CARAVAGGIO – La vita e le opere

Ritratto di Caravaggio di Ottavio Leoni, 1621 ca.
(Carboncino nero e pastelli su carta blu, 23,4 × 16,3 cm)

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Il 28 settembre del 1573 nasceva a Caravaggio, nel Bergamasco, Michelangelo Merisi. Il padre Fermo, architetto, morì che egli era ancora bambino: quando infatti, a undici anni, fu messo a bottega a Milano presso Simone Peterzano perchè gli insegnasse l’arte della pittura, il documento contrattuale e di garanzia non è firmato dal padre, come era d’uso, ma dal fratello maggiore Battista. Tra i sedici anni e i diciotto, troviamo quindi Michelangelo a Roma. Ormai la Controriforma era in pieno svolgimento e l’azione contro la nuova cultura veniva condotta con ogni mezzo, anche nel carcere e col rogo. Nella seconda metà del Cinquecento era già stata proibita la ristampa di Niccolò MACHIAVELLI, di Giovanni BOCCACCIO e persino di Francesco PETRARCA. I libri di Giordano BRUNO, di Tommaso CAMPANELLA e di Galileo GALILEI erano pubblicati integralmente solo in Germania, in Francia e in Olanda. La crisi del Rinascimento italiano era un fatto compiuto, definitivo. Eppure tra Milano e Roma c’era indubbiamente una differenza: a Milano dominava il rigorismo ascetico e morale del cardinale Carlo Borromeo, a Roma, centro d’incontro politico e artistico europeo, città di largo mecenatismo, piena ancora della gloria di Michelangelo Buonarroti e di Raffaelo Sanzio, la situazione offriva di certo ad un artista maggiori possibilità. Di tutto ciò aveva indubbiamente sentito parlare anche il giovanissimo allievo del Peterzano, magari da quei maestri fiamminghi e renani che, nel loro viaggio verso Roma, si fermavano qualche tempo a Milano. Ed è probabilmente la suggestione di un miraggio di tal genere, oltre alla voglia di sottrarsi al controllo del fratello e ai suoi limiti dell’apprendistato, che spinsero l’irrequieto ragazzo bergamasco, fuori dei confini della Lombardia, sulla strada dell’Urbe, dove entra nella bottega del Cavalier d’Arpino (Giuseppe Cesari) occupandosi di quadri di fiori e di frutta. Egli trasforma ben presto però, secondo la sua personale visione, il tema: ne è altissima prova la CANESTRA DI FRUTTA (1600 circa – Milano, Ambrosiana) con la lucidissima definizione plastica degli oggetti e il taglio prospettico del primo piano.
Così anche nel RIPOSO NELLA FUGA IN EGITTO (1599 circa, Roma, Galleria Doria-Pamphili) il tono di domestica intimità della scena supera ogni residua convenzionalità.
La protezione del cardinale Francesco M. del Monte gli apre la strada a grandi committenze.

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BACCHINO MALATO (1593-1594) 
Michelangelo Merisi da Caravaggio
Galleria Borghese, Roma
Olio su tela cm 67×53 cm

