LE ORIGINI DEL CRISTIANESIMO

Le origini del cristianesimo

Il cristianesimo nacque e si diffuse originariamente negli ambienti sociali inferiori e sfruttati, in mezzo al popolo “sofferente e afflitto”, conquistando come proseliti gli uomini di condizione libera rovinati e sul punto di perdere la loro libertà, i piccoli artigiani, i proletari e gli schiavi.
Le masse popolari dell’impero romano, asservite, oppresse e ridotte alla miseria, avevano cercato dapprima, nel II e nel I secolo a.C., una via d’uscita nella lotta aperta, nella ribellione. Ma il fallimento di tutti i tentativi di rivolta aveva dimostrato che ogni forma di resistenza alla schiacciante potenza romana era senza speranza. Perciò negli strati inferiori della società era nata e si era largamente diffusa l’attesa di un « salvatore celeste » che liberasse dai mali e dai dolori della terra.

Questa speranza si era manifestata con forza particolare nella Giudea e nell’Asia Minore, dove numerose erano le colonie ebraiche, dove nel I secolo si era sperato fortemente nella salvezza che doveva venire dal « re dei giudei », il messia, inviato da Dio. Del resto la popolazione autoctona dell’Asia Minore aveva anche dedicato culti molto diffusi alle proprie divinità salvatrici o redentrici: ricorderemo, per esempio, quello di Ermete Trimegisto (tre volte grande), lo antico dio greco dell’allevamento e dell’agricoltura, che si riteneva dovesse venire a salvare i suoi fedeli. Un altro culto popolare era quello del dio frigio Sabazios, antica divinità agricola analoga al Dioniso greco, nel quale si vedeva un salvatore. Nelle province orientali dell’impero, si era vista apparire una moltitudine di profeti fanatici che attiravano gran numero di seguaci e fondavano le loro sette predicendo la venuta di un “salvatore”. Una di queste sette giudaiche fu l’embrione del cristianesimo.
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Caravaggio: L’incredulità di San Tommaso
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L’opera più antica della letteratura cristiana che noi possediamo è l’Apocalisse di Giovanni (68 o 69). Il suo autore era uno dei profeti della venuta del messia (in greco: Christos), un certo Giovanni, originario dell’isola di Patmos. Egli si indirizza ai membri delle sette chiese (comunità) d’Asia Minore, che attendono la venuta del Cristo, ma che egli chiama ebrei e non ancora cristiani.
Nella sua apocalisse, Giovanni racconta con un tono appassionato le visioni nelle quali gli era stato rivelato che la “fine del mondo” era prossima, e che il Cristo, l’“agnello di Dio“, si accingeva a procedere al “giudizio finale” del mondo peccatore. La punizione doveva abbattersi prima di tutto su Babilonia, la “grande prostituta”, seduta su una bestia dalle sette teste e che faceva la guerra ai “santi”, cioè ai credenti; per la prostituta bisogna intendere Roma, e le sette teste del mostro sono gli imperatori fino allora succedutisi. Cristo, alla testa dell’esercito dei giusti, precipiterà la bestia e tutti i suoi seguaci nella fornace della gehenna, poi creerà un nuovo cielo e una nuova terra e edificherà la nuova Gerusalemme. Allora tutti i giusti resusciteranno alla vita eterna, e avrà inizio il felice regno del Cristo che non avrà mai fine. Nell’Apocalisse di Giovanni vibra ancora un accento guerriero, la passione ancora calda della lotta.
La “Buona novella” (euanghelion in greco) del prossimo avvento del Salvatore venne diffusa da una moltitudine di emigranti, di pellegrini e di propagandisti (apostoli) e accolta con gioia da tutti gli “oppressi e gli afflitti”, gli schiavi e poveri delle città, e, in particolare, le donne. Semplice setta ebraica all’inizio, il movimento non tardò ad assumere un carattere largamente popolare, dapprima nelle province orientali dove era dominante la lingua greca (Asia Minore, Siria, Egitto) poi nelle province occidentali (Africa romana).
All’inizio del II secolo, si vide apparire una vasta letteratura orale e scritta: sermoni, epistole, rivelazioni che le chiese si scambiavano tra di loro, opere infarcite di favole, di miti e di leggende di ogni sorta. Fu allora che si formò, nel primo terzo del II secolo, e che si diffuse fra i credenti in Cristo (i “cristiani” come cominciavano a chiamarsi) il mito secondo il quale Cristo, il “re dei cieli”, era già venuto sulla terra, sotto la forma di un uomo di umile condizione, e sotto il nome di Gesù di Nazareth, un piccolo villaggio della Palestina, e aveva sofferto personalmente tutti i mali e tutte le sofferenze della povera gente. Su questo tema furono composti numerosi Vangeli, quattro dei quali divennero successivamente i più accettati e i più diffusi (quelli secondo Marco, secondo Matteo, secondo Luca e secondo Giovanni).
