SVILUPPO DELL’EMPIRISMO – John Locke

Ritratto di John Locke (John Greenhill)

SVILUPPO DELL’EMPIRISMO

JOHN LOCKE

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John Locke (Wrington, 29 agosto 1632 – Oates, 28 ottobre 1704) fu un filosofo e medico britannico della seconda metà del Seicento. È considerato il padre del liberalismo classico, dell’empirismo moderno e uno dei più influenti anticipatori dell’illuminismo e del criticismo.

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Il  principe degli empiristi, la dottrina del quale esercitò una grande influenza non solo in Inghilterra, ma anche in Francia e in Italia, fu John Locke. Da lui e dai suoi seguaci partì quel movimento che rivoluzionò la cultura e la vita sociale e politica del Settecento, l’illuminismo.
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John Locke nacque a Wrington, nella contea di Bristol, nel 1632. Studiò a Oxford, dove la lettura delle opere di Cartesio svegliò in lui la vocazione filosofica. Lord Ashley, divenuto poi conte di Shaftesbury e nel 1672 gran cancelliere d’Inghilterra, lo assunse come segretario e se lo fece amico. Caduto il conte in disgrazia, per essersi opposto al dispotismo degli Stewart (Stuart), ed esiliatosi in Olanda, il Locke ne seguì le sorti.
Dopo otto anni di esilio olandese, fecondi di lavoro filosofico, tornò in patria nel 1689, all’avvento degli Oranges. Prese dimora a Oates, nella contea di Essex, presso una famiglia amica e vi morì nel 1704.
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Opere principali: 

a) Saggio sull’intelletto umano

b) Guida dell’intelligenza (una specie d’appendice al Saggio)

c) Trattato sul governo

d) Lettere sulla tolleranza religiosa

e) Pensieri sull’educazione.
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Nel Saggio sull’intelletto umano, che è l’opera sua fondamentale, il Locke si occupa soprattutto dell’origine del conoscere. Respinge la dottrina platonico-cartesiana delle idee innate, prese da lui quasi nel significato letterale della parola.
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Nella lunga confutazione, che fa dell’innatismo, vuol dimostrare che non abbiamo innati nessun principio logico, nessuna idea religiosa, nessun principio morale. Considera i principi logici d’identità e di contraddizione e fa vedere che, se fossero veramente innati, sarebbero posseduti anche dai bambini, dai contadini, dagli idioti: ciò che non è, poichè tutti costoro non sanno cosa siano. Nè, in generale, si può dire che ci sono, ma che vengono in evidenza al momento dell’inizio del così detto “uso della ragione”, perchè quest’inizio varia, appunto, a seconda dell’ambiente e dell’esperienza, che lo determinano.
Così l’idea di Dio e i principi morali, di giustizia, di pietà, di venerazione verso i genitori, ecc., se fossero innati nell’uomo, sarebbero comuni a tutti i popoli, in tutti i tempi e in tutti i luoghi.
Vediamo, all’incontro, una grande varietà, talvolta anzi una stridente opposizione, e anche profonde mutazioni, nel corso del tempo, in uno stesso popolo, nonché in uno stesso individuo.
Ora, se non sono innate queste idee fondamentali, lo saranno ancor meno tutte le altre, conclude il Locke.
Come si vede, egli non distingue, per i principi logici, fra il possesso delle loro formule e l’uso e, quindi, il possesso implicito di essi, per il quale si avverte l’effetto della loro presenza anche nel parlare dei bambini e dei contadini: più, anzi, talvolta, in costoro, che non in altri, data la spontaneità.
Quanto agli idioti, essi non possono prendersi