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Michelangelo Merisi da Caravaggio o, come incominciavano a chiamarlo più semplicemente, Caravaggio, si trovò dunque di colpo tuffato in una società assai diversa, folta di contraddizioni, sfarzosa e miserabile, plebea e aristocratica, dove gli artisti menavano una vita più spregiudicata, benché la loro sorte dipendesse soprattutto dalla benevolenza o meno di potenti benefattori: prelati, nobili, ambasciatori.
In questa situazione, in che modo reagì il Caravaggio? Stando agli archivi dei vari tribunali di giustizia romani, Caravaggio, il quale vi ebbe a che fare ripetutamente, era un personaggio rissoso, protagonista di molti scontri di osteria e di strada. Del resto, i suoi primi biografi lo descrivono come un uomo di “color fosco”, di sangue cattivo, “torbido e contenzioso”, costretto a fuggire di città in città per salvarsi dalle ire dei suoi nemici.
Sulla scorta di queste notizie, dal punto di vista biografico senz’altro accettabili, è nata in seguito un’interpretazione che fa del Caravaggio una specie di “pittore maledetto”. Ad accentuare tale interpretazione romantica contribuì anche la sua morte prematura, a trentasette anni, provocata da un furioso attacco di malaria, che lo colse sulla spiaggia deserta di Porto Ercole, presso Grosseto, il 18 luglio 1610, mentre cercava il veliero che doveva portarlo a Roma.
Ma fino a che punto tale interpretazione, che restringe gli atteggiamenti di Caravaggio ai vizi del suo carattere, può essere accettata? In realtà lo spirito rivoltoso di Caravaggio, i suoi gesti di insofferenza, le sue irriducibili antipatie non possono non avere anche origine da quel senso di sfida verso la società, di cui egli mal sopportava le ipocrisie e le mortificazioni, che si ritrova pure nella sua pittura, un senso di sfida, o di “contestazione” come si dice oggi, confuso fin che si vuole, ma certamente urgente dentro di lui, ribollente nel suo temperamento istintivo e suscettibile. Non c’è infatti psicologia individuale che non abbia le sue propaggini sociali, che non si alimenti ad una situazione reale. Molti episodi della vita di Caravaggio, dalle dispute contro i pittori ufficiali ai ferimenti e persino all’uccisione di un certo Ranuccio Tommasoni, che lo costrinse a fuggire da Roma e a pellegrinare sino a Napoli e quindi a Malta, Messina, Palermo, visti in questa luce appaiono meno assurdi e gratuiti.
Nell’ambito dell’eclettismo dell’arte post-tridentina, della pittura concepita come “propaganda fides”, come “sermone figurato”, Caravaggio è l’artista che difende i valori laici e terrestri ereditati dal Rinascimento. Vivendo in un frangente storico in cui tali valori sono messi in dubbio e addirittura respinti, egli, quasi per ritorsione, finisce per riproporli, arricchito di nuove acquisizioni, nel modo più energico, persino con accenti polemici. E’ di questa sostanza che si nutre il discorso plastico, assumendo spesso toni di forte contrasto drammatico. Così nei suoi quadri sacri i personaggi che egli dipinge – contadini, operai, artigiani, popolani – diventano il segno più drastico ed espressivamente efficace del suo radicale rifiuto degli schemi e dei canoni iconografici e apologetici fissati dall’autorità ecclesiastica.
Questa è la ragione per cui più di un suo quadro è stato rifiutato dai suoi committenti religiosi e persino tolto dagli altari dopo che vi era già stato collocato.
Il SAN MATTEO E L’ANGELO, stando al suo primo biografo, il Bollori, fu ripudiato “col dire che quella figura non aveva decoro né aspetto di santo, stando a sedere con gambe in cavalcate e coi piedi rozzamente esposti al popolo”. La stessa sorte toccò al quadro che rappresentava LA MORTE DELLA VERGINE, poiché in esso Caravaggio aveva dipinto soltanto una donna “morta gonfia”. Il suo cadavere si diceva fosse quello di una prostituta annegata qualche tempo prima nel Tevere.

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SETTE OPERE DI MISERICORDIA (1607)
Caravaggio (1573 – 1610)
Chiesa del Pio Monte a Napoli
Tela cm 390 x 260