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εὐαγγέλιον – Una pagina del vangelo originale
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I Vangeli raccontano che Gesù sarebbe nato ai tempi di Augusto nella famiglia di un falegname della Galilea, Giuseppe di Nazareth, dalla sposa di questo falegname, la “vergine Maria” e dallo “Spirito Santo”. Gesù visse oscuramente per circa trent’anni poi si mise a profetizzare e a far miracoli. Egli guariva e resuscitava i morti, adunava intorno a sé folle di povera gente alla quale predicava l’umiltà e la dolcezza. Intorno a lui si formò un gruppo di fedeli discepoli che lo accompagnavano nelle sue peregrinazioni. I preti di Gerusalemme e i rappresentanti dell’autorità romana lo consideravano come un fazioso e il sinedrio lo condannò a morire sulla croce. Ponzio Pilato, il procuratore romano della Giudea, confermò la condanna del sinedrio e Gesù venne crocefisso, ma risuscitò dopo tre giorni e fu, quindi, il primo uomo a vincere la morte. Dopo esser rimasto per qualche tempo fra i suoi fedeli Gesù ascese in cielo, avendo promesso che sarebbe tornato presto sulla terra per giudicare i vivi e i morti e per stabilire il suo regno eterno.
Le chiese primitive che vivevano nell’attesa del ritorno del Cristo e della prossima “fine del mondo” erano organizzate su principi che possiamo dire comunistici. Alla testa delle comunità stavano gli anziani (presbiteri o preti) assistiti dai “diaconi”; anche i più poveri tra gli uomini liberi e gli schiavi potevano essere preti. I cristiani diffidavano dei ricchi e dicevano che “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli”. I ricchi erano quindi ammessi nella chiesa solo a condizione che distribuissero volontariamente i loro beni ai poveri, membri della comunità cristiana.
Nei primi tempi i cristiani tenevano abitualmente le loro riunioni segrete nei cimiteri (a Roma nelle necropoli sotterranee, le catacombe). Queste assemblee erano consacrate alla lettura delle epistole e dei Vangeli, poi uno degli assistenti, entrato in estasi (carisma: discesa dello Spirito Santo), gridava parole edificanti e profezie. I proseliti erano ammessi nella chiesa dopo che l’acqua del “battesimo” li aveva lavati da tutti i loro peccati precedenti, e la riunione si concludeva con una modesta agape notturna di pane e di vino.
Fin dall’inizio la nuova religione cristiana insegnò la rassegnazione. Il carattere passivo delle chiese primitive doveva forzatamente condurre allo snaturamento dei caratteri originari del cristianesimo che cessò di essere una religione di lavoratori, di sfruttati, di indigenti e di schiavi, per divenire una religione come tutte le altre. Il tempo passava e il Cristo non tornava per compiere la sua missione. L’attesa messianica si andò indebolendo mentre si veniva modificando anche la composizione sociale delle chiese. Al fianco dei poveri cominciarono ad entrarvi anche i ricchi che, naturalmente, spingevano i poveri in secondo piano. Questi ricchi colmavano le comunità dei loro doni: personaggi di alto lignaggio divennero i patroni di intere chiese cristiane (per esempio la grande famiglia patrizia dei Metelli, e Marcia, la favorita dell’imperatore Commodo).
Nel corso del II secolo, questa evoluzione andò accentuandosi e all’inizio del III secolo il carattere delle chiese cristiane aveva subìto una radicale trasformazione. Certe chiese erano divenute detentrici di considerevoli proprietà, di tesori e di grosse somme di denaro. Essere prete di una chiesa del genere era quindi divenuto un affare lucroso. Nei sermoni cominciò a sentirsi una nota nuova: vi si diceva che gli schiavi dovevano essere sottomessi ai padroni, perché ogni potere viene da Dio. Si videro apparire alti dignitari, i vescovi, che avevano la sorveglianza delle chiese di interi distretti, dipendenti dal capoluogo di regione (metropoli), che divenne residenza di questa suprema autorità religiosa.
Senza l’ordinazione (imposizione delle mani) dei vescovi, i ministri del culto eletti dalle comunità (chierici) non potevano ormai più esercitare la loro funzione, amministrare il battesimo e presiedere le preghiere comuni. I vescovi delle grandi città orientali, Alessandria e Antiochia, e successivamente quelli di Roma, cominciarono a godere di un’autorità del tutto particolare. Si moltiplicarono i riti presi in prestito dalle altre religioni. Il battesimo e la comunione si trasformarono in “misteri” simili a quelli praticati dagli adoratori di Cibele e di Adone; il mitraismo fornì la base della leggenda della nascita del Cristo in una grotta. La volgarizzazione delle dottrine degli stoici e, in particolare, quella di Seneca (il “padrino del cristianesimo” secondo Engels) consentì di costituire un sistema di morale cristiana che poggiava sui principi di umiltà e di pazienza. Filone l’ebreo, scrittore alessandrino dell’inizio del I secolo, definito da Engels il “padre del cristianesimo”, tentò di sincretizzare il giudaismo e la filosofia greca. Egli fu l’ispiratore della dottrina cristiana, apparsa nel II secolo, del “verbo” (logos), degli angeli quali intermediari tra Dio e gli uomini, dello “spirito immondo”, ecc.
