SANDRO BOTTICELLI – Vite e opere

 

In una famosa predica del 1496, Girolamo Savonarola, con veemenza tipica della sua eloquenza, usciva in questa inventiva…

“Voi avete dedicato il mio tempio e le vostre chiese a Moloch dio vostro. Guarda che usanze ha Firenze. Come le donne fiorentine hanno maritato le loro fanciulle, le menano a mostra e acconciate che paiono ninfe, e la prima cosa le menano a Santa Liberata. Le immagini dei vostri dei sono le immagini e similitudini delle figure che voi fate dipingere nelle chiese; e i giovani poi vanno dicendo a questa donna ed a quell’altra: costei è la Maddalena, quello è San Giovanni, ecco la Vergine; perché voi fate dipingere le figure nelle chiese alla similitudine di questa donna o di quell’altra, il che è molto male fatto e in grande dispregio di Dio. Voi dipintori fate male, ché se voi sapessi lo scandalo che ne segue, e quello che so io, voi non lo dipingeresti. Voi mettete tutte le vanità nelle chiese. Credete voi che la Vergine Maria andasse vestita come poverella, semplicemente, e coperta che appena se gli vedeva il viso. Così, Santa Elisabetta andava vestita semplicemente. Voi fareste un gran bene a scancellarle queste figure che sono dipinte così disoneste. Voi fate parere la Vergine Maria vestita come meretrice. Or sì che il culto di Dio è guasto”.

Questa testimonianza del Savonarola è di estremo interesse, perché ci aiuta a capire come oramai, nel Quattrocento, la tendenza laica rinascimentale avesse sostituito nell’arte la visione monastico-feudale. Anche quando un’ispirazione sinceramente religiosa animava un artista, si trattava tuttavia di una ispirazione che prendeva corpo nell’ambito dell’umano, di un sentimento più vivamente legato ai valori terrestri, alla natura, alla vita. Così le immagini dei santi che i pittori dipingevano non erano più astratti simboli di virtù, bensì personaggi veri, con volti e gesti reali, con fisionomie quotidiane. Oppure, sul piano dell’allegoria, personaggi più profani, mitologici, creature di una favola classica rievocata con acuta nostalgia per la bellezza di un’età libera da concezioni ascetiche.

È questo il caso della PRIMAVERA e della NASCITA DI VENERE del Botticelli.

Nato a Firenze nel 1445 e spentosi nel 1510, Alessandro di Mariano Filipepi detto il Botticelli, fu infatti uno dei pittori quattrocentisti che più intensamente sentì il fascino dell’ideale classico e umanistico come si respirava a Firenze all’epoca di Lorenzo de’ Medici e del Poliziano. La “Primavera” è stata dipinta intorno al 1478 ed è un’opera che riassume in modo esemplare l’intera ricerca giovanile del Botticelli.

L’arte varia e voluttuosa di Filippo Lippi attrae l’intelligenza del giovane Botticelli che non è indifferente né alla nobiltà del Verrocchio né alla vibrante risolutezza di Antonio Pollaiolo. Disegnatore originale, traduce i tratti continui e le linee impulsive, che intaccano le superfici, in pennellate aspre, le quali ricercano i caratteri, le espressioni e i movimenti. L’arido naturalismo di alcuni quattrocentisti toscani si raffina nella norma esclusiva della linea sottile e nervosa; l’indole mobile e l’ardore dell’ingegno convengono a questo periodo di transizione. L’umanesimo de’ Medici ristabilisce il culto e non la copia dell’antico: la poesia non ricalca modelli, e l’anima del vero artista interpreta le leggende religiose ed i miti pagani. All’intensità della fede non ripugnano i bei corpi femminili, lunghi e magri, dal viso affilato e dallo sguardo triste, come quello delle Madonne con gli occhi bassi e le labbra smorte. La curiosità e la finezza penetrano nell’allegoria ed appassionano l’azione con la violenza del contorno, specie quando i motivi si coordinano o turbinano attorno ad un punto di mezzo al quadro. Anche nei disegni in punta d’argento, che illustrano la “Divina Commedia”, lo squisito idealista esclude dal suo lirismo pittorico i terribili effetti delle bufere e delle pene devastatrici.