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Persino “le sozzure dei piedi dei pellegrini” Caravaggio osava esporre alla devozione dei fedeli.
Nel quadro del periodo napoletano LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA c’è invece “uno che alzando il fiasco beve con la bocca aperta, lasciandovi cadere sconciamente il vino”, mentre nella RESURREZIONE DI LAZZARO, eseguito a Messina nel 1609, si può vedere un altro personaggio “che si pone la mano al naso per ripararsi dal fetore del Cadavere”.
Ma c’è di più: Caravaggio, nell’ADORAZIONE DEI PASTORI sconvolge la tradizione dell’iconografia sacra, dipingendo di schiena un San Giuseppe giovanissimo “con gambe – dice il Berenson – troppo sode e carnose” e spalle “troppo scattanti”.
Guardando questi quadri si può dunque intendere meglio il senso di quell’episodio di cui parla il Bollori nella sua biografia…
“Essendogli mostrate le statue più famose di Fidia e di Glicone acciocché vi accomodasse lo studio… il pittore distese la mano verso una moltitudine di uomini, accennando che la natura l’avea a sufficienza provveduto di maestri”.
Di qui ricava il suo carattere la pittura del Caravaggio: una pittura dell’uomo, che prelude, attraverso Velasquez e REMBRANDT, al realismo di Gustave COURBET.
La novità del linguaggio di questa pittura è stata indicata dal Longhi, che resta il massimo studioso del Caravaggio, con queste parole…
“Il segreto della rivoluzione poetica del Caravaggio sta nel nuovo quadrante, a lui particolare, per la luce e per l’ombra”. E Longhi stesso indica i precedenti di tale linguaggio, oltre che nel Peterzano, nei lombardi Antonio e Vincenzo Campi e nei veneziani, da GIORGIONE a Jacopo Robusti detto il TINTORETTO
Caravaggio ha spinto ad una geniale conclusione tali esperienze, caricandole della sua energia, dando ad esse un senso nuovo e potente. Ma di tale novità poetica o di linguaggio del Caravaggio si erano accorti i più attenti storici dell’arte del passato. Il Mancini, per esempio, nel 1671, parlando della tendenza caravaggesca a cui si ispiravano ormai numerosi pittori, scriveva…
“Proprio di questa scola è il lumeggiar con lume unito e che venghi da alto senza riflessi, come sarebbe in una stanza da una finestra con le pareti colorite di negro, che così avendo i chiari e le ombre molto chiare e molto scure, vengano a dar rilievo alla pittura… Questa scola in questo modo d’operare è molto osservante del vero che sempre lo tien davanti mentre che opera”.
Ecco quindi messi in piena evidenza i due aspetti fondamentali del linguaggio caravaggesco: il naturalismo e l’uso intenso del registro ombra-luce per dar rilievo, per accentuare la forza plastica dell’immagine. Dal canto suo, il Lanzi, nel 1789 commentava…
“Caravaggio è memorabile in questa epoca, in quanto richiamò la pittura dalla maniera alla verità, così nelle forme che ritraeva sempre dal naturale come nel colorito, che, dato quasi bando ai cinabri e agli azzurri, compose di poche ma vere tinte alla giorgionesca. Quindi Annibale Caracci diceva in una sua lode che costui macinava carne”.
La definizione caraccesca è molto bella e forte: Caravaggio “macinava carne”. Cioè: i suoi personaggi non erano involucri rigonfi di retorica, di enfasi, bensì uomini col peso della loro sorte, della loro storia. Lo sforzo creativo del Caravaggio si è concentrato tutto nella direzione espressiva, lungo un itinerario plastico che va dal RAGAZZO CON CANESTRO DI FRUTTA, eseguito intorno al 1589, al BACCO, ai BARI, al RIPOSO NELLA FUGA IN EGITTO, tutte opere “chiare”, ancora direttamente legate a motivi plastici bresciani-bergamaschi; e da qui alle tre tele del ciclo di San Matteo, portate a termine intorno al 1590, di cui la VOCAZIONE tocca uno dei vertici dell’intera arte caravaggesca: il testimone del nuovo linguaggio è già dentro la CROCIFISSIONE DI SAN PIETRO, nella CONVERSIONE DI SAN PAOLO SULLA VIA DI DAMASCO e nella MADONNA DEI PALAFRENIERI… e a quell’altro capolavoro che è la DECOLLAZIONE DEL BATTISTA (1608 – La Valleta, Oratorio della Cattedrale di San Giovanni), durante il soggiorno a Malta, forse il più drammatico quadro di Caravaggio, quasi una testimonianza sul proprio tragico destino, come può suggerire la firma autografa tracciata sulla tela da uno zampillo di sangue schizzato dalla testa troncata…, sino al SEPPELLIMENTO DI SANTA LUCIA, eseguito a Messina sullo scorcio del 1608…, sino a tutte le opere citate.

Per tutti questi motivi, Caravaggio appare come un momento fondamentale della storia dell’arte di ogni tempo.
Il suo affrontare il “vero” senza misticismi corrispondeva al metodo con cui in quella stessa epoca GALILEO GALILEI elaborava i principi della scienza sperimentale.
Ecco dunque perché giustamente il Burckhardt, sin dal primo Ottocento, ha potuto affermare…

“Il naturalismo moderno stricto sensu comincia nel modo più crudo con Michelangelo da Caravaggio”.

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CANESTRO DI FRUTTA (1596)
Michelangelo Merisi detto il Caravaggio
Milano, Pinacoteca Ambrosiana.
Olio su tela cm 46 x 64

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1 – CARAVAGGIO – Vita e opere

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DECOLLAZIONE DEL BATTISTA – Caravaggio

BACCO – Caravaggio

SAN GIOVANNI BATTISTA – Caravaggio

SUONATORE DI LIUTO – Caravaggio

GIUDITTA E OLOFERNE – Caravaggio

SETTE OPERE DI MISERICORDIA – Caravaggio

SEPPELLIMENTO DI SANTA LUCIA – Caravaggio

RIPOSO NELLA FUGA IN EGITTO – Caravaggio

CENA IN EMMAUS – Caravaggio

BACCHINO MALATO – Caravaggio

CANESTRO DI FRUTTA – Caravaggio

RAGAZZO MORSO DA UN RAMARRO – Caravaggio

MARTIRIO DI SAN MATTEO – Caravaggio

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