COME LA MUSICA ESPRIME LE IDEE – Sidney Finkelstein

COME LA MUSICA ESPRIME LE IDEE

Sidney Finkelstein

Introduzione

La musica esprime delle idee?
Poiché il suo linguaggio non è quello più facilmente esplicativo delle altre arti, è necessario vedere come dall’espressione musicale si possa arrivare al pensiero sottostante, cioè al punto di vista del compositore verso la realtà.

Aneddoti personali

Recensione


 
Secondo un luogo comune nato sul terreno dell’idealismo borghese del secolo scorso, la musica sarebbe l’arte astratta per eccellenza. L’eccezione che in proposito si è disposti a fare con l’opera, non ha in realtà che l’angusto orizzonte della vicenda dell’opera stessa, del suo racconto, dei suoi fatti. Ossia, in questo caso, ci si limita ad ammettere che la musica integra con la scena, con questo o con quel personaggio; ma fuori di tale funzione, o didascalica o anche espressiva di un sentimento localizzato con l’ausilio di mezzi extra musicali, non si riesce ad ammettere altro. 
 
La controprova di tal modo di ragionare è generalmente fornita, secondo i diffusori di luoghi comuni che esamino, dalla cosiddetta “musica pura”, la musica strumentale, che dimostrerebbe l’incapacità dei suoni organizzati a puntualizzarsi in un pensiero o in un sentimento definiti, cioè a specificarsi al di fuori dell’esclusivo “bello formale”.
Concepire in questi termini la musica significa isolarla dalla sua origine, che è sempre origine umana, e perciò significa separarla dalla storia, considerarla fuori dalla realtà. Non che i sostenitori della tesi formalistica neghino alla musica un suo sviluppo e quindi una “sua” storia: non dicono insomma che a mezzogiorno c’è ancora la luna o che a mezzanotte il sole infuoca ancora allo zenit. Quello che invece essi non prendono in considerazione sono le cause del fatto musicale, il processo creativo, la sua relazione con tutta quanta la realtà.
La verità è che la musica (qualsiasi musica, operistica o no), nasce, come ogni altra arte, in una determinata società, in un particolare momento del suo sviluppo, e nell’ambito di questa società si pone in rapporto coi gruppi sociali che la compongono. Nel senso che si identifica con qualcuno di essi e ne fa propri gli ideali, cioè le idee, i problemi, i sentimenti. 
L’elemento soggettivo della musica non esce mai da questo confine storico e sociale, ed è in sostanza costituito dall’interpretazione concettuale e sentimentale più o meno tipica (e più o meno consapevole, ma questo riguarda la qualità dell’artista), che il musicista realizza dei dati comuni ed essenziali al gruppo sociale a cui appartiene e di cui subisce l’influenza. 
In questo “più o meno”, sta appunto l’insopprimibile partecipazione individuale al divenire dialettico della storia, sta – in questo caso – il valore dell’artista, quindi il vigore della sua arte, del fatto sovrastrutturale da esso prodotto, a incidere con maggiore o minore energia sulla struttura stessa.




LA GIUSTA DIMENSIONE 

Che le cose stiano così, ce lo dimostra la storia della musica, confrontata con la storia dell’umanità, cioè calata in essa e vista nella sua giusta dimensione: si constata allora che la musica di ogni epoca ha rispecchiato la situazione presente, esprimendone i sentimenti tipici; e anche che la musica è stata sempre un prodotto di classe, s’è elaborata e sviluppata secondo gli orizzonti storici della classe dirigente. 