Nel III secolo i vescovi cominciarono a riunirsi in sinodi, per decidere quali proposizioni e quali dottrine dovevano essere universalmente riconosciute e obbligatorie, quali altre invece conveniva condannare e respingere. Così dell’abbondante letteratura cristiana primitiva furono riconosciuti come canonici (dal greco canone che vuol dire regola) solo i quattro Vangeli ricordati sopra, gli Atti degli Apostoli, le 21 epistole degli apostoli e l’Apocalisse di Giovanni. Gli altri scritti vennero considerati come apocrifi e ne venne interdetta l’utilizzazione. Più in generale vennero dichiarati errori perniciosi (eresie) tutte le deviazioni dalla vera dottrina (ortodossia). Gli eretici dovevano essere puniti: isolati dalla comunione dei fedeli o addirittura colpiti da anatema (maledizione).
Il risultato di questa attività dei vescovi e dei sinodi fu di riunire le comunità cristiane fino ad allora isolate in una potente organizzazione diramata in tutto l’impero romano, e questa organizzazione non tardò a pesare come una potente forza sociale. Ma al suo interno si scatenò una lotta violenta e accanita tra le diverse tendenze che puntavano ad imporre a tutta la chiesa il proprio punto di vista. Molti fedeli, soprattutto fra la povera gente, rifiutavano di sottomettersi al nuovo regime autoritario imposto ai fedeli e si battevano per la restaurazione dell’antica libertà di esame. Per le loro posizioni questi oppositori venivano perseguitati, dichiarati eretici e scacciati dalla chiesa.
Una eresia che ebbe un seguito notevole fu quella dei montanisti, o discepoli di Montano, un fanatico predicatore della Frigia che per i suoi seguaci era il “Paracleto in persona” (cioè l’intermediario tra Dio e gli uomini). I montanisti non riconoscevano nessuna gerarchia ecclesiastica, nessun canone obbligatorio, nessuna liturgia prestabilita. Essi rivendicavano l’antica libertà di predicazione per chiunque si credesse visitato dallo Spirito Santo. Il montanismo si diffuse soprattutto nell’Africa romana, dove vantò tra i suoi proseliti uno dei più grandi scrittori della fine del II e dell’inizio del III secolo, il prete cartaginese Tertulliano. E’ a lui che si deve la formula fanatica “credo perché è assurdo” (Credo quia absurdum). Nelle sue numerose opere Tertulliano condannava la scienza che, secondo lui, i Vangeli avevano reso inutile; egli sosteneva che l’idolatria non consisteva solo nello adorare le immagini degli dei pagani, ma che era presente in ogni forma di arte che cercasse di rappresentare la realtà terrena. Egli prescriveva un digiuno perpetuo perché Adamo era stato indotto in peccato da una mela.
L’eresia più diffusa tra i cristiani colti che conoscevano la filosofia ellenistica era lo gnosticismo (dal greco gnosis, conoscenza). Gli gnostici cercavano di conciliare la dottrina cristiana con la “saggezza pagana”. Ne risultava una bizzarra e fantastica mescolanza di pitagorismo, di platonismo e di diversi altri elementi. Gli gnostici cercavano di entrare in contatto con le “forze dell’al di là” per mezzo di operazioni magiche e dell’evocazione degli spiriti.
Nel I e nel II secolo della nostra era, il cristianesimo, tanto nella sua forma ortodossa che nelle sue manifestazioni eretiche, ispirava il più grande sospetto alle classi medie delle città, come a quasi tutti gli abitanti delle campagne e ai funzionari dell’impero. Nelle città i cristiani vennero massacrati più di una volta, dato che si attribuivano loro tutte le calamità naturali (siccità, inondazioni, cattivi raccolti, ecc.). In un gran numero di opere letterarie che si sono conservate fino ai giorni nostri (come per esempio le “Parole veridiche” di Celso, e la “Morte del pellegrino” di Luciano) il cristianesimo è criticato aspramente e denunciato come la superstizione più grossolana. Celso, in particolare, irride alla dottrina cristiana della “fine del mondo” e del giudizio finale. I cristiani consideravano come loro principali nemici i contadini (pagí), donde deriva la parola “pagano” per designare in generale gli infedeli. I sovrani e i loro governatori vedevano nei cristiani dei cattivi sudditi, che si sottraevano alle prestazioni e ai contributi e si rifiutavano di partecipare al culto degli imperatori. Già Traiano nella sua corrispondenza con Plinio, ordinava di punire i cristiani che rifiutavano apertamente di sacrificare alle immagini degli imperatori, e anche sotto Marco Aurelio si infierì contro i seguaci tanto zelanti della nuova fede. Nel II secolo, tuttavia, le persecuzioni contro i cristiani furono di breve durate e nel complesso il governo romano di questa “età illuminata” si atteneva alla tolleranza religiosa.
Il cristianesimo progrediva rapidamente e a partire dalla fine del II secolo, si affermò come una potente forza sociale che contribuì al disfacimento dell’antica concezione del mondo.
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Gesù nel dipinto Ecce Homo (1639-1640)
Guido Reni, Louvre
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