Quindi, muovendo dal Lippi, dal Pollaiolo e dal Verrocchio, Botticelli, attraverso un lavoro di approfondimento del proprio temperamento emotivo e sottile, era andato formandosi un linguaggio espressivo di straordinaria finezza, accentuando il valore flessibile della linea, sino a renderla intensamente lirica, musicale, fluente e al tempo stesso penetrante, inquieta, dolce sino allo spasimo.

Già dalla “Madonna col Bambino” e “San Giovannino” ci si poteva accorgere di questa sua particolare inclinazione verso una pittura melodica e psicologica, tenera e acuta, ma nella “Primavera” queste qualità raggiungono un alto grado di perfezione.

 

 

Al centro del quadro la PRIMAVERA (che si trova agli Uffizi a Firenze) sta Venere su cui Cupido punta le sue frecce; alla destra è la Primavera e Flora inseguita da Eolo innamorato; a sinistra si vedono le tre Grazie ravvolte in veli trasparenti e Mercurio. Sembra che un tale soggetto sia stato dettato al Botticelli dallo stesso Poliziano. Certo, per più di un aspetto, la figurazione e lo spirito dell’opera lo ricordano, ma quanto più struggente, più fantasiosamente viva la rappresentazione botticelliana. Qui l’incanto della bellezza si fa trepidante e malinconico, il senso decorativo della natura acquista un brivido dolce e triste insieme. I corpi nudi , modulati con delicata e precisa eleganza, hanno atteggiamenti e gesti di grazia studiati con un senso assolutamente libero del ritmo e del movimento; il colore verde, grigioperla, pallidamente dorato s’intona alla suggestione della scena, che è tutta trattenuta in una sorta di atmosfera stupefatta.

 

 

Su questa linea si sviluppa, opera del periodo centrale del Botticelli, la “Madonna del Magnificat”, (eseguita tra il 1480 e il 1490) e la “Nascita di Venere”, entrambe agli Uffizi. In quest’ultima tela soprattutto, nella figura del nudo muliebre che si leva dalla conchiglia affiorante il mare, tra Flora e i Venti, l’ispirazione del Botticelli tocca il suo culmine per sensibilità e immaginazione plastica. Quest’opera però si pone al limite di un mutamento profondo dell’artista, mutamento che coincide col turbamento spirituale che in lui pare suscitassero le terribili prediche del Savonarola. Si sa che più di un artista arrivò persino a bruciare le sue opere sotto quest’ influenza. Anche Michelangelo Buonarroti ne fu toccato. In Botticelli la parola violenta del frate ferrarese produsse un’emozione profonda, che determinò un’evoluzione della sua arte in direzione drammatica.

Ora è difficile dire se le cause del mutamento avvenuto nell’arte del Botticelli siano dovute unicamente ad una simile influenza. Probabilmente tale mutamento in particolare è anche, o soprattutto, dovuto all’esasperazione del suo temperamento in una situazione difficile, di aspra contesa civile, dove l’effusione lirica malinconicamente sognante del periodo precedente non trovava più rispondenza.

Così nell’Allegoria della Calunnia” degli Uffizi, nella “Pietà” del Poldi Pezzoli o di Monaco, o nella “Natività” di Londra, la linea si fa più dura, incisiva, tormentata; il colore più livido e freddo. Ma anche in queste opere Botticelli rimane se stesso, benché lo spirito che le sostenga sia diverso. Solo una sensibilità eccezionale poteva infatti avvertire una situazione mutata con tanta prontezza. La profondità del turbamento è cioè intimamente connessa alla singolare natura morale e intellettuale dell’artista, così come i risultati figurativi di questo suo periodo sono esattamente riconducibili alle qualità dei periodi precedenti. Anche la “religiosità” di questi ultimi quadri deve quindi essere interpretata in simile chiave. E’ chiaro cioè che ormai non si poteva più ritornare alla religiosità ascetica di un tempo.
La svolta operata dal Rinascimento era decisiva.

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Pietà di Botticelli (Monaco)

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