Numerose, sempre originali, scritte con linguaggio di esemplare chiarezza furono le opere del Machiavelli.
Il Machiavelli fu cittadino che visse la vita varia e tumultuosa della sua città.
Probabilmente della sua giovinezza sono sei canti carnascialeschi, dei quali notevoli il “Canto degli spiriti beati”, che è un ammonimento alla concordia cittadina, e il “Canto dei vomiti”, dove non mancano allusioni ironiche alla rovina del mondo profetata dal Savonarola e dai suoi partigiani.
Una pagina tutta lirica è una “Serenata” in ottave, dove, ad impetrare amore, l’amante narra la storia di crudeli donne della mitologia, punite alla fine dagli dèi.
Così pure della giovinezza si crede la novella di “Belfagor”…, nella quale Machiavelli afferma che i vari diavoli non sono quelli dell’Inferno, ma gli uomini che vivono sulla terra.
Nella novella, ritraendo un vecchio motivo, il Machiavelli narra come, lagnandosi la più parte dei dannati di aver meritato l’inferno per colpa della moglie, i giudici infernali, per convincersi dell’accusa, mandano un diavolo nel mondo, Belfagor, che, sotto forma di uomo, prenda moglie e dopo dieci anni ritorni laggiù nell’inferno, a riferire intorno al matrimonio.
Belfagor si stabilisce a Firenze sotto il nome di Roderigo di Castiglia…, e, tra le tante concorrenti alle sue ricchezze, sposa monna Onesta Donati.
La quale mette sù superbia e vuole che il marito arricchisca i suoi fratelli e la aiuti a maritare le sorelle, e sfoggia su tutte le altre, nelle feste di San Giovanni…, e lo precipita nei debiti, tanto che egli è costretto a fuggire da Firenze, inseguito dai creditori…, e trova ancora pace nell’inferno, dove il vivere è più bello, che in questo mondo con la moglie.
Della giovinezza di Machiavelli ci è giunto il “Primo Decennale”, cioè la storia delle sventure italiane, nel decennio dal 1494 al 1504.
E’ un canto in terzine diretto ai fiorentini, le cui imprese costituiscono come il centro del racconto: ed è più un compendio di cronistoria che una pagina di poesia.
Ma la più parte degli scritti anche letterari del Machiavelli fu composta dopo il 1512: l’anno per lui tristissimo, in cui si vide rimosso dalle funzioni pubbliche e oppresso da ogni miseria.
E’ dopo di allora il “Secondo Decennale”, rimasto frammentario, che giunge narrando fino alle sconfitte dei Veneziani per parte della lega di Cambrai montata loro contro da Giulio II.
Dopo di allora si colloca uno strano poemetto in terzine: “L’Asino d’oro”, del quale non sono rimasti che otto brevi capitoli.
Il poeta si propone di narrare ciò che gli accadde, e ciò che vide, tramutato in asino da Circe (la famosa maga dell’Odissea, che convertiva in bestie i suoi amanti).
Il motivo iniziale è suggerito dalla “Metamorfosi” (o volgarmente Asino d’oro) di Apuleio, nel secondo libro…, ma il poeta non arriva fino a trattare della propria trasformazione in asino, ma si limita ai preliminari, per così dire, di essa: e alle sue conversazioni e amori con un’ancella di Circe.
Hanno non poco valore le considerazioni che, nel capitolo quinto, l’autore fa sull’ampliamento e sulla conseguente fatale rovina degli Stati: ordine questo voluto da Dio, perché nulla stia mai fermo sotto il sole, e l’uomo sia costretto a tener continuamente esercitata la sua energia.
Molte e oscure le allusioni satiriche del settimo capitolo, dove il futuro asino, in una specie di cortile del palazzo di Circe, contempla i molti animali, che già furono uomini famosi o della politica o delle lettere.
Notevole il capitolo ultimo.
L’autore crede naturalmente che gli ex-uomini amanti di Circe desiderino la perduta vita umana.
No. Interrogati in proposito, dimostrano quanto le bestie siano più sagge e più felici degli uomini.
Il motivo deriva da un dialogo del filosofo greco Plutarco, il “Grillo” (nome del protagonista) “intorno alla intelligenza, dei bruti”…, dove si esalta, su quella dell’uomo, la sapienza delle bestie.
Il concetto della miseria e imperfezione dell’uomo al paragone delle bestie trovò poi larga eco nella letteratura scettica e pessimistica.
Né mancano al Machiavelli minore i “Capitoli”…, forma di poesia famigliare in terzine, che conseguì grande fortuna. Uno, contro la “Ingratitudine”, fu probabilmente scritto prima del 1512 e forse quando alcuni suoi avversari lo volevano escluso dagli uffici pubblici.
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