APOCALISSE DI GIOVANNI

L’evangelista Giovanni scrive il Libro dell’Apocalisse
Dipinto di Hieronymus Bosch (1505)
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APOCALISSE DI GIOVANNI

Il termine greco “apocalisse” significa rivelazione e come tale si presenta questo libro (1,1-3), che per molti aspetti è di tipo unico nel Nuovo Testamento. La difficoltà fondamentale per una facile intelligenza del libro è il ricorso allo stile apocalittico di cui si hanno altri esempi sia nell’Antico Testamento (Isaia cc. 24-27 e 34-35…, Zaccaria cc. 9-14…, Ezechiele…, Daniele)) sia nel Nuovo Testamento (Matteo c. 24 e paralleli…, Seconda lettera Tessalonici 1,7-10…, 2,3-12…, Prima lettera Corinzi 15,23-28.35-37).

Questo stile risulta oscuro per un complicato gioco di visioni e di simboli, che utilizzano numeri, colori, astri, animali mostruosi, ecc.; con questo astruso linguaggio l’autore prende le mosse dal presente per protendere il suo sguardo verso l’ultimo futuro.
L Apocalisse affonda nel terreno dell’Antico testamento –  di cui si contano 219 citazioni nei 405 vv. del libro – ed è l’unico libro profetico del Nuovo Testamento.
Quando si è riusciti a penetrare il “velame de li versi strani”, il messaggio dell’Apocalisse emerge come un grido di ferma speranza nella vittoria sicura di Cristo, Verbo di Dio e re dei re, dominatore della storia, su tutte le potenze del male che fine alla fine dei tempi contrastano il regno da lui fondato sulla terra.
Fin dal II secolo la tradizione cristiana attribuisce il libro a Giovanni evangelista (cfr. 1,1), che lo scrisse durante un periodo di relegazione da lui subita nell’isola di Patmos (1,9), verso gli anni 94-95, al tempo della persecuzione dell’imperatore Domiziano (81-96) contro i cristiani, i quali si rifiutavano di adorarlo come Dio.
L’intreccio dell’Apocalisse, che si presenta come un messaggio epistolare a sette chiese dell’Asia Minore (1,1 – 3,22) si svolge come una visione in più atti e scene, distribuiti su due piani: celeste e terrestre.

Il festoso grido di suprema speranza dell’Apocalisse conclude in gloria il libro di Dio ed è la chiave cristiana del mistero della Chiesa nella storia.

