ERNEST RUTHERFORD – Padre della fisica nucleare

Ernest Rutherford, Primo Barone Rutherford di Nelson
(Brightwater, 30 agosto 1871 – Cambridge 19 ottobre 1937)

 

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Nel 1919 in un laboratorio della nebbiosa città di Manchester in Gran Bretagna l’uomo riusciva, dopo secoli di tentativi, ad ottenere per la prima volta la trasformazione della materia. Lo scienziato a cui va la gloria di aver coronato l’antico sogno degli alchimisti, è Ernest Rutherford, il figlio di un agricoltore della lontana Nuova Zelanda destinato a diventare più tardi Sir Ernest e più tardi ancora Lord Ernest Rutherford of Nelson per i suoi insigni meriti scientifici.

Fin dagli inizi della sua carriera scientifica Rutherford fu irresistibilmente attratto da quel fenomeno che, scoperto quasi per caso dal fisico francese Becquerel, stava in quegli anni mettendo in crisi l’intero edificio della fisica ancorata ancora alla placida staticità del positivismo: la radioattività.

Verso la fine del secolo scorso la scienza sembrava infatti aver trovato una definitiva sistemazione ideologica; le leggi della meccanica, individuate tre secoli prima da Galileo e da Newton, erano state portate ad una espressione matematica di perfezione estrema per merito di Gauss, di Lagrange, di Hilbert. L’elettricità e il magnetismo erano stati profondamente studiati in tutti i loro aspetti e Clerk Maxwell aveva potuto proporre le sue celebri equazioni che descrivevano perfettamente il fenomeno elettro-magnetico dimostrando anzi che tutte le forme di energia raggiante, dalla luce alle onde radio, erano ad esso riconducibili. Le leggi della meccanica e quelle dell’elettro-magnetismo avevano una struttura matematica analoga, erano basate sul concetto di uno spazio assoluto e di un tempo assoluto nonchè sui sovrani principi della conservazione del materia e della conservazione del energia. Anche la chimica aveva subito una profonda sistemazione razionalistica: l’essenza di tutta la materia era costituita da atomi indivisibili ed immutabili, veri e propri mattoni con cui l’intero universo era costruito. Esistevano 92 tipi di atomi dotati di un’individualità ben precisa e di caratteristiche fisio-chimiche ricorrenti. Tant’è vero che ordinandoli tutti nella tabella proposta dal geniale chimico russo Mendelejev, si poteva addirittura ‘predire’ l’esistenza di elementi non ancora individuati, il loro peso atomico, la loro caratteristica fondamentale.

L’edificio della scienza si innalzava, quindi come un maestoso capolavoro architettonico in cui tutto era stato misurato, calcolato e previsto, in cui perfino ciò che non era stato previsto era comunque prevedibile con delle semplici operazioni numeriche. Era l’epoca del naturalismo positivistico, dei cattedratici onniscenti, delle “magnifiche sorti e progressive”, del balletto “Excelsior”. Nessuna persona dotata di buon senso e di sano raziocinio avrebbe mai nemmeno lontanamente sospettato che pochi anni dopo un oscuro impiegato dell’ufficio Brevetti di Berna, Albert Einstein, avrebbe definitivamente distrutto i concetti di spazio e di tempo assoluti introducendo anche nella scienza quel relativismo che era sta io intuito dalla dialettica dei filosofi greci; nè tanto meno che un modesto professore prussiano quotidianamente schiacciato dall’autorità e dagli strapazzi del gran nume Boltzmann, il timido Max Planck, avrebbe dimostrato che la materia, 1’energia, la natura tutta si evolvono con la più completa discontinuità e che i cambiamenti quantitativi producono, per accumulazione, dei cambiamenti qualitativi come era stato intuito a suo tempo da quel filosofo così poco conformista che fu Frederick Engels.

Questa grande rivoluzione scientifica, destinata a dominare con le sue conseguenze l’intero secolo ventesimo, ebbe inizio in modo piuttosto modesto e comunque molto lontano da quella retorica scientifica, allora molto di moda, che vedeva, in armonia con le teorie liberali, nella notte insonne del genio solitario l’unica fonte dell’evoluzione e del progresso nel campo del sapere.

