L’OROLOGIO DELLA TECNICA NEL MEDIOEVO

Abituati come siamo a portare al polso o in tasca un orologio di ottima precisione, a incontrare un grande orologio altrettanto ben regolato a ogni angolo della strada, a far riferimento a segnali orari trasmessi per radio e per TV cinque o sei volte al giorno e, in caso di necessità, a richieder I’ora esatta per telefono, ci riesce persino difficile immaginare la vita in un mondo privo di orologi.

Eppure, occorre giungere al tardo Medioevo per incontrare un certo numero di orologi, abbastanza precisi, sulle torri o i campanili delle città, e ad un’epoca di molto posteriore per incontrare pendole domestiche, cronometri di marina sufficientemente precisi, e, infine, orologi portatili in quanto non troppo ingombranti.

Nelle epoche precedenti, l’esigenza di disporre di orologi, e cioè di strumenti capaci di misurare il tempo, era, naturalmente, sentita, ma la meccanica non era abbastanza evoluta per permetterne la costruzione. Esistevano le ben note clessidre, adatte a misurare brevi intervalli di tempo, ma non a fornire un’indicazione continua; candele graduate che bruciavano con regolarità, apparecchi a deflusso d’acqua, che impiegavano a vuotarsi un certo tempo, ed anche orologi solari, di difficile lettura e inadatti a fornire indicazioni su periodi di tempo brevi, a funzionare di notte e nei giorni piovosi.
Per secoli, inventori, astronomi, fisici, meccanici, tentarono per diverse vie di risolvere un problema tanto importante: immaginate una società nella quale gli orari di lavoro non si possano determinare con precisione, non sia possibile fissare con esattezza l’ora di una riunione, un appuntamento, neppure l’ora dei pasti, per non parlare della navigazione e dei trasporti.
Eppure, soltanto nel tardo Medioevo comparvero gli orologi da torre, di grandi dimensioni, discretamente sicuri ,e precisi, di struttura notevolmente complessa. Non posso citate, a tale proposito, nè nomi nè date precise: alcuni testi fissano la costruzione del primo orologio meccanico da torre al 1230 circa, altri al 1280; Dante Alighieri, nel Paradiso, e precisamente nei canti X e XXIV fa cenno ad orologi meccanici con tanto di ruote dentate, quadrante, indicatore e bilanciere.

Nel 1309 fu installato a Milano un orologio da torre, che rimase in funzione per oltre due secoli; nel 1348 fu installato sul castello di Dover, in Inghilterra, un orologio con tanto di bilanciere e scappamento a bacchetta, conservato ancora oggi in un museo.

L’orologio del castello di Dover
L’orologio meccanico, indubbiamente, fu il congegno più complesso costruito nel tardo Medioevo, e la sua importanza, per la vita pubblica, fu ovviamente altrettanto grande della sua complessità strutturale.
Nel 1500 non c’era città di una certa importanza che non avesse la sua Torre dell’Orologio, ed un incaricato della regolazione e del buon funzionamento dell’orologio stesso, regolarmente stipendiato e gratificato del titolo di “moderatore dell’orologio”. Questo personaggio doveva essere munito di conoscenze di meccanica e di falegnameria, per poter operare la necessaria manutenzione e le eventuali riparazioni, ma anche di sufficienti conoscenze per riferire l’andamento dell’orologio al sole: come è ovvio, un ritardo anche piccolo, dell’ordine del minuto al giorno, se non viene compensato, dopo qualche mese porta ad uno scarto accumulato dell’ordine delle ore, nelle quali condizioni, avere o non avere l’orologio, fa lo stesso.
La struttura dell’orologio di Dover, cui faccio riferimento, trattandosi, se non erro, del più antico orologio meccanico giunto intatto fino ai nostri giorni, ci dà un’idea dell’evoluzione raggiunta dalla meccanica del tardo Medioevo.
L’orologio consiste di un robusto telaio in ferro, che porta due grossi tamburi girevoli ed una serie di ruote dentate, sempre metalliche, con rapporti di riduzione da uno a dieci ed anche più (qualunque meccanico, anche munito di macchine moderne, sa quanto delicata sia la costruzione di ingranaggi, specialmente se tra ruota e pignone c’è una grande differenza di dimensioni). Lo scappamento dell’orologio, con tanto di ruota a corona con denti di profilo speciale, bilanciere e relativi meccanismi ausiliari, appare ancor più complesso e di difficile costruzione e controllo.

Per realizzare un simile meccanismo, era evidentemente necessario un assortimento di attrezzi ed arnesi perfezionati e specializzati: e in effetti, l’indagine storica ha messo in evidenza come nel tardo Medioevo tutta una serie di dispositivi, macchine, attrezzi, arnesi e metodi di lavorazione nuovi ed efficienti fossero ormai diffusi, ad opera di una tradizione trasmessa per via commerciale, o direttamente da una bottega artigiana all’altra, e dal mastro artigiano ai suoi apprendisti.

Orologio ad acqua di fabbricazione inglese
Il trapano ad arco, rimasto tale e quale dalla lontana preistoria, era stato sostituito gradualmente, nel Medioevo, dal trapano a collo d’oca, del tipo comunemente usato ancor oggi in falegnameria, e veniva munito, nel tardo Medioevo, di punte elicoidali, costruite per battitura e fucinatura e poi temperate. In tal modo, si ottenevano, sia nel legno che nelle lastre metalliche, fori abbastanza regolari, e con un lavoro non troppo lungo.
Il tornio per la lavorazione del legno era ormai una macchina abbastanza diffusa, azionata a pedale, con una balestra di richiamo fissata al soffitto: più tardi, il tornio divenne a movimento continuo, in un senso solo, sempre azionato a pedale, attraverso un meccanismo tipico di biella-manovella, e venne anche impiegato per tornire parti metalliche.