Per questo diciamo che la musica esprime delle idee, ha sempre un contenuto costituito dai rapporti storici sottostanti, non si disgiunge mai dalla realtà in cui nasce. Siccome però il suo linguaggio non è quello concettualmente preciso della lingua parlata, né quello più facilmente esplicativo della pittura o della scrittura, né tanto meno quello essenzialmente narrativa del cinematografo, non si può certo pretendere dalla musica che si trasformi in un trattato di filosofia o in un romanzo o in una novella. 
Anche la cosiddetta musica descrittiva, o a programma, subisce dei ben precisi limiti riproduttivi. La musica non possiede un proprio vocabolario, almeno nel termine comune della parola. Né le forme, le strutture linguistiche in cui si è via via organizzata, hanno di per sé un significato preciso. Nonostante le teorie di coloro che assegnano, per esempio nell’ambito del sistema tonale, al modo “maggiore” un significato ottimistico e di gioia e a quello “minore” uno melanconico e pessimistico, o alla forma sonata, o all’aria e così via, funzioni comunicative ben determinate, ci sono nella storia della musica innumerevoli esempi che provano il contrario. E che confermano, invece, che la questione formale è, nella musica, una questione che fa parte di tutto il problema dell’evoluzione musicale in relazione all’evoluzione dell’umanità; ma che non è possibile intendersi sul vocabolario, la grammatica e la sintassi della musica, ove si pretenda di accompagnare ad essi una specifica traduzione concettuale e sentimentale. Essi invero non sono che gli strumenti di cui il musicista si vale per comunicare in termini musicali. Il che non vuol dire che le forme siano occasionali e arbitrarie. Anche esse sono in relazione col tempo in cui vivono, ma non hanno, astrattamente intese, alcuna autonomia linguistica. 
E’ invece l’esigenza comunicativa dell’autore che operando al di dentro delle forme, le trasforma e le dilata, le scambia nei significati e nelle funzioni, le esaurisce e le prosciuga, imponendo di continuo l’esigenza di un loro mutamento. Per questa via la forma musicale si dialettizza con la realtà, riesce via via a diventare la forma tipica di una data epoca, di una data classe, di una certa situazione: il minuetto e il virtuosismo canoro del melodramma italiano fino a Verdi, sono gli esempi più facili, rispecchiano cioè le epoche in cui hanno trionfato. Senza che per questo il minuetto o l’aria vogliano dire, da soli, amore, poesia, gioia, dolore, lode e così via. 
Come cogliamo, noi ascoltatori, questo “contenuto” musicale (che è poi il processo sentimentale e ideale, storico, del fatto musicale)? 
Qui entra in questione il complesso ordine di rapporti umani in cui si pone qualsiasi opera d’arte, rapporti che ci mettono di fronte ad essa con un bel preciso bagaglio critico sentimentale, più o meno consapevole. E’ appunto questo bagaglio che ci permette di comprendere o di non comprendere la musica. 
L’arabo che vive in una società in cui la musica ha funzioni e forme complessivamente diverse dalle nostre, ben difficilmente sarà in grado di accostarsi alla musica occidentale, di discernere in essa le varie gamme di sentimenti e le idee in essa contenute. 
Trasferito nell’ambito occidentale, il ragionamento porta a riconoscere l’esistenza di una serie di convenzioni espressive, se così si può dire, che ci permettono di cogliere una differenziatissima varietà di sentimenti. E però, venendo a una scadenza scottante della questione, si dirà che la nostra musica contemporanea è in gran parte incomprensibile nel mondo occidentale stesso. Perché? 

La musica del Novecento, quella che tiene conto della “rottura” del sistema linguistico tradizionale, è nata dalla profonda crisi che a cominciare dagli inizi del secolo scorso ha scosso fin nelle fondamenta la società borghese. 

