MARTIN LUTERO – L’inizio della riforma protestante

Lutero nel periodo monacale
Disegno di Lucas Cranach il Vecchio

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Dal 1514 era in corso in Germania una nuova grande e ‘campagna’ per la vendita delle indulgenze; l’acquisto di queste indulgenze aveva il potere di “cancellare qualsiasi peccato” come aveva sottolineato lo stesso Papa con tutta la forza della sua autorità. Gli introiti di questa campagna di vendita delle indulgenze dovevano servire per la costruzione della Basilica di San Pietro a Roma. In realtà però una parte delle somme incassate veniva impiegata dal più zelante sostenitore del decreto papale, il principe arcivescovo di Magonza e Magdeburgo Albrecht, amministratore apostolico di Halberstadt, per pagare gli ingenti debiti da lui contratti con i banchieri Fugger. La famosa banca di Augusta aveva infatti anticipato a questo rampollo degli Hohenzollern delle forti somme mediante le quali egli aveva potuto comprare dalla Curia romana le numerose cariche ricoperte realizzando un cumulo di attribuzioni e di poteri altrimenti vietati dal diritto canonico e che facevano di lui il più alto e influente rappresentante della chiesa in Germania. I Fugger avevano pensato di fare un ottimo investimento: in questo modo infatti, se da una parte erano garantiti sulla restituzione dei prestiti dalle ricche prebende di cui Albrecht avrebbe goduto, dalla altra avevano un’occasione unica per estendere la loro già grande influenza legando al loro carro il più alto esponente religioso della Germania.

La vendita delle indulgenze era una pratica già da secoli in uso nella chiesa cattolica. Da un punto di vista teologico essa giustificava il presunto potere che avevano le indulgenze papali di liberare gli acquirenti dai loro peccati, con il seguente argomento: la Chiesa Cattolica aveva accumulato nel corso dei secoli un’enorme quantità di meriti atti ad assicurarle in quantità illimitata la benevolenza, la misericordiosa e la grazia di Dio. Questi metriti le provenivano soprattutto per opera di Gesù, suo fondatore, degli apostoli, dei martiri della fede e della infinita schiera dei santi. Il Papa; come rappresentante di Cristo e della Chiesa era anche il depositario di tutto questo tesoro di misericordia e di divina indulgenza e quindi ne poteva disporre liberamente. Il peccatore aveva quindi la possibilità di essere liberato dai suoi peccati accedendo a questo tesoro di misericordia custodito dalla Chiesa stessa, cioè versando una adeguata offerta in base a un tariffario elaborato dall’autorità ecclesiastica. Se il peccato era piccolo, l’offerta lo estingueva completamente, se invece era molto grande, l’offerta serviva ad abbreviare i tormenti del Purgatorio; tuttavia un’offerta molto più cospicua poteva cancellare anche un peccato molto grave ed evitare al colpevole più abbiente anche il soggiorno abbreviato in Purgatorio.
Questo « sacro traffico » fu con l’andar del tempo, sempre più sfruttato e perfezionato dalla Chiesa: le esigenze finanziarie della Curia romana aumentavano continuamente e a Roma non si faceva certo una gran fatica a cercare sempre nuovi pretesti per vendere e collocare la “santa merce”. In base ad un’ordinanza papale del 1476 divenne perfino possibile comperare la liberazione dal purgatorio per persone già defunte! Nonostante che le critiche e le mormorazioni nei confronti di questo squallido mercato crescessero, gli affari andavano a gonfie­vele. I predicatori, incaricati di propagandare la vendita delle indulgenze, battevano il paese e soprattutto le campagne, promettendo non solo la liberazione dalle pene stabilite dalla Chiesa ma anche la liberazione da ogni peccato in cambio di una adeguata offerta di denaro. Uno dei più abili venditori di indulgenze papali fu il domenicano Giovanni Tetzel di Pirna; egli riuscì a raccogliere ingenti somme, parte delle quali affluirono nelle casse vaticane per finanziare la politica dei papi rinascimentali. Agenti della Banca Fugger sorvegliavano da vicino la operazione e si facevano premura di controllare che almeno una parte delle offerte dei credenti affluisse nelle casse dell’Arcivescovo di Magonza.
Lutero, dopo le sue meditazioni del 1516 e ancor più dopo quelle del febbraio 1517, era decisamente contrario all’abuso delle indulgenze. Per di più, attraverso le confessioni dei suoi penitenti, aveva saputo dell’atteggiamento mercantile del domenicano Tetzel che, nella vendita delle indulgenze si comportava appunto come un volgare imbonitore. Benché, per questioni di competenza territoriale, il monaco domenicano non potesse predicare nella Sassonia elettorale, turbe di cittadini di Wittenberg, attratti dalla fama e dall’oratoria del frate, si recavano in massa a Scharen, nell’Elettorato di Brandeburgo o a Zerbst, nella circoscrizione di Magdeburgo, per lucrare le “sante indulgenze”.
Spinto dalla sua concezione personale della spiritualità e della religione, ma, interpretando inconsciamente le esigenze ancora in gran parte inespresse della società del suo tempo, Martin Lutero compilò in lingua latina 95 tesi contenenti le sue idee sulla penitenza e sulle indulgenze, per proporle come argomento per una disputa accademica. Il 31 ottobre 1517 egli affisse una copia delle sue tesi sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg che normalmente veniva usata anche come “albo murale” per gli avvisi ed i comunicati dell’Università. Altre copie furono da lui inviate all’arcivescovo di Magonza e al vescovo di Brandeburgo e, qualche giorno dopo anche ad alcuni amici di Norimberga e di Erfurt dai quali voleva ottenere un giudizio.

