IL CONTE DI CARMAGNOLA – Alessandro Manzoni

IL CONTE DI CARMAGNOLA

Tragedia in versi in cinque atti e un coro di Alessandro Manzoni. Composta tra il 1816 e il 1819, venne pubblicata a Milano nel 1820 e rappresentata al Teatro Goldoni di Firenze nell’ottobre 1828.
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Personaggi storici
Il Conte di Carmagnola
Antonietta Visconti, sua moglie
Una loro Figlia, a cui nella tragedia si è attribuito il nome di Matilde
Francesco Foscari, Doge di Venezia

Condottieri al soldo dei Veneziani:
Giovanni Francesco Gonzaga
Paolo Francesco Orsini
Nicolò Da Tolentino
Condottieri al soldo del Duca di Milano:
Carlo Malatesti
Angelo Della Pergola
Guido Torello
Nicolò Piccinino, a cui nella tragedia si è attribuito il cognome di Fortebraccio
Francesco Sforza
Pergola Figlio
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Personaggi ideali
Marco, Senatore Veneziano
Marino, uno de’ Capi del Consiglio dei Dieci
Primo commissario veneto nel campo
Secondo commissario
Un soldato del conte
Un soldato prigioniero
Senatori, condottieri, soldati, prigionieri, guardie
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ATTO I

Nel 1426 il Senato della Repubblica di Venezia conclude l’alleanza con Firenze e altri stati italiani in funzione antiviscontea, affidando la conduzione della guerra a Francesco Bussone, conte di Carmagnola, esautorato dal duca di Milano per la sua grande popolarità. Il Senato è spaccato al suo interno: vi si contrappongono il senatore Marino, capo del Consiglio dei Dieci, che considera inaffidabile il Carmagnola, e il senatore Marco, di parere opposto. Marco comunica al Carmagnola l’incarico, consigliandogli di non abusare del favore momentaneamente riscosso.
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ATTO II

Davanti a Maclodio si fronteggiano l’esercito condotto da Carmagnola e quello milanese, poco sicuro sulla tattica da adottare. L’esercito visconteo, comunque, sferra l’attacco, ma Carmagnola sorprende il nemico alle spalle.
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CORO

La battaglia di Maclodio dimostra che le guerre intestine avvantaggiano solo lo straniero, che può intervenire e imporre il proprio dominio piú facilmente su fazioni ormai prostrate e divise.
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ATTO III

L’esito della battaglia volge a favore dei Veneziani: il Primo Commissario veneziano vorrebbe inseguire e sbaragliare gli sconfitti, mentre Carmagnola ritiene conveniente espugnare prima le piazzeforti ancora in mano ai nemici e poi procedere nella campagna militare. Carmagnola si attira la diffidenza degli ufficiali veneziani per voler rispettare la tradizione di rilasciare i prigionieri dopo la battaglia. I due Commissari accettano la situazione, ma intanto riferiscono al Senato.
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ATTO IV 

Al Senato non si hanno piú dubbi sul tradimento del Carmagnola. Solo Marco lo difende, proponendo la soluzione che viene accettata: arrestare il Carmagnola, dopo averlo richiamato a Venezia con la scusa di consultarlo sull’opportunità della pace con Milano. Marino accusa Marco di favoreggiamento verso il Carmagnola, annunciandogli le decisioni delle autorità veneziane: Marco va a Salonicco, per guidare la difesa contro i Turchi; Carmagnola affronterà il patibolo, qualora non risponda alla convocazione, e uguale sorte toccherà a chiunque lo avverta del pericolo. Marco, firmato il giuramento con cui si impegna ad assolvere l’ordine, comprende di aver involontariamente tradito l’amico. Carmagnola riceve al fronte l’ordine di convocazione, conscio di non poter condurre la guerra a modo suo.
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ATTO V

Carmagnola è davanti al Consiglio dei Dieci, riunito in seduta notturna, che finge di chiedere al condottiero un parere sulla pace col duca di Milano. Carmagnola non intende continuare la guerra, se non può agire liberamente. Egli è a questo punto accusato di tradimento e arrestato. Prima di affrontare il patibolo, riceve la visita in cella della moglie Antonietta e della figlia Matilde, che invita a non covare sentimenti di vendetta e che affida alle mani del fedele Gonzaga.

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COMMENTO

La maggiore opera poetica, a cui il Manzoni attese nei primi anni dopo il suo ritorno alla fede, sono le tragedie.
“Il Conte di Carmagnola”, pubblicata il 1820, è dedicata al Fauriel. Nella prefazione l’autore, seguendo specialmente Guglielmo Schlegel, difende il dramma senza le unità di tempo e di luogo, com’è appunto il “Carmagnola”, dimostrando che senza quelle unità l’illusione non è punto violata, e che esse non hanno altro fondamento che nell’arbitrio; dà anche ragione del coro introdotto nella tragedia, e nel quale parla l’autore in persona sua, esprimendo la morale, o il significato intimo del dramma.
La tragedia, divisa in cinque atti, è distesa in una verseggiatura nobile e tuttavia modesta.

Protagonista è Francesco Bussone (Carmagnola, 1385 circa – Venezia, 5 maggio 1432), conte di Carmagnola, insigne capitano di ventura o condottiero del primo Quattrocento, che, prima al soldo di Filippo Maria Visconti duca di Milano e artefice della sua potenza, offeso da lui, offrì il suo braccio alla repubblica veneta, infliggendo perdite gravissime ai Milanesi in una lunga guerra. Maclodio ne fu la giornata principale. Ma una soverchia generosità del capitano verso i vinti – che erano pure suoi fratelli d’arme -, il suo temporeggiare dopo la vittoria, alcune azioni infelici dei suoi capitani resero il Carmagnola sospetto di tradimento alla repubblica: che lo richiamò sotto specie di chiedere i suoi consigli; e lo fece decapitare.

L’azione della tragedia manzoniana occupa i non pochi anni che vanno dalla elezione del Carmagnola a capo dell’esercito veneziano sino al suo supplizio (1426-1432). Domina la figura di lui, che l’autore (come dalle notizie storiche, che seguono la prefazione) crede innocente e vittima solo del suo orgoglio e della sua imprudenza, di fronte alla gelosa è astuta autorità del governo veneziano. Ed è una semplice e possente figura, che qualche volta ricorda il conte di Egmont del Goethe, il Wallenstein dello Schiller. Le scene ricche di movimento psicologico e di contrasti drammatici sono parecchie; come, nel campo presso Maclodio, il dibattito fra i capitani di ventura dell’esercito milanese: e la difesa del conte davanti al cupo senato veneto: e l’addio ultimo alle donne sue, la moglie e la figliuola. Ma il dramma manca di intreccio; manca di episodi d’amore; manca di tutti quei mezzi o espedienti, che costituiscono il successo di un’opera teatrale. I critici classicisti insorsero. Ad uno di essi, lo Chauvet, che aveva censurato il dramma nel “Lycée français”, il Manzoni scrisse una lunga lettera in francese, un capolavoro di acutezza critica, dove si tocca delle ragioni ultime della poesia, che per l’autore non può essere altro che lo sviluppo e l’approfondimento della verità, così come è data dalla sorte e dalla realtà.

Popolare rimase il coro dell’atto secondo: la battaglia di Maclodio; il quale scopre l’intento generoso del dramma: la deplorazione delle guerre fra Italiani e Italiani: opportuna in quei primi decenni dell’Ottocento, quando al Manzoni, come al Foscolo, come al Mazzini, lo spirito municipale e regionale appariva il maggiore impedimento alla liberazione e risurrezione della patria.
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