E’ una musica che ha avuto all’origine il sentimento della catastrofe, della disperazione, dell’isolamento dell’individuo, tutti sentimenti che non potevano non trovare nel linguaggio tradizionale gli strumenti sufficienti per esprimersi, per tipizzare le condizioni e le contraddizioni della classe borghese e della sua decadenza. 
Non è vero che essa sia musica priva di contenuti: può dirsi musica formalistica, ma nel senso che ha creduto, nelle sue soluzioni meno pessimistiche, di sostituire ai valori umani della borghesia venuti meno, il valore obbiettivo di una nuova logica formale, fuori dalla desolazione della realtà umana (borghese). 
Dietro queste opere, però, c’è sempre presentissimo il disfacimento dell’ideologia borghese, le sue produzioni tardo romantiche, la decadenza espressionista, quella surrealista, quella esistenzialista. 
Una condizione umana, sociale, storica, dunque, c’è in ogni caso dietro i capolavori di Berg, di Strawinsky, di Schoenberg, di Hindemith. Però questa musica non è compresa nelle classi popolari, mentre la musica borghese dell’Ottocento lo era. 
La ragione sta in questo fatto: che nella prima metà dell’Ottocento, la borghesia nata dalla Rivoluzione Francese, ponendosi come elemento storico di progresso in quanto riassumeva in sé molte delle aspirazioni popolari, ha prodotto una musica che rispecchiava questa sua funzione dirigente, egemonica, storicamente attiva, e che perciò ha esteso la propria influenza fino alle classi popolari. In quest’epoca si sono formate le convenzioni sentimentali-musicali di dominio comune. 
Questo non avveniva prima dell’Ottocento per la musica tonale (che allora era musica ristretta ad una classe) se non in misura assai ridotta, e non lo è oggi per la cosiddetta musica atonale, dodecafonica, politonale, eccetera, che nel suo complesso dibatte un conflitto esclusivamente interno alla classe borghese e al suo destino. 




PREGI E DIFETTI DI UN LIBRO UTILISSIMO 

Dunque la musica è un prodotto di classe e nell’ambito dei rapporti di classe istituisce una relazione comunicativa. Visto ora che questa relazione comunicativa si è, per così dire, interclassata completamente soltanto nell’Ottocento, vediamo in questo più facile ambito come la musica giunga a esprimere delle idee. 
Ancora, qui, ci soccorre il rapporto umano che si istituisce fra un dato sentimento espresso e la fisionomia generale dell’umanità in dato momento, in una data situazione, in una data fase storica, quale deduciamo dall’esame comparativo e dall’indagine dei fatti. Di qui i legami ideologici vanno da sé. 
E’ così chiaro che il sentimento dell’amore in Beethoven richiama immediatamente l’uomo romantico, ma lo richiama diversamente dallo stesso sentimento in Schumann che pure romantico è. La distinzione rinvia a condizioni sociali, politiche, storiche, ideali diverse che, pur nell’ambito di una stessa fase dello sviluppo umano, ne costituiscono dei momenti separati. Ecco che i musicisti si sono posti in relazione con essi, esprimendone le idee. In questa catena di relazioni, è dunque intelligibile il pensiero musicale, sta la capacità concettuale della musica. 
Nel libro COME LA MUSICA ESPRIME LE IDEE, l’autore marxista americano, Sidney Finkelstein, tenta un’interpretazione dello sviluppo musicale dalle società primitive fino al secondo dopoguerra, secondo il materialismo storico, e arriva in più punti a conclusioni interessanti e valide nella ricerca delle idee sottostanti all’espressione musicale, vedendo appunto questa come inserita fra le classi. 
Il limite metodologico del Finkelstein è quello di non prendere per buona che l’arte realista e quella che al realismo tende, escludendo ogni valore e importanza dialettica (quindi storica), per esempio proprio all’arte occidentale del secolo scorso. La quale invece, anche se è arte borghese e isolata dai conflitti generali dell’umanità, cioè arte reclusa nell’ambito di una sola classe, non per questo non ha raggiunto vette altissime, e soprattutto, poiché le classi non sono dei compartimenti stagni ma si trovano costantemente in contatto, non è rimasta nemmeno senza influenza e significato sulle stesse classi popolari. I
l problema, quindi, è quello di vedere fino a che punto, vivificata da diversi contenuti, la musica occidentale e le sue conquiste tecniche e linguistiche, potrò estendersi oltre ai confini della decadenza borghese. Ovvero, quanto di imprescindibile c’è in lei per la nostra civiltà musicale. 
Finkelstein non ha visto questo problema, e quindi il suo volumetto soffre di uno schematismo in più punti dannoso alla comprensione, della reale situazione della musica a lui contemporanea. Soprattutto delle idee che la musica esprime.

Conclusioni

Un libro del secolo scorso… ma utile per conoscere idee del tempo… musicale…

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