Nel 1896, infatti, alcuni amici geologi regalarono al fisico francese Henri Becquerel un bel pezzo di minerale d’uranio. Becquerel pensò giustamente di utilizzare quel dono come un originale fermacarte per la sua scrivania. Il caso volle che un giorno egli ponesse il minerale d’uranio sopra un pacco di lastre fotografiche ancor vergini e perfettamente imballate che egli conservava per registrare un esperimento scientifico. Eseguito l’esperimento e sviluppate le lastre, egli dovette però accorgersi con notevole disappunto che esse erano completamente rovinate: era come se avessero preso luce, ma soltanto al centro, ed era veramente singolare che la grossa macchia avesse la forma dell’insignificante fermacarte ricevuto in omaggio. Becquerel, che era uno sperimentatore nato, comprò altre lastre vergini e vi pose sopra la sua pietra in posizione diversa; anche questa volta, dopo lo sviluppo egli poté constatare che le lastre erano state impressionate nello stesso punto in cui egli aveva posto il suo fermacarte. Era quindi evidente che questa pietra emetteva ‘luce’. Una luce più potente e penetrante di quella comune dal momento che era in grado di oltrepassare gli involucri e la carta stagnola. Il fisico francese pensò ovviamente di studiare questo nuovo tipo di luce, si accorse che tutti gli elementi più pesanti della scala di Mendelejev erano capaci di emetterla e che l’emissione più forte proveniva dalla pechblenda.

I coniugi Curie riuscirono a isolare in questo minerale un nuovo metallo, il radio, e il fenomeno assunse definitivamente il nome di radioattività.

Il clamore suscitato da questa scoperta fu enorme: il fatto che la materia si consumasse sia pur lentamente emettendo energia luminosa metteva in discussione il sacrosanto principio di conservazione su cui era edificata tutta la scienza naturale. Il fatto che essa si dissolvesse sotto forma di energia metteva in discussione un principio altrettanto basilare, quello della netta separazione tra materia ed energia. Il fatto, successivamente constatato che le sostanze radioattive tendevano a trasformarsi in piombo, metteva in discussione il dogma dell’immutabilità degli atomi e della loro assoluta indipendenza e individualità chimica. C’era quindi tutto da rifare.

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Il grande ciclotrone di Berkeley

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È a questo punto che entra in scena Rutherford, il fisico neozelandese. Egli decide innanzitutto di studiare a fondo l’emissione radioattiva: facendo passare questa emissione attraverso un campo magnetico limitato da uno schermo fluorescente, egli si accorge che essa si scinde in tre componenti ben definite. La prima viene attratta dal polo negativo e quindi è chiaramente composta da particelle positive (radiazione alfa); la seconda viene attratta dal polo positivo e quindi è composta da particelle negative (radiazione beta); la terza infine non subisce alcuna deviazione e quindi non è composta da particelle ma da onde elettromagnetiche analoghe a quelle che compongono la luce (radiazione gamma). Successivamente egli riesce a dimostrare che la radiazione alfa è composta da nuclei del gas elio di peso atomico 4 e a spiegare quindi come il nucleo di uranio dal peso atomico 238 perdendo successivamente otto particelle alfa dal peso atomico 4, si trasformi in piombo dal peso atomico 206.

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Premio Nobel 1908
Lord Sir Ernest Rutherford

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Per la spiegazione del fenomeno radioattivo, Ernest Rutherford riceve il Premio Nobel nel 1908. Qualunque scienziato tradizionale si sarebbe accontentato del risultato raggiunto e avrebbe dormito per tutto il resto della carriera sugli allori accademici così conquistati. Ma Rutherford è uno scienziato di tipo nuovo, uno scienziato che anticipa già la concezione della scienza tipica del mondo attuale. Anche per lui non basta studiare e spiegare un fenomeno nuovo, bisogna anche trarre da esso la possibilità per l’uomo di dominare e trasformare la natura, di piegarla alla volontà dell’uomo, di metterla al servizio dei bisogni dell’uomo.

Così, per Rutherford, il Premio Nobel è soltanto un punto di partenza: i suoi lavori decisivi egli li farà infatti dopo il conferimento del massimo riconoscimento scientifico.

Il problema che egli si pone è infatti il seguente: la radiazione alfa ci offre la possibilità di disporre di una fonte di particelle ad altissima velocità ed energia.

Visto che alcuni atomi presentano la caratteristica di disintegrarsi spontaneamente dimostrando così che anche la materia è una forma tutt’altro che stabile, che cosa sarebbe successo ‘bombardando’ gli atomi di sostanze non radioattive con i proiettili subatomici rappresentati dalle particelle alfa?

