LA LEGGENDA DELLA VERA CROCE – Piero della Francesca

Piero della Francesca giunge ad Arezzo nel 1452 chiamato dalla facoltosa famiglia Bacci per proseguire gli affreschi della cappella maggiore in San Francesco, la cui realizzazione si era interrotta in quello stesso anno a causa della morte dell’ormai anziano Bicci di Lorenzo, mediocre artista di scuola fiorentina cui era stato inizialmente commissionato il ciclo pittorico.
La leggenda della vera Croce“, tema caro alla religiosità popolare e alle confraternite francescane, comprendeva un vasto materiale narrativo, proveniente da fonti agiografiche medievali, codificato nel XIII secolo da Jacopo da Varagine nella Legenda Aurea.
Le scene, disposte su tre registri, si distribuiscono secondo schemi compositivi che attraverso parallelismi o rimandi speculari privilegiano gli effetti visivi dei soggetti, piuttosto che il contenuto narrativo.

Al livello mediano la scena dell’Adorazione del sacro legno e L’incontro di Salomone con la regina di Saba – dipinta sulla parete di destra, di fronte al Ritrovamento delle tre croci e la verifica della vera Croce – rivela con manifesta limpidezza i fondamenti della poetica pierfrancescana. Le figure, dall’impostazione monumentale, esprimono l’assoluta purezza delle forme geometriche: sembrano solidissime statue modellate non dalla mano dell’uomo ma dal lento trascorrere del tempo o dall’impercettibile ma costante soffio del vento, vivificare infine dalla dolce intensità dell’energia solare.
I loro corpi sono pieni volumi sottolineati – mai esaltati, a volte celati – da altri volumi, quelli morbidi dei panneggi, delle stoffe vellutate che fluiscono e si increspano ai bordi in raffinati, naturali giochi di pieghe; i volti, perfettamente ovali, non tradiscono alcun turbamento emotivo; i gesti, perfettamente calibrati, rivelano una profonda ma controllata partecipazione al sacro evento.
Ritrovamento delle tre croci e la verifica della vera Croce (1455-1456 circa)
Arezzo, San Francesco, coro
Affresco cm 356 x 747
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La dimensione atemporale che avvolge l’intera figurazione scaturisce dalla sensazione di infinita ripetitività cerimoniale della scena, sacra ed eterna rappresentazione in cui ogni personaggio riveste un ruolo essenziale e insostituibile: nessuna forma, nessun colore, nulla è fuori luogo.
La visione sembra immobile: il maestro riesce a cogliere e a fissare l’istante di supremo equilibrio, il momento in cui I’uomo e la natura raggiungono la perfezione delle forme, la misura dei gesti e delle espressioni, incontrandosi con il divino, sacro ed immutabile ordine superiore delle cose.
Battaglia di Costantino e Massenzio (1458 circa)
Arezzo, San Francesco, coro
Affresco cm 322 x 764
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Anche gli uomini, i cavalli, le armi, il paesaggio sullo sfondo delle Battaglie che occupano il registro inferiore della cappella, partecipano alla medesima sacra rappresentazione.
Nella Battaglia di Costantino e Massenzio tutta la scena è superbamente orchestrata dall’alto, ogni elemento risponde ad un principio, ad un ordine superiore che è nella mente del “creatore”. Forme e colori si accordano in un’irreale armonia dove nulla – espressioni, gestualità, tonalità cromatiche, rapporti tra vuoti e pieni – è in eccesso o in difetto.
Battaglia di Eraclio e Cosroe (1458-1460 circa)
Arezzo, san Francesco, coro
Affresco cm 329 x 747
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Laddove, invece, come in alcuni brani della Battaglia di Eraclio e Cosroe, alla mano del maestro si affianca quella dei collaboratori, il miracoloso senso di sospensione spaziale e temporale si banalizza, diventando piuttosto schematicità; la calma solenne che impediva la concitazione dei movimenti si frange senza tuttavia che i personaggi si muovano liberi, lasciandoli come rigidi manichini: la composizione nel suo insieme, con l’eccezione di alcuni altissimi brani, sembra un’enorme parata, replica affollata della precedente.
Il sogno di Costantino (1457-1458)
Arezzo, San Francesco, coro
Affresco cm 329 x 190
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Nel Sogno di Costantino, affrescato sulla parete di fondo, ritorna la magia pierfrancescana: il bagliore che, accompagnando il messaggero celeste, squarcia le tenebre, irradia e conforma plasticamente i volumi delle figure e delle cose, insieme al diffuso chiarore lunare che si scorge oltre il conico padiglione, rivela l’eccezionale sensibilità luministica del maestro: l’effetto “creatore” della luce si unisce, in questo che è tradizionalmente considerato il primo notturno della pittura italiana, ad uno straordinario equilibrio compositivo e ad un profondo contenuto emotivo.
Assai probabilmente eseguiti tra il 1452 e il 1458, sicuramente entro il 1466, anno in cui un documento attesta il compimento dei lavori, gli affreschi aretini costituiscono la suprema testimonianza della piena maturità dell’artista.

La leggenda della vera Croce

L’adorazione del sacro legno e L’incontro di Salomone con la regina di Saba
(1455-1456 circa), affresco cm  336 x 747 
Arezzo, San Francesco, coro
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In lunga e fantasiosa leggenda della vera Croce inizia con la nascita del sacro legno sulla tomba di Adamo e si sviluppa in un susseguirsi di episodi che ricoprono un amplissimo arco cronologico. Dopo essere stato utilizzato per la costruzione di un ponticello sul fiume Siloe, il nero legno viene riconosciuto ed adorato dalla regina di Saba in visita al re Salomone, successivamente impiegato per la crocifissione di Cristo, infine sepolto.
Prima della battaglia contro Massenzio, Costantino sogna un angelo che gli impone di combattere in nome della Croce.
Dopo la vittoria di Costantino, Elena, madre del vincitore, si pone alla ricerca del sacro legno. Lo ritrova sul Golgota, insieme alle croci dei due ladroni, in seguito alla confessione dell’ebreo Giuda. La complicata vicenda prosegue con la trafugazione del legno da parte del re persiano Cosroe e si conclude con la sua riconquista grazie alla vittoria dell”imperatore romano Eraclio, che entra a Gerusalemme reggendo il prezioso legno.
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L’adorazione del sacro legno e l’incontro di Salomone con la regina di Saba presenta – secondo una formula compositiva molto cara all’artista – una struttura bipartita da un portante verticale, in questo caso una bianca colonna scanalata: a sinistra un paesaggio aperto fino all’orizzonte accoglie la regina, accerchiata dal gruppo delle sue dame, mentre si inginocchia ad adorare il sacro legno; a destra una severa ambientazione architettonica inquadra il solenne incontro alla reggia di Salomone.
Probabilmente realizzato attorno al 1455-1456, dopo l’esecuzione delle lunette e dei profeti del primo registro superiore, l’affresco rappresenta uno dei vertici, dell’intera produzione pierfrancescana per la sapienza prospettica della composizione architettonica e per l’equilibrio tra visione del reale e astrazione geometrica.
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