MARTIN LUTERO – Lo scontro tra i Papisti e i Luterani

La sfida di Lipsia tra Karlstadt e Lutero

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Il 12 ottobre del 1518 ebbe luogo nella casa dei Fugger il primo incontro tra Lutero e i plenipotenziari della Curia. Il cardinale Caetani, che aveva partecipato in veste di legato Pontificio a una Dieta imperiale tenutasi ad Augusta, esortò il monaco agostiniano a riconoscere i suoi errori, a rinnegarli e ad astenersi da ogni azione suscettibile di recar danno alla Chiesa. Ma Lutero non si piegò. Passò anzi al contrattacco impegnando immediatamente il sapiente generale dei Domenicani in una discussione teologica nel corso della quale ebbe occasione di esporre e di sottolineare con vigore ancor maggiore le sue idee e le sue convinzioni. Soprattutto egli sostenne senza mezzi termini la sua assoluta certezza che il peccatore potesse ottenere il perdono divino anche senza la mediazione del papa perchè, per ottenere questo perdono, non occorreva la somministrazione di alcun sacramento dal momento che, secondo lui, bastava aver fede nella possibilità di salvarsi.
L’atmosfera della riunione divenne ancor più tesa quando il “miserabile monaco mendicante” ebbe l’ardire di tacciare di presunzione il papa il quale reputa la sua autorità superiore a quella della Bibbia e del Concilio, e di correggere con aria trionfante alcuni involontari errori commessi dal cardinale durante la dotta disputa. I tentativi di conciliazione fatti dal timoroso Staupitz non ebbero alcun successo. Lutero rimaneva irremovibile. Dalla sua bocca non uscì la minima ritrattazione! In queste condizioni una sua ulteriore permanenza ad Augusta diventava veramente pericolosa. In fondo, il generale dei domenicani poteva, di fronte al mancato pentimento e alla mancata ritrattazione “del noto eretico”, farlo arrestare e tradurre a Roma per il processo. E’ per questo che i due consiglieri sassoni persuasero Lutero a fuggire la notte stessa dalla città per sottrarsi alla pericolosa vicinanza del cardinale.
Dopo il suo ritorno a Wittenberg, Lutero si aspettava giorno per giorno di ricevere la bolla papale di scomunica e pertanto si preparava a emigrare in Boemia oppure in Francia.
Federico il Saggio che aveva già una volta rifiutato l’estradizione di Lutero a Roma, era sottoposto a continue pressioni della Curia che lo sollecitava da una parte a por termine all’attività sediziosa di Lutero, dall’altra ad assecondare i piani della diplomazia vaticana.
Nel 1519 morì l’imperatore Massimiliano I senza esser riuscito ad assicurare al nipote la successione al trono imperiale. Per la Curia quindi ebbe inizio un periodo di trattative e mercanteggiamenti in vista della designazione del nuovo imperatore e queste trattative, durate lunghi mesi, rivestivano ovviamente un’importanza molto maggiore di quelle relative all’istruzione del processo canonico contro Lutero che, di fronte alle esigenze della alta politica, passò naturalmente in secondo piano.
Intanto una polemica letteraria sorta tra Andrea Karlstadt e Giovanni Eck aveva spinto questi due personaggi ad organizzare una pubblica disputa sulle loro contrastanti idee. Il professorone di Ingolstadt aveva approfittato dell’occasione per impostare le sue tesi in modo violentemente polemico nei confronti di Lutero, e il suscettibile monaco di Wittenberg non poteva certo restare indifferente di fronte a questa pubblica presa di posizione contro di lui nè esimersi dal partire al contrattacco sfidando a un duello oratorio il suo denigratore. Accompagnato da una scorta di 200 studenti dell’Università “Leucorea” armati, Lutero si recò quindi insieme a Karlstadt a Lipsia, dove, nella sala maggiore del castello di Pleissen ebbe luogo un memorabile scontro oratorio che durò quasi tre settimane e si svolse alla presenza del principe Giorgio, del ramo albertino della Casa di Sassonia.
I protagonisti della disputa furono Lutero ed Eck i quali esposero e riassunse in modo molto dotto e vivace le loro opposte tesi; tra il pubblico, seguiva con particolare attenzione i loro argomenti un giovane Magister, Thomas Müntzer.
Lutero demolì le presunte origini divine su cui si voleva basare il potere assoluto dei papi; von Eck replicò che questa sua presa di posizione metteva Lutero pericolosamente vicino alle eresie di Wycliff e di Huss; Lutero allora gli rispose che alla base delle dottrine di Jan Huss e degli hussiti c’erano delle idee profondamente cristiane e perfettamente accettabili dai veri credenti. Eck, in modo apertamente provocatorio, ricordò allora a Lutero che il Concilio di Costanza, convocato per giudicare l’eresia di Huss, si era concluso con la condanna al rogo del riformatore. Lutero gli rispose duramente dicendo che, prima, egli avrebbe dovuto dimostrare che i Concili non possono sbagliare e che non hanno mai sbagliato. Dopo questa audace affermazione di Lutero, l’abile Eck potè trionfalmente concludere la disputa dicendo: «Se Lutero sostiene che un Concilio di padri della Chiesa legittimamente costituito e regolarmente convocato possa sbagliare o abbia sbagliato in materia di fede, vuol dire che egli cerca semplicemente di contrabbandare tra di noi il paganesimo e l’ateismo. Perciò è perfettamente superfluo che io perda altro tempo per dimostrare la sua evidente eresia».
La disputa di Lipsia segnò la rottura definitiva tra Martin Lutero e la Chiesa papale e fu proprio questa clamorosa rottura a fare della Riforma l’ideologia e il potente impulso della prima fase della rivoluzione borghese. L’attacco a fondo condotto dall’eretico professore di Wittenberg contro il centro spirituale del mondo feudale, e i suoi primi appelli, compilati con chiarezza e senza mezzi termini, suscitavano tra le masse popolari una risonanza e un’adesione sempre più vaste. Anche i più famosi umanisti, tra i quali va ricordato soprattutto Erasmo da Rotterdam, cominciavano a interessarsi sempre più vivamente alle idee e all’opera del monaco ribelle. Idee luterane circolavano sempre più frequentemente tra le masse e la teoria stava per trasformarsi in una grande forza materiale. Da quel momento gli scritti di Lutero riprodotti e continuamente ristampati in quantità fino allora mai viste, incominciarono a esser letti, commentati e discussi in quasi tutte le famiglie. Le idee dell’audace monaco valicavano anche i confini e si diffondevano in Svizzera, in Olanda, in Francia e perfino in Spagna e in Italia. A Wittemberg arrivavano numerosi studenti stranieri attirati dalla fama di Lutero e del circolo umanistico di Filippo Melantone. La piccola università “Leucorea”, grazie all’impostazione moderna impressale dal contributo umanistico di Melantone, grazie alla protezione accordatale dallo Spalatino e, soprattutto, grazie agli stretti legami che essa manteneva con il movimento , della Riforma, fu per molti anni, nonostante la modestia dei suoi mezzi, la scuola più frequentata di tutta la Germania.
Il 1520 fu un anno decisivo per l’evoluzione e per il rafforzamento del movimento riformatore. Fu infatti questo l’anno in cui Lutero attaccò più duramente la chiesa papale e compilò i suoi più efficaci manifesti e appelli, in cui trovò in Filippo Melantone il collaboratore più fedele e il più geniale teorico del Protestantesimo, in cui ottenne anche l’appoggio della piccola nobiltà.
