CANDELAIO – Giordano Bruno

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CANDELAIO

Commedia in prosa in cinque atti di Giordano Bruno.

Composta tra il 1576 e il 1581, venne pubblicata a Parigi nel 1582.

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PERSONAGGI

Bidello
Messer Bonifacio, candelaio
Ascanio, paggio di Bonifacio
Messer Bartolomeo, alchimista
Pollula, allievo di Mamfurio
Sanguino, mariuolo
Mamfurio, grammatico pedante
Lucia, ruffiana
Messer Gioan Bernardo, pittore
Scaramuré, necromante
Cencio, truffatore
Marta, moglie di Bartolomeo
Messer Ottaviano
Signora Vittoria, cortigiana
Barra, mariuolo
Marca, mariuolo
Corcovizzo, mariuolo
Mochione, garzone di Bartolomeo
Carubina, moglie di Bonifacio
Consalvo

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ATTO I

Bonifacio, soprannominato Candelaio per i suoi trascorsi omosessuali, è marito di Carubina e si invaghisce di Vittoria, per conquistare la quale ricorre alle arti magiche di Scaramurè.
Bonifacio confida la sua passione all’amico Bartolomeo, turlupinato dall’alchimista Cencio, che gli ha venduto a caro prezzo il segreto per fabbricare l’oro, attività da cui è completamente assorbito, con vivo dispetto della moglie Marta.
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ATTO II

Bonifacio fa comporre al pedante Manfurio una lettera d’amore da inviare a Vittoria, che, tramite la ruffiana Lucia e Sanguino, progetta di spennare il suo corteggiatore.
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ATTO III

Scaramurè ha elaborato un ritratto di Vittoria e istruisce Bonifacio sui riti magici da compiere per utilizzarlo, ma in realtà s’è alleato con Vittoria, Lucia e Sanguino per spillare soldi a Bonifacio.
I quattro tendono un agguato a Bonifacio, per spaventarlo insieme a Manfurio, derubato da Sanguino di una borsa piena di denari.
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ATTO IV

Vittoria riferisce tutto a Carubina, che, per vendicarsi del marito, si sostituirà a lei nell’appuntamento notturno già fissato con Bonifacio.
Durante la notte Manfurio, derubato dei suoi abiti, è arrestato da Sanguino e dai suoi compagni travestiti da sbirri.
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ATTO V