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Niels Henrik David Bohr (Copenaghen 1885 – 1962)

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Con una serie di classiche esperienze, Rutherford dimostrò che bombardando una lamina metallica con particelle alfa, una parte di queste passava indisturbata, una parte subiva una leggerissima deviazione mentre un’altra parte ancora subiva una totale repulsione. A quell’epoca dominava ancora nel campo della fisica il modello atomico elaborato da Thomson, uno dei prestigiosi accademici di stampo ottocentesco, il quale sosteneva che l’atomo era ‘pieno’, che l’intero spazio ad esso riservato era cioè saturo di elettricità positiva e negativa irregolarmente mescolata. Le esperienze di Rutherford dimostravano invece che l’atomo era in gran parte vuoto, dal momento che la maggior parte delle particelle alfa poteva oltrepassarlo in modo indisturbato, che la maggior parte della massa era concentrata in un nucleo positivo (è per questo che una parte delle particelle alfa positive veniva respinta), e che le cariche negative, gli elettroni, responsabili delle deviazioni più leggere, si trovano confinati alla periferia dell’atomo. Nacque così quel modello che, perfezionato da Niels Bohr con l’applicazione della teoria quantistica alle orbite elettroniche, è tuttora valido: in base ad esso l’atomo è un sistema solare in miniatura con un nucleo centrale intorno al quale ruotano come i pianeti intorno al sole, gli elettroni periferici. Questo modello porta appunto il nome di modello atomico di Rutherford-Bohr.

Non pago di questi grandi successi scientifici, Rutherford continuò metodicamente i suoi bombardamenti con particelle alfa. Dopo aver sperimentato la reazione dei metalli pensò di provare con i gas. Fu così che in una piovosa giornata dell’autunno 1919 egli riempì di azoto una camera a nebbia, limitata dal solito schermo fluorescente, mise in posizione il suo ‘cannone’, rappresentato da un tubo contenente torio radioattivo, e iniziò il bombardamento per vedere come venivano deviate le particelle alfa passando attraverso un gas. Come al solito una parte di esse fu deviata ed una parte passò inalterata, ma con sua grande sorpresa, quelle particelle che avrebbero dovuto subire la repulsione totale da parte del nucleo atomico del gas, erano completamente svanite. Ripetuto varie volte l’esperimento, il risultato fu identico. Allora Rutherford pensò di analizzare il contenuto della camera a nebbia che lui aveva precedentemente riempito d’azoto, pensando alla presenza di qualche impurità responsabile del fallimento dell’esperienza. Ma con sorpresa ancor più grande egli poté allora constatare che la sua camera a gas non conteneva più solo dell’Azoto, ma anche dell’Ossigeno e dell’Idrogeno. Il fenomeno poteva essere spiegato soltanto in un modo: il nucleo di azoto, di peso 13 e quindi relativamente molto leggero, non ce l’aveva fatta a respingere la particella alfa di peso 4 lanciata a grande velocità: i due nuclei si erano quindi fusi assumendo il peso 17 ma l’insieme così ottenuto non era stabile (non esistono in natura atomi di questo peso) e quindi si era disgregato dando luogo a due nuovi nuclei uno di peso 16 (ossigeno) e uno di peso 1 (idrogeno) entrambi stabili. Pochi giorni dopo Rutherford otteneva anche la trasformazione dello azoto in carbonio.

Era nata una nuova scienza, la radiochimica che si occupa appunto della trasmutazione degli elementi con proiettili radioattivi. Grazie ad essa si otterrà la radioattività artificiale, la fissione del nucleo, la disintegrazione contemporanea artificialmente prodotta di una massa critica di uranio e quindi l’energia atomica.

Dal modello atomico di Rutherford ottenuto con le stesse esperienze, nascerà invece la moderna concezione della materia come caso particolare dell’energia e le grandi leggi dell’interscambio materia-energia tuttora in corso di elaborazione e che hanno già portato alla ‘creazione’ di materia per mezzo dell’energia pura e allo annichilimento della materia in energia pura, sia pure per il momento soltanto sul piano sperimentale.

Ciò premesso è perfettamente comprensibile che il 1919, anno in cui Ernest Rutherford ha compiuto i suoi decisivi esperimenti di trasmutazione, sia oggi considerato come una tappa fondamentale nel progresso scientifico dell’umanità. A questo hanno ovviamente contribuito intere équipes di scienziati sempre più specializzati e quindi sempre più legati da un lavoro di ricerca collettiva. Ma il merito principale di questa straordinaria fioritura scientifica andrà sempre alla figura ottocentesca e romantica di Becquerel, che seppe vedere in una pietra qualcosa più di un posacarte, e ad Ernest Rutherford questa grande figura di scienziato-alchimista proiettato vigorosamente in avanti alle soglie della nostra era.

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