LE 95 TESI DI LUTERO

Lutero espose nelle sue tesi la sua nuova concezione sulla penitenza in cui questa veniva considerata come un atteggiamento normale e quotidiano che doveva accompagnare il credente per tutta la vita ed aiutarlo nella sua lotta contro il peccato; essa non aveva niente a che fare con il “sacramento della penitenza amministrato dalla gerarchia ecclesiastica”. Il papa, in virtù dei suoi poteri spirituali poteva cancellare o mitigare solamente quelle penitenze e quelle pene che egli stesso aveva istituito o approvato quando erano state proposte dai suoi rappresentanti o dai suoi canonisti. Ma in nessun caso egli poteva pretendere di liberar le anime dal purgatorio: vedova limitarsi a pregare per loro. Anche perchè un peccatore sinceramente pentito dei suoi peccati doveva coraggiosamente affrontare il suo giusto castigo senza tentare di sottrarsi alle pene previste. Soltanto con questo atteggiamento, comprovante il suo profondo pentimento, egli poteva sperare nella misericordia divina e nel perdono anche senza lucrare alcuna indulgenza. Con la vendita delle indulgenze quindi “la gente veniva indegnamente illusa con la rosea convinzione di aver riscattato i suoi peccati con un po’ di danaro… e veniva propagandata una concezione della vita spirituale che si poteva così riassumere: non appena le monete tintinnano nelle casse della chiesa, i peccati sono perdonati e l’anima può andarsene dal purgatorio”.
Bisogna tuttavia precisare che nelle sue 95 tesi Lutero non si era ancora spinto tanto avanti; non c’era stata ancora la definitiva rottura ed egli era profondamente compreso del suo rango di Dottore in Teologia il quale iniziava una polemica piuttosto appassionata sul pentimento e sulla penitenza soltanto “per amore della verità” e perchè preoccupato di contribuire allo sviluppo di una coscienza morale responsabile ed autosufficiente nello uomo. Tuttavia in quel momento, caratterizzato da un crescente movimento di opposizione nei confronti della politica della Curia romana, la critica allo spettacolare smercio delle “sante indulgenze” e la coraggiosa sintesi degli argomenti contro questa indegna pratica contenuta nelle tesi di Lutero, anche se espressa in forma teorica ed attenuata, ebbe un effetto assai più profondo di quanto pensasse il suo autore e suscitò degli echi e delle conseguenze che andavano molto al di là delle sue intenzioni. Tradotte sul piano pratico, le sue tesi in fondo potevano anche significare per esempio che chi non aveva proprio tanti soldi da buttar via, poteva anche tenerseli per i bisogni della sua famiglia piuttosto che gettarli dalla finestra acquistando l’indulgenza. Oppure: perchè il papa non si costruiva la Cattedrale di San Pietro con i propri soldi anziché con quelli dei poveri cristiani, dal momento che i suoi tesori erano molto più ricchi di quelli leggendari di Creso? Il fatto è che in quel momento il risparmio era diventato una necessità assoluta per la realizzazione dell’accumulazione primitiva da parte della borghesia tedesca in ascesa e l’insofferenza nei confronti della spoliazione sistematica perseguita dalla chiesa e dalle gerarchie ecclesiastiche in Germania aveva raggiunto una fase esplosiva e si era estesa anche alle masse popolari contagiate dalle allettanti ideologie borghesi. Nelle 95 tesi di Lutero di celavano infatti le premesse, anche se non ancora chiaramente delineate, per edificare una “chiesa più a buon mercato” che si adattasse alle esigenze dei tempi nuovi e della nuova realtà sociale, che rispondesse alle aspirazioni della grande maggioranza della popolazione.
L’invito di Lutero rivolto ai suoi colleghi professori per iniziare una disputa sulle 95 tesi, non ebbe alcun seguito. All’inizio soltanto l’università di Karlstad si dichiarò pronta alla discussione, ma ben presto la piccola Wittemberg fu letteralmente frastornata dalla eco che la pubblicazione delle tesi aveva suscitato in tutta la Germania.
Verso la fine del 1517 Lutero apprese, incredulo e profondamente commosso che a Norimberga, a Lipsia ed a Basilea le sue tesi erano state ristampate e tradotte in lingua tedesca. Nei primi mesi del 1518 un enorme numero di copie tedesche erano già in circolazione in tutta la Germania e venivano avidamente lette e commentate.

