John Locke |
Saggio sull’intelletto umano
John Locke
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“La prima grande opera moderna sulle capacità, le funzioni e i limiti dell’intelletto umano che ha inaugurato il filone di ricerche filosofiche culminato nelle tre Critiche kantiane”.
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John Locke, che pur occupa un posto di rilievo nella storia delle idee politiche ed economiche (ho già trattato di Locke in una opinione precedente dal titolo “Trattato sul governo” – John Locke), è particolarmente conosciuto – e a giusta ragione – come filosofo.
Egli va considerato come il fondatore del moderno empirismo (dal greco: empeiria = esperienza), cioè di quella tendenza di pensiero secondo la quale l’esperienza, o più precisamente le sensazioni e percezioni che noi abbiamo, sono l’unica sorgente del sapere.
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Nella sua opera principale il “Saggio sull’intelletto umano” (1690), John Locke dimostra, contro la scuola razionalistica, che non esistono verità innate, non acquisite cioè nei corso dell’esperienza…, infatti non ne troviamo tracce né nei selvaggi né nei bambini.
All’origine la mente è vuota e su di essa cadono le immagini degli oggetti esterni, stimolando una certa sua attività ordinatrice. Per usare un’immagine, che risale agli Stoici (antica scuola filosofica greca) e di cui si valse poi anche il Locke, l’anima è originariamente simile ad un foglio di carta non scritto (tabula rasa), su cui l’attività dei sensi incide i primi segni.
L’opera dell’intelletto è quindi derivata e secondaria. Ecco dunque la riabilitazione del vecchio aforisma…
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“Nihil est in inetellectu, quod non fuerit in sensu” (“non c’é nulla nell’intelletto, che non sia stato già nei sensi”).
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Però il Locke distinse due specie di esperienza: l’esperienza esterna (o sensazione) e l’esperienza interna (o riflessione).
La prima risulta dall’azione degli oggetti del mondo esterno sugli organi di senso, la seconda ci fa percepire i nostri stati interi di coscienza.
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Locke distingue anche tra “qualità primarie e qualità secondarie”, distinzione già avanzata da Democrito (antico fisico-filosofo greco) e sostenuta poi da Galileo, Cartesio, Pascal e altri.
Per “qualità primarie” il Locke intendeva la grandezza, la figura, l’estensione, il movimento, ecc., cioè quelle proprietà dei corpi che si possono definire mediante scienze fisico-matematiche.
Tutte le altre qualità, come, ad esempio, il colore, il sapore, il gusto, ecc., furono da lui dette “qualità secondarie”, perchè nascono dall’azione delle qualità primarie sui nostri organi di senso.
Le qualità primarie sono oggettive, inseparabili dai corpi, le secondarie invece del tutto soggettive.
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Anche da questi cenni brevissimi che qui ho fatto si può capire senza difficoltà che il pensiero filosofico di Locke presentava un notevole carattere di ambiguità, oscillando tra una forma – peraltro molto ingenua – di realismo materialistico ed una forma di empirismo soggettivistico.
E infatti gli elementi e gli aspetti materialistici del pensiero di Locke ricevettero sviluppo negli illuministi francesi Helvetius, Holbach, Diderot, mentre quelli empiristico-soggettivisti vennero ripresi ed elaborati dai pensatori inglesi Berkeley e Hume.
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