti.
Un giornale liberale La speranza dell’epoca, scrisse: “Ciò potrebbe dar pretesto all’irruzione del comunismo e del socialismo tra noi”.
Ai liberali moderati fece eco l’inferocito Pio IX da Gaeta. Egli affermò che Roma, “fatta una selva di belve furenti, riboccava di uomini di ogni nazione, i quali, o apostoli o eretici o maestri di comunismo e di socialismo e animati da tutto l’odio contro la cattolica verità, si sforzano d’insegnare e diffondere ogni sorta di pestiferi errori”.
Per sterminarli il papa invocava l’aiuto delle potenze cattoliche, dell’Austria, della Francia, delle Due Sicilie e della Spagna.
Nicolas Charles Victor Oudinot |
Il piccolo esercito romano, del quale il Mazzini aveva avuto il torto di dare il comando al poco efficiente generale Pietro Roselli, il 30 aprile affrontò le agguerrite truppe francesi e le ricacciò. Garibaldi, principale artefice della vittoria, avrebbe voluto inseguire i Francesi e obbligarli a riprendere il mare. Mazzini non volle, perchè sperava in una riscossa delle correnti politiche di sinistra in Francia, riscossa che fu tentata e soffocata con la forza.
Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi – Il Triumvirato romano |
Così pure il Mazzini si lasciò invischiare in una lunga serie di trattative con Ferdinando di Lesseps, rappresentante in buona fede della Francia, mentre nel frattempo Luigi Napoleone triplicava le forze del corpo di spedizione. Ciò permise all’Oudinot di assalire all’improvviso con grande superiorità di uomini e di mezzi, i difensori di Roma e di averne ragione dopo una serie di epici combattimenti, durati per tutto il mese di giugno 1849.
Mazzini, Pisacane e Garibaldi avrebbero voluto uscire da Roma con l’esercito e continuare la guerra nelle campagne€, ma l’assemblea preferì cessare una resistenza divenuta impossibile. Garibaldi iniziò la sua leggendaria ritirata. Mazzini rimase indisturbato a Roma fin verso la metà di luglio poi fece ritorno in Svizzera.
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Dalla caduta di Roma alla II Guerra d’indipendenza
In questo comitato Mazzini rappresentava l’Italia, Ledru-Rollin la Francia e Luigi Kossuth l’Ungheria.
I membri più notevoli del comitato italiano erano Aurelio Saffi, Aurelio Saliceti, Mattia Montecchi e Giuseppe Sirtori.
Comitati d’ispirazione mazziniana si formarono in tutta Italia, e specialmente nel Lombardo-Veneto, nonostante la spietata repressione austriaca. Bastava essere trovato con una cartella del prestito mazziniano o con un manifestino, per essere condotto a morte. E purtroppo l’opera della bene organizzata polizia austriaca, aiutata dalle spie e dagli agenti provocatori, diede ben presto i suoi tristi frutti.
Caddero nelle sue mani e pagarono con la vita Luigi Dottesio, Amatore Sciesa, i martiri di Belfiore.
Belfiore, Mantova – Monumento ai martiri |
Nel 1853 avvenne l’insurrezione operaia di Milano, non promossa dal Mazzini, ma alla quale egli collaborò. Esito infelice ebbero pure tutti i tentativi che più o meno esattamente furono attribuiti all’iniziativa mazziniana, da quello di Pier Fortunato Calvi a quello di Carlo Pisacane.
Carlo Cattaneo, Giuseppe Ferrari, Filippo De Boni e altri giunsero alla conclusione che la rivoluzione sociale doveva precedere in Italia la guerra per l’indipendenza, perchè il vero nemico non era l’Austriaco, ma i ceti ricchi del nostro paese. Bisognava perciò introdurre nel programma nazionale italiano i principi socialisti.
Il contrasto col Mazzini, che accusava gli avversari di materialismo diventò più acuto di giorno in giorno, fino alla rottura.
Nonostante i suoi egoismi, i suoi ripiegamenti, la sua servilità verso le potenze straniere, la classe rivoluzionaria in Italia in quel periodo era la borghesia abbiente e tutto ciò che era contro gli interessi della borghesia , era, in ultima analisi, controrivoluzionario.
Alla Società nazionale aderì anche Garibaldi. Mazzini cercò di parare il colpo proponendo la bandiera neutra, cioè che si liberasse l’Italia, senza imporre preventivamente alle popolazioni la monarchia o la repubblica.
Ma evidentemente i Savoia non avrebbero accettato una simile condizione.
Gli ultimi anni
Giuseppe Garibaldi |
Quando scoppiò la guerra del 1859, Mazzini, accentuando la propria intransigenza, fu nettamente contrario all’alleanza con Napoleone III e all’iniziativa regia. Fu invece merito suo la preparazione dell’ambiente siciliano alla spedizione dei Mille, pur disapprovando la parola d’ordine: Italia e Vittorio Emanuele.
Quando si delineò la vittoria garibaldina, si recò a Napoli, e cercò di influenzare Garibaldi in senso repubblicano. Ma i suoi consigli si urtavano con la realtà e il dittatore non potè seguirli. Fondò a Napoli l’Associazione nazionale unitaria e pubblicò molti articoli sui giornali L’Unità italiana, L’Iride e Pensiero e azione.
L’anno dopo, a Genova, fondò una Società democratica unitaria, col programma di sottrarre l’Italia alla egemonia napoleonica e sospingerla alla liberazione di Roma e Venezia. Le associazioni unitarie mazziniane e i comitati di provvedimento garibaldini si unirono poi in un grande organismo, che prese il nome di Società emancipatrice italiana.
Per la liberazione di Roma e di Venezia Mazzini intervenne in molte trame cospirative e non esitò neppure ad entrare in rapporti col re d’Italia, che voleva creare moti insurrezionali nelle province orientali dell’Austria.
Con Garibaldi ebbe periodi di accordo, come nel 1864, quando lo incontrò a Londra, e periodi di acerbi contrasti.
Agì con energia per la liberazione di Roma, ma Garibaldi lo accusò di essere uno dei responsabili della sconfitta di Mentana.
Nel 1866 fondò l’Alleanza repubblicana universale e tre anni dopo, con l’aiuto di elementi garibaldini, suscitò in Italia un moto repubblicano che fallì.
Per qualche tempo fu prigioniero nella fortezza di Gaeta. Quando uscì, cercò di riprendere l’attività politica, ma ormai inguaribilmente malato, cercò ristoro a Pisa, sotto falso nome, e quivi morì il 10 marzo 1872.
Monumento a Mazzini – Central Park di New York (Giovanni Turini) |