LA LOTTA CONTRO LA CHIESA DI ROMA

Una veduta della città di Augusta

Le tesi affisse a Wittenberg riaprivano infatti la lotta contro il nemico capitale dell’evoluzione nazionale e del progresso sociale in Germania: esse scatenavano delle forze lungamente compresse e stavano producendo una vera e propria reazione a catena. Tutte cose che Lutero non aveva affatto previsto. Il primo assalto condotto contro una consuetudine della chiesa papista aveva scosso contemporaneamente i fondamenti ideologici del feudalesimo dal momento che erano state poste in discussione le basi teologiche e quindi giuridiche dalle quali entrambi traevano giustificazione; sopratutto veniva scosso il principio della loro universalità e della loro immutabilità. L’azione di Lutero è stato il segnale d’inizio dei grandi conflitti sociali del XVI sec. che “hanno coinvolto in un unico vortice tutti i ceti sociali scuotendo fin dalle fondamenta l’impero germanico” (Engels).
Il movimento contro l’ingerenza e lo sfruttamento di Roma che a quel tempo era fomentato da molteplici interessi comuni ai più diversi strati della popolazione, entrò in una nuova fase. La Riforma, nata dal fertile terreno di una crisi nazionale e nutrita dalle tesi di Martin Lutero, spianò la via e costituì la scintilla della prima rivoluzione borghese in Germania, la “rivoluzione N. 1 della borghesia” (Engels). Nel corso successivo degli avvenimenti Lutero spingerà ancora più a fondo il suo attacco contro la chiesa di Roma e fornirà l’ideologia per giustificare la prima grande rivolta della borghesia europea e delle masse popolari contro il sistema feudale.
La prima denuncia contro Lutero fu presentata alla Santa Sede da un incaricato dell’Arcivescovo di Magonza. Il monaco agostiniano venne infatti accusato di “diffusione di tesi errate”. Più tardi ci fu una reazione ancor più pericolosa degli odiati domenicani che, fin dall’alto Medio Evo avevano il monopolio dell’inquisizione e della persecuzione contro gli eretici per cui erano chiamati dal popolo con il significativo soprannome di “domini canes” (i cani del Signore) ottenuto scomponendo opportunamente la loro denominazione latina. In un ordine del giorno emesso dall’università di Francoforte sull’Oder, dipendente dall’Elettorato del Brandeburgo, essi accusarono apertamente Lutero di eresia. Questo fatto era sufficiente, secondo le leggi del tempo, per iniziare contro di lui un regolare processo canonico.
Nel frattempo il famigerato Giovanni Tetzel, con l’aiuto del professore di teologia di Francoforte Corrado Wimpina, aveva compilato e pubblicato 95 contro-tesi da opporre a quelle di Lutero. Questi rispose con il suo primo scritto tedesco, il “Ser­mone sulla remissione dei peccati e sulla Grazia”, nel quale egli precisava il suo pensiero e la portata della sua polemica in aggiunta alle “Reso­lutiones” che egli aveva scritto per illustrare le sue 95 tesi.
Intanto Lutero aveva trovato un nuovo avversario nel Dottor Johann Eck, un teologo di Ingolstadt, il quale nel suo opuscolo “Obelisci” aveva tacciato il monaco di Wittenberg di hussismo accusandolo apertamente di essere un eretico convinto. Anche il domenicano Tetzel non perdeva tempo: egli pubblicò infatti altre 50 tesi contro Lutero scagliandosi anche contro l’Elettore di Sassonia da lui accusato di proteggere il pericoloso eretico. Lutero partì al contrattacco con uno scritto intitolato “Libera discussione sulle indulgenze papali e sulla remissione dei peccati” notevole perchè in esso, per la prima volta egli esprime senza riserve e senza giri di parole il suo pensiero sull’argomento, usando in più un linguaggio colorito e popolaresco; caratteristica questa che accompagnerà poi tutti i suoi scritti rendendone ancor più facile ed efficace la lettura tra le più larghe masse del popolo tedesco. Tetzel poteva calunniare e maltrattare lui, Lutero, come voleva però “era intollerabile e insopportabile che lui grufolasse tra i versetti delle Sacre Scritture… con lo stesso stile di una troia che immerge il grugno in un sacco di ghiande… Quando simile gente che non ha capito niente della Bibbia e che non conosce bene nè il tedesco nè il latino si scaglia in modo tanto accanito e vergognoso contro di me l’unica sensazione che provo è quella di udire il raglio del più tonto dei somari… Io me ne sto qui a Wittenberg con la coscienza tranquilla: sono il dottor Martin Lutero monaco agostiniano e chiunque può trovarmi. Se qualche illustre inquisitore o cacciatore di streghe e di eretici avesse voglia di venire qui a spaccare le pietre in quattro o ad annusare il nostro ferro, sappia che sarà bene accolto, che troverà tutte le porte aperte, potrà girare dove più gli aggrada e trovare alloggio gratuito secondo quanto ha benignamente disposto e promesso il nostro illustrissimo Principe Elettore di Sassonia”. Così per la prima volta il polemico monaco agostiniano e professore di teologia citava in uno scritto anche il suo Principe che, d’altra parte, fin dal marzo 1518 gli aveva fatto discretamente pervenire il suo incoraggiamento a continuare senza paura per la strada intrapresa. Questa preziosa protezione, ottenuta tramite i buoni uffici e le sottili argomentazioni dello Spalatino, doveva ben presto risultare estremamente efficace anche sul piano pratico.
I domenicani, dimostrando la loro consueta perfidia, anziché inoltrare alle superiori gerarchie il testo contenente le 95 tesi, avevano trascritto una predica pronunciata da Lutero sulla dubbia legittimità delle disposizioni ecclesiastiche sulle indulgenze, vi avevano abilmente interpolato alcune frasi staccate tolte dai suoi precedenti scritti e avevano spedito il tutto al Generale del loro Ordine, il cardinal Caetani che, naturalmente aveva trovato il testo così manipolato ancor più compromettente e chiaramente eretico. Come se non bastasse, poco dopo, il consultore papale per le questioni riguardanti la Fede, il domenicano Silvestro Prieras, in una sua dichiarazione ufficiale aveva scagliato la maledizione della Chiesa sulle Tesi di Lutero giudicate “errate, maliziose ed eretiche”. Dopo queste autorevoli prese di posizione, Martin Lutero era diventato non solo per i domenicani e per la Curia ma anche per la massima autorità politica, l’imperatore Massimiliano I, un “eretico notorio” contro il quale, secondo la prassi del tempo, bisognava agire al più presto e con la massima severità. Perciò l’Elettore di Sassonia ricevette l’ordine dalla Corte imperiale di spedire sotto buona scorta il monaco ribelle a Roma per esservi interrogato e processato.
Ma per fortuna tra l’imperatore e l’elettore di Sassonia non correva affatto buon sangue ed i loro rapporti erano molto tesi. Federico il Saggio, soprannominato in modo ancor più appropriato dai suoi contemporanei “la volpe sassone”, durante le trattative per designare l’imperatore che doveva succedere a Massimiliano, si era rifiutato di mettere il suo voto elettorale a disposizione del candidato imperiale che era Carlo I re di Spagna, nipote dello stesso Massimiliano. Il suo comportamento era stato seguito con la massima attenzione dalla diplomazia vaticana: Roma infatti non aveva certo alcun interesse che il trono imperiale andasse al ramo spagnolo degli Asburgo perchè in tal modo gli stati della Chiesa si sarebbero trovati completamente circondati sia a Nord (Italia settentrionale) che a Sud (Regno di Napoli) dai territori asburgici con notevole pericolo per l’indipendenza politica e per la possibilità manovriera del potere temporale papale.
La Curia quindi aveva tutto l’interesse di mantenere cordiali rapporti con l’Elettore di Sassonia; anzi essa cercò in tutti i modi, con un sottile lavorio diplomatico, di farlo proclamare e riconoscere come candidato ufficiale al trono imperiale al posto di Carlo I.
Questa particolare congiuntura politica e le strane alleanze che essa produsse, si ripercossero favorevolmente anche sul processo canonico dell’eretico di Wittenberg e rappresentarono la sua salvezza. A Federico il Savio non fu difficile ottenere dal Vaticano che Martin Lutero venisse interrogato non a Roma ma in Germania e non secondo la prassi ‘giudiziaria’ bensì in modo ‘paterno’. Fornito di salvacondotto e di lettere di presentazione, Martin Lutero si recò allora nella libera città imperiale di Augusta dove trovò ad attenderlo due ferratissimi Consiglieri del suo Principe Elettore, incaricati di dargli ogni aiuto.

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