Bonifacio, travestito da Giovan Bernardo, è stato scoperto da Caruhina, e Giovan Bernardo pretende la restituzione degli abiti, facendolo arrestare.
Carubiba è consolata da Giovan Bernardo, che le rivela di amarla e intercede per la liberazione del marito…, Manfurio è liberato dopo una buona dose di scudisciate.
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Giordano Bruno dette il suo contributo al teatro cinquecentesco con la commedia IL CANDELAIO, prosa in cinque atti, probabilmente scritta tra il 1576 e il 1581, e pubblicata a Parigi nel 1582.
Silvio d’Amico, critico cattolico, non esitò a scrivere che… “la commedia, per il suo impianto robusto e per l’estrosità della sua caratterizzazione, rappresenta un momento della storia del teatro italiano”.
Del suo contenuto satirico, notò il De Sanctis, che la letteratura è pedanteria, la scienza è impostura, l’amore è bestialità.
Lo smascheramento dell’ipocrisia attuato nel CANDELAIO restava una voce isolata e subito dispersa.
Lo spunto satirico diffuso a piene mani e così legato ad una realtà circostanziata dai fatti e di persone riprende con piena evidenza il filo tracciato inizialmente dalle farse studentesche del Quinto secolo e dalle “maccaronee”.
L’avaro Bonifacio, soprannominato Candelaio per i suoi trascorsi omosessuali, è marito di Carubina e si invaghisce della meretrice Vittoria e ricorre alla stregoneria per conquistarla, ritenendo di non poter fare altrimenti e pur di non spendere denari in regali.
Bartolomeo si preoccupa di inseguire unicamente i suoi sogni di alchimista e per questa sua mania trascura i suoi doveri di marito.
Manfurio, un pedante, si sente talmente convinto della propria superiorità culturale, che manifesta con l’uso a proposito e a sproposito di frasi latine, da non tenere in alcun conto il prossimo.
Bonifacio viene, come merita, raggirato bellamente da un falso negromante.
In luogo di Vittoria si trova tra le braccia la moglie Carubina, che dopo averlo aspramente rimproverato per il tentato tradimento, finisce col cedere alla corte di Gioan Bernardo.
Bartolomeo, dal canto suo, incorre anche egli in una duplice disavventura in quanto viene truffato di seicento scudi da un falso alchimista e tradito dalla moglie, che si getta con molta soddisfazione nelle braccia di Barra.
Manfurio, infine, è deriso per la sua falsa dottrina da Ottaviano.
Per i tre non è finita.
Si offrono come bersaglio alle imprese di una banda di mariuoli, dai quali oltre al danno ricevono anche le beffe degli amici, quando i malnati, travestiti da guardie, li sequestrano momentaneamente, e per quanto riguarda Manfurio, con l’aggiunta di una buona dose di legnate,.
Ogni personaggio ha un suo grado di abiezione (salvo forse nell’amore del pittore Gioan Bernardo, nella saggezza dell’adolescente Ascanio): ma più spregevole è quella nascosta, apparentemente rispettabile.
Con l’intensa varietà di un linguaggio parlato così vicino alla vita, eppure così fantasiosamente espressivo, Giordano Bruno crea un affresco a colori sgargianti, dai chiaroscuri potenti, in cui sapienza classica e sapienza popolare trovano fusione, in cui il sarcasmo diviene epico e dietro la comicità prorompente si nasconde una sottile vena di malinconia (quale si esprime nella digressione sulla fortuna e sulla inadattabilità degli uomini al mondo).
La scena italiana non ritroverà mai più la schiettezza rappresentata e la grandiosità del tratto che sono proprie di quest’opera.
In questo frutto tardivo, edito a Parigi, per lungo tempo ignorato dalla cultura italiana e quasi mai rappresentato, possiamo constatare quali fossero i germi positivi del nostro Rinascimento, dove, per una coincidenza unica nella storia e non affatto casuale, storici come il Machiavelli, poligrafi come l’Aretino, filosofi come il Bruno, amministratori di terre, pensosi della sorte dei contadini amministrati come il Ruzante, affrontano sulla scena in modo solo apparentemente lieve e scherzoso l’emozione che in loro suscita la vita quotidiana osservata e riflessa, il suo tragico ripiegarsi e spegnersi nell’impotenza, dopo agitate speranze.
La ferocia rappresentativa del CANDELAIO non ha riscontri.
Giordano Bruno, autore per caso e per sfogo, sembra scoprire a un tratto lo spirito sovvertitore e cinico delle plebi napoletane, per appropriarsene la capacità di far dileguare ogni nebbia ideologica e mettere a nudo la natura umana, tuffata in una vicenda tempestosa, in una miseria morale che si rivolta anche contro di sé.
Getta come una palata di calce viva sugli ordinamenti civili, la morale ipocrita, il vizio di mascherare le degenerazioni attraverso gli istituti sociali.
La società, dell’individuo componente moltiplicata, rimane soggetta allo stesso morbo.
Il substrato segreto viene conclamato al vento dalla commedia, nel suo putridume.
Si conclude così il processo aperto a inizio di secolo.
I tipi e le beffe ci giungono, è vero, dalle altre commedie: ma qui prendono consistenza reale, si fanno avvenimento quotidiano, non sono più un pretesto tolto dalla vita e da Plauto, ma la vita stessa nel suo scorrere e inabissarsi.
Proprio in seno alla speculazione filosofica più vasta e profetica del secolo doveva nascere anche la sua effige diretta, dove al divertimento subentra la passione corrosiva del combattente.
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