L’inventore, o gli inventori, del bullone, della vite e della chiave inglese, impiegati già allora come lo sono oggi, rimarranno per sempre ignoti, ma la loro invenzione era già diffusa e largamente impiegata attorno al 1300, mentre attorno al 1350 cominciarono ad impiegarsi macchine per la trafila dei metalli, primo, tra tutti il rame, ed intorno al 1400 i primi rudimentali laminatoi, per ottenerne lastre metalliche; in primo luogo, anche qui, in rame.

Ai nostri occhi di uomini del ventunesimo secolo, un mondo composto per la gran parte da analfabeti, nel quale un libro, scritto necessariamente a mano, era più raro di quanto oggi non sia, ad esempio, un autentico tappeto persiano del secolo scorso, appare perlomeno strano, e richiede uno sforzo di immaginazione per essere concepito.
Eppure, nel Medioevo, coloro che sapevano leggere e scrivere erano una stretta minoranza, ed i libri, scritti a mano, assai rari; particolarmente nel mondo del lavoro, nelle città e nelle campagne, poco si leggeva, ed ancor meno si.scriveva.
Gli scrivani di professione provvedevano a scrivere lettere, contratti, comunicazioni, suppliche, testimonianze; a render di pubblica ragione ordinanze, editti, notizie, provvedevano i banditori, tanto che spesso si parlava di una “grida” intendendo un’ordinanza o un editto.

Hartman Schedel, Liber Chronicarum (stampato a Norimberga nel 1493)
Nel primo Medioevo, anche se una maggior massa avesse voluto imparare a leggere ed a scrivere, avrebbe cozzato contro motivi strettamente economici, e cioè l’altissimo costo delle pergamene e più ancora dei libri, scritti laboriosamente a mano dagli scrivani specializzati in questo lavoro, gli amanuensi.
Con I’introduzione della carta, il primo di questi ostacoli venne a cadere, in quanto il costo di questo materiale era ben più ridotto del costo delle pergamene. Ma il costo dei libri permaneva elevatissimo, continuando a costituire una barriera ferrea alla diffusione del sapere, ed in primo luogo dell’alfabetismo.

Questo secondo ostacolo cadde anch’esso, nel tardo Medioevo, con l’invenzione della stampa, i cui effetti si fecero sentire progressivamente in tutti i paesi, in tutti i campi, in tutti i settori. Gli effetti non furono naturalmente immediati, e la pratica della stampa impiegò un secolo a diffondersi in maniera capillare, ma il grande ostacolo era caduto, ed il progresso in quel senso aveva ormai la via aperta.

La stampa non fu un’invenzione ‘unitaria’, ma procedette attraverso tre gradini, ed una tecnica rimasta ancor oggi per la stampa di disegni d’arte: la xilografia.
In un primo tempo, interi masselli di legno furono incisi, in modo da lasciate in rilievo il profilo dei caratteri: ogni massello permetteva di stampate una pagina. Vennero poi introdotti dei masselli che portavano un monogramma o una lettera maiuscola, ai quali si affiancarono presto completi assortimenti di caratteri singoli, che venivano riuniti in un telaio a formare una pagina da stampare; a stampa finita, la pagina veniva ‘scomposta’, ed i caratteri riutilizzati per un’altra, cosa evidentemente impossibile con la tecnica del massello unico per una sola pagina.

Il terzo gradino, fu l’introduzione dei caratteri metallici fusi. Questi si presentavano e venivano impiegati come quelli di legno, ossia ogni massello, evidentemente di piccole dimensioni, portava un solo carattere, una sola lettera: con un assortimento di caratteri si componeva la pagina da stampare. Il progresso consisteva nel passaggio dal carattere di legno a quello di metallo, e nel modo di ottenerlo: mentre il carattere di legno veniva ricavato con un processo abbastanza costoso di ‘scultura’ del massello, il carattere di metallo si otteneva gettando una lega metallica fusa entro una ‘matrice’, anch’essa metallica; incisa. Il costo di una matrice era certo superiore al costo di un carattere di legno, ma da una mantice si potevano ottenere centinaia di caratteri metallici, i quali, per di più, duravano molto di più di quelli in legno.

Le notizie più antiche; sulla stampa, vengono dall’Estrerno Oriente, e cioè dalla Cina e dalla Corea: sembra che già nel VI secolo si stampassero libri con la tecnica del massello unico per ogni pagina.
Più certe sono le notizie sulla stampa a caratteri mobili: nel secolo XI in legno ed in terracotta, e dal 1390 circa, in poi, in metallo (Corea).

In Europa lo sviluppo della stampa avvenne più tardi, ed impiegò procedimenti diversi, sotto certi aspetti, da quelli cinesi, per cui rimane l’interrogativo se l’invenzione sia stata importata in Europa dall’Oriente attraverso il ‘ponte’ costituito dal mondo arabo, pur subendo evoluzioni e innovazioni, oppure sia stata fatta indipendentemente in Europa.

Tra i più antichi esempi di stampa, in Europa, vanno citati i masselli di legno, recanti elaborate iniziali, impiegati nel 1147 nel monastero di Engelberg, ed i caratteri, pure in legno, impiegati a Ravenna nel 1298 per stampare pagine intere.
Il passaggio dai caratteri mobili in legno a quelli metallici avvenne tra il 1100 ed il 1400, in diversi paesi, mentre tra il 1436 ed il 1450 tutta la tecnica della stampa subì decisivi perfezionamenti a Magonza ad opera di Giovanni Gutenberg.