In quegli anni l’umanista italiano Lorenzo Valla era riuscito a dimostrare che la cosiddetta «Donazione di Costantino», su cui il papato aveva basato la giustificazione giuridica del suo diritto di esercitare un potere temporale al quale tutti gli altri Stati dovevano essere sottoposti, non era altro che un falso storico. Nel 1519 il polemico umanista von Hutten aveva pubblicato in Germania lo scritto del Valla, ben lieto di poterlo utilizzare come un’arma nell’accanita lotta che egli conduceva contro la chiesa papale nella quale egli aveva individuato il nemico più pericoloso dell’evoluzione nazionale del popolo tedesco. Nel trattato del Valla, Lutero potè così trovare una sia pur tardiva giustificazione a quanto egli aveva affermato durante la disputa di Lipsia e cioè che l’autorità papale non traeva origine dalla volontà e dai decreti del Signore. Soltanto che ora egli si spingeva molto più lontano: fortemente scosso dalla violenta campagna scatenata contro di lui e dall’odio che il clero ortodosso gli dimostrava, logorato dall’incertezza e dall’attesa della scomunica e delle sanzioni papali, egli arrivò addirittura alla conclusione che il papato romano non fosse altro che l’incarnazione dell’Anticristo. Tanto che in una serie di repliche scritte contro Prierias, egli dichiarò apertamente questo suo nuovo convincimento sottolineandolo con vigore ancora maggiore in certi suoi scritti pieni di rancore nei confronti di quei curialisti che avevano condannato le sue tesi.
Nel corso di una polemica con il francescano Alfeld, di Lipsia, Lutero scrisse un opuscolo intitolato “Sul papato di Roma, contro un ben noto sostenitore della Curia romana a Lipsia”, in cui ribadì che il primato dei pontefici e l’intera gerarchia ecclesiastica erano istituzioni anticristiane. Per di più sottolineò ancora una volta la progressiva spogliazione subita dalla Germania ad opera della chiesa papale.
Da ogni parte si chiedevano a gran voce riforme. Lutero, che era ormai diventato la personalità più popolare della Germania, non poteva certamente rimanere sordo di fronte a questa enorme pressione che veniva dal basso. Necessariamente egli fu costretto a porsi il problema di chi dovesse mettersi a capo di questo irresistibile movimento realizzando quelle forme che tutti auspicavano. Ed egli rispose a questo problema in modo tale da dimostrare di essere in realtà il portavoce dell’alta borghesia del suo tempo; lo fece in uno scritto dal titolo significativo “Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca sul miglioramento delle condizioni dei cristiani”. In esso egli esortava i potenti e i governanti tedeschi ad assumere la direzione della lotta contro Roma e di promuovere e proteggere tutti quei necessari mutamenti che si sarebbero irresistibilmente verificati nella nazione tedesca. Lutero inoltre rivolge un vibrante appello alla “nobile nazione tedesca” perchè respinga la tirannide romana e chiede la convocazione di un concilio nazionale organizzato dai governanti tedeschi.
In questo, che è il più ‘temporale’ dei suoi scritti, egli propone inoltre uno schema di riforme da applicare alla chiesa e ad alcuni settori della vita laica, riforme dettate ovviamente dalle necessità della nascente borghesia. Tant’è vero che nel suo schema di società ideale il posto preminente va ai ceti più abbienti per i quali sono riservati anche notevoli privilegi religiosi. Tuttavia Lutero non riconosce alcuna idea astratta e preconcetta della religiosità: è per questo che anche il diritto canonico diventa inutile e va eliminato in blocco. La consacrazione e l’investitura sacerdotale deve essere sostituita dall’elezione, da parte della comunità cristiana, di un lettore che diffonda e commenti le parole del Signore. Soltanto in caso di controversie tra le varie comunità si potrà ricorrere al consiglio di una personalità religiosa più autorevole che in nessun caso però potrà approfittare del suo prestigio per influire su questioni mondane. La maggior parte delle feste religiose e dei pellegrinaggi deve essere abolita, gli ordini mendicanti devono essere soppressi, le assoluzioni in cambio di danaro rigorosamente proibite mentre il numero delle feste di precetto deve essere ridotto. Quasi tutti i monasteri ed i conventi devono essere chiusi o trasformati in ospedali o in scuole.
Al problema della scuola e dell’educazione che per la prima volta viene indicato come uno dei doveri fondamentali dello Stato, Lutero ammette una grandissima importanza, tanto da stendere dei dettagliati piani di studio sia per le scuole inferiori che per quelle superiori. I principi della sua riforma erano quindi diretti a favorire il consolidamento dell’alta borghesia nell’ambito degli Stati principeschi.
Nell’ottobre del 1520 Lutero pubblicò “De captivitate babylonica eccle­siae” (Sulla cattività babilonese della chiesa); il nucleo centrale di questa opera contiene una confutazione della dottrina dei sacramenti con la quale la chiesa romana giustificava teologicamente la speciale posizione di privilegio – riservata ai suoi preti. Di tutti i sette sacramenti, Lutero ne accetta solo tre: il Battesimo, la Penitenza e l’Eucarestia in quanto essi favoriscono il rafforzamento dei legami spirituali e sociali che uniscono ogni comunità di cristiani. Tutti gli altri, la Cresima, l’Ordine Sacro, il Matrimonio e l’Estrema Unzione, vengono respinti in quanto istituiti dai preti con lo scopo ben preciso di influenzare la vita privata degli uomini. Il credente può stabilire direttamente il contatto con Dio e, se vuol farlo, non ha bisogno della mediazione del prete. Con questo scritto tutta la organizzazione ecclesiastica con le sue schiere di chierici veniva svuotata di ogni contenuto e non aveva più alcuna ragione di esistere.

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Durante i suoi sermoni, Lutero toccò spesso alcuni aspetti pratici della vita borghese. Egli insegnò così che non bisognava tollerare alcuna forma di mendicità e che per eliminare la povertà bisognava praticare la virtù del risparmio, bandire ogni inutile lusso ed ogni spreco anche nel mangiare e nel bere, che bisognava chiudere le case di tolleranza; che Dio andava onorato soprattutto svolgendo con perizia e diligenza il proprio lavoro e acquistando una abilità sempre maggiore nella propria professione. La valorizzazione del concetto di professione (notiamo che il corrispondente termine tedesco “Beruf” è stato coniato proprio da Lutero utilizzando il verbo “berufen sein” che significa “essere chiamati” a fare qualcosa di importante anche da un punto di vista spirituale), il riformatore si fece promotore di una nuova etica del lavoro. Con la sua battaglia contro il disprezzo in cui veniva fino a quel momento tenuto ogni tipo di lavoro profano, egli contribuì a creare una coscienza borghese.
Queste idee erano naturalmente destinato a suscitare una vasta risonanza. Esse rappresentavano, anche se Lutero non poteva averne coscienza, l’esatta trasposizione teologica delle aspirazioni che, in quel -periodo di grandi cambiamenti economici e sociali, animavano gli strati più evoluti della società e in particolare l’alta borghesia che, all’alba della prima rivoluzione borghese, si trovava ancora alla testa delle masse popolari in lotta per il progresso. Gli insegnamenti di Lutero affondavano le loro radici nelle necessità reali della società del XVI secolo impegnata in un laborioso processo di passaggio dai rapporti di produzione feudali a quelli capitalistici. Lutero fornì alle forze che operavano questa trasformazione la più efficace ideologia religiosa.
Dopo l’elezione dell’imperatore, la Curia aveva ripreso il processo canonico contro Lutero e cercava di accelerare i tempi. Dopo che un’apposita commissione, studiato in modo sbrigativo il caso, ebbe espresso in modo piuttosto superficiale il suo parere, il dottor Eck potè raggiungere papa Leone X, impegnato a cacciare il cinghiate nella sua tenuta della Magliana, e sottoporgli l’abbozzo della bolla di scomunica “Exsurge Domine”. Questa bolla è compilata in uno stile molto immaginoso e comincia con le seguenti frasi: «Sorgi o Signore e salva i tuoi. beni… perchè ci sono delle volpi che stanno devastando la tua vigna… e le Tue viti vengono abbattute da un feroce cinghiale uscito dalla foresta…» E più avanti: «La nostra missione pastorale non deve più essere inquinata dal mortale veleno dell’errore. Non possiamo tollerare oltre che la serpe velenosa strisci nei campi del Signore. I libri di Martin Lutero che compongono questo cumulo di errori, devono essere quanto prima giudicarti e bruciati». All’eretico fu imposto di ritrattare i suoi errori entro 60 giorni, trascorsi i quali egli sarebbe stato inesorabilmente e automaticamente colpito dalla scomunica.
Lutero cercò per l’ultima volta di raggiungere una soluzione di compromessa indirizzando al papa uno scritto intitolato “Sulla libertà di ogni cristiano”. In questo scritto egli enuncia il principio dei “due regni” in base al quale i cristiani hanno l’obbligo di obbedire solamente a quelle autorità che rappresentano il “regno terreno”, cioè lo Stato. Soltanto spirituale è invece il secondo regno, cioè l’associazione dei cristiani desiderosi di risolvere i problemi della fede e della anima. Essi sono uniti in una chiesa “invisibile” e sono responsabili soltanto di fronte a Dio e a Lui solo devono piena obbedienza. La teoria dei “due regni” e il dovere per ogni cristiano di obbedire alle autorità politiche costituite, rappresenta il primo rifiuto di Lutero a ogni decisivo cambiamento nelle gerarchie sociali che potesse essere richiesto dalle masse popolari.
I legati pontifici Aleander ed Eck, incaricati di divulgare la bolla papale e di far bruciare gli scritti di Lutero, incontrarono notevoli difficoltà. Molto spesso il boia gettava deliberatamente nel fuoco le opere degli scrittori scolastici e degli anti luterani al posto di quelle dell’eretico condannato.
Per effetto dell’emozione prodotta in lui dalla bolla, Lutero scrisse di getto una violenta replica indirizzata al papa e l’intitolò “Contro la bolla dell’Anticristo”. Per di più, in risposta all’ordine di bruciare i suoi scritti, che aveva vivamente impressionato e indignato tutti gli uomini di buon senso, Lutero invitò i professori e gli studenti con i loro parenti ed amici, nonché la popolazione di Wittenberg, a compiere un atto simbolico di grande efficacia. Così il 10 dicembre 1520 sullo spiazzo destinato alle esecuzioni situato davanti alla torre di Elster, furono dati alle fiamme i libri di diritto canonico, i decreti del papa, gli scritti dei nemici di Lutero – soprattutto quelli di Eck e di Hieronymus Emser – e infine una copia della bolla di scomunica.
La notizia di questa nuova sfida lanciata da Lutero suscitò un’enorme impressione in tutta la Germania ed ebbe un grandioso successo propagandistico. Il monaco di Wittenberg divenne automaticamente l’eroe della lotta tra la nazione tedesca e Roma, e il movimento da lui promosso acquistò una forza tale da non poter più essere in alcun modo contenuto. L’università di Wittenberg si schierò compatta con il suo professore di teologia colpito dal bando di scomunica. Intorno a Lutero si era formato un gruppo di valenti collaboratori, tra i quali primeggiavano uomini come Nicola von Amsdorf, Caspar Cruciger, Ju­stus Jonas e Giovanni Bugenhagen. Una vasta corrente letteraria e un’agitazione politica delle più disparate tendenze contribuivano a diffondere in modo ancor più capillare tra il popolo le dottrine de “L’Usignolo di Wittenberg” (così infatti lo definì nel 1523 Hans Sachs in una sua celebre poesia). L’appoggio ormai palese e scoperto dell’Elettore di Sassonia e l’evidente e crescente popolarità raggiunta in tutti i ceti sociali e nelle masse popolari, misero Martin Lutero al riparo da ogni vendetta della Curia, gli diedero un’assoluta sicurezza morale e resero del tutto inefficace la bolla di scomunica “Decet Romanum Pon­teficem” che rimase perciò lettera morta e non ebbe alcuna conseguenza pratica.

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