Luoghi dei Vangeli

LA SUGGESTIVA VISIONE STORICA DELL’APOCALISSE

L’Apocalisse è l’ultimo scritto del Nuovo Testamento e si differenzia molto dai Vangeli e dalle Lettere per il suo stile, per il genere letterario e per la sua prospettiva. Va, però, detto che quando fu scritto il libro dell’Apocalisse, attribuito a Giovanni autore del quarto Vangelo e solo più tardi inserito nel Nuovo Testamento, questo genere letterario era molto diffuso nel giudaismo come documentano il libro di Daniele e molte opere apocrife redatte intorno l’era cristiana.
Questa letteratura religiosa, carica di suggestivi simbolismi e di immagini straordinarie, aveva riscosso molto successo, in particolare negli ambienti giudaici, almeno due secoli prima l’inizio della predicazione di Gesù, avvalendosi di quanto avevano detto ed annunciato i profeti Ezechiele e Zaccaria. Fu, quindi, ripresa, dall’apostolo Giovanni ed è lui stesso a dichiararlo:
“Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù” (1,9).
Anche se, per il fatto che nel corso del testo egli non dice mai di essere uno degli apostoli, nè di aver conosciuto direttamente Gesù, un sacerdote romano di nome Caio dell’inizio del III secolo avanzò delle riserve fino ad attribuire lo scritto all’eretico Cerinto. Ma, al di là di questi dubbi dettati anche da motivi personali e che dimostrano come abbia faticato la dottrina cristiana ad affermarsi, gli studiosi ritengono che l’autore sia stato Giovanni perché molte sono le somiglianze con il suo quarto Vangelo e con le sue lettere.
Apocalisse, dal latino revelare e dal greco apo-kalyptein, significa rivelazione nel senso che l’autore, partendo da una situazione presente che è drammatica e carica di pessimismo per il male che grava su di essa, si propone di svelare in chiave ottimistica qual è il termine finale della storia sulla base di visioni avute e di annunciare che Dio vincerà e creerà un mondo nuovo.
“…Ebbi una visione una porta aperta nel cielo. La voce che prima avevo udito parlarmi come una tromba diceva: Sali quassù, d mostrerò le cose che devono accadere in seguito. Subito fui rapito in estasi”.
In questo modo così suggestivo Giovanni descrive come venne a sapere da Dio ciò che sarebbe accaduto per fare uscire i cristiani dalla situazione di persecuzione e di pericolo in cui si trovavano e per rinsaldarli nella fede che, dopo un periodo di difficoltà e di lotte aspre, ci sarà la vittoria di Cristo e di quanti credono nella prospettiva annunciata.
Giovanni, infatti, scrive l’Apocalisse mentre era esiliato nell’isola egea di Patmos per aver manifestato pubblicamente la fede in Gesù Cristo invisa alle autorità politiche del tempo. La tradizione vuole che l’abbia scritta sotto il regno di Domiziano verso il 95 e alcune parti fin dal tempo di Nerone poco prima del 70 d.C.
In ogni caso, l’autore dell’Apocalisse ha di fronte, per averle sperimentate anche con l’esilio, le persecuzioni violente contro le comunità cristiane che tanto turbamento avevano provocato nei suoi membri, molti dei quali si chiedevano come tutto quello potesse accadere se l’ispiratore di quella Chiesa nascente aveva detto ai suoi discepoli e seguaci:
“Non temete, io ho vinto il mondo”.
Ecco perché Giovanni, riallacciandosi ai grandi temi profetici della tradizione biblica -riguardanti la salvezza per il popolo eletto che, perseguitato e sottomesso dagli assiri, dai caldei, dai greci, alla fine sarebbe stato liberato dall’oppressione da Dio – rassicura i cristiani che sarebbe venuto il giorno in cui avrebbero avuto da Dio la libertà e il riconoscimento dei loro legittimi diritti di cittadini, mentre sarebbero stati puniti severamente ed annientati gli empi persecutori.
Segue un lamento su Babilonia per far comprendere, identificando quella città biblica e quell’esperienza tragica con la Roma del suo tempo, che lumi, rovine ed altre insidie di Satana ci saranno ancora, ma chi avrà fede nell’opera divina avrà la certezza di godere, poi, la felicità del nuovo Regno. E, per rendere credibile questa profezia, Giovanni descrive a forti tinte la maestà e la potenza di Dio che domina il cielo ed è padrone assoluto dei destini dell’umanità.
Dice ancora, evocando il “suono delle sette trombe”, che ci saranno nuove invasioni di barbari, guerre, flagelli, carestie e peste, ma, alla fine, le forze del male manovrate da Satana, la “bestia” che è la Roma persecutrice, saranno distrutte e vinte. Ed allora per la Chiesa, per l’umanità ci sarà un periodo di prosperità.
Di qui l’esortazione ad avere fiducia in un futuro, finalmente, migliore e per il quale vale la pena di lottare per vincere le gravi difficoltà del presente.
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GRM Inv. J-3182.jpg
San Giovanni Evangelista (1804–1809)
Vladimir Borovikovsky (1757–1825)
Cattedrale di Kazan a San Pietroburgo
Olio su cartone cm 73,5 x 73,5
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Quella che troviamo nell’Apocalisse è un’interpretazione della storia che nasce in un tempo di crisi in cui molte comunità cristiane, i cui membri erano perseguitati e discriminati sul piano sociale e civile, vacillano o risultano indebolite e incerte sulla prospettiva.
Giovanni, che soffre per il suo esilio e per la condizione difficile di tanti cristiani, si rivolge alle “sette Chiese che sono in Asia” ma il numero è simbolico per indicare la totalità e, quindi, la Chiesa nel suo insieme.
Ed è ad essa che parla per ricordare che nell’Antico Testamento la fiducia del popolo si fondava sulla promessa di Dio che sarebbe rimasto “con il suo popolo” per proteggerlo e salvarlo dai nemici. Così ora Dio è con il suo popolo nuovo che ha unito a sè nella persona del Figlio, l’Emmanuele (Dio-con-noi) e, perciò, chi crede in lui non deve disperare nella vittoria finale.
Il Cristo resuscitato ha fatto la sua promessa:
“Ecco io sono con voi per sempre, fino alla fine del mondo”.
Ci potranno essere tutte la disgrazie possibili che tanto faranno soffrire, ma i fedeli non devono temere e dubitare perché, alla fine, Satana sarà sconfitto e tutte le sue perverse macchinazioni saranno debellate e vinte.
Il messaggio dell’Apocalisse, pur partendo da una situazione pessimista, è di grande speranza e di indiscusso ottimismo perché, essendo Dio – che non ha rivali per potenza, intelligenza e bontà – a guidare la storia, il futuro non può che essere il suo trionfo. L’importante è sapere interpretare la storia presente per scoprirvi, anche attraverso una riflessione sul passato, il senso nascosto dell’avvenire che non può essere che positivo se il cammino sarà animato da una ferma fede in Lui che Io ispira, lo illumina, lo guida.
Del resto Gesù, secondo questa visione cristiana della storia, non pensava di essere rifiutato dai giudei e da quanti non cristiani si mostravano ostili alla sua predicazione, ma dovette accettare la sofferenza di non essere capito e di non essere accettato.
Così come non voleva la morte e fugge per evitarla, ma accettò il martirio della crocifissione e la morte sulla croce a cui seguirono la sua risurrezione ed il suo trionfo.
È stato, perciò, detto che l’Apocalisse è un libro di fuoco e di sangue come è il nostro mondo tormentato da millenni da guerre e sventure a cui si sono alternati periodi di pace troppo brevi. E se, ancor oggi, questi conflitti e sofferenze continuano, chiamandosi Afghanistan o  Nigeria o morte per fame e denutrizione rispetto all’opulenza dei paesi ricchi e turbando I’umanità come l’ombra funesta di quell’Olocausto di sei milioni di ebrei per mano nazifascista, non può morire la speranza nella resurrezione che è la vita.
È questo, forse, il messaggio più forte e più significativo che si può trarre da un libro la cui lettura colpisce per uno stile, per le immagini, per una logica che solo chi ha fede può accettare e che affascina anche chi non crede al di là dei simbolismi.
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Gesù Cristo, simboleggiato come agnello, con il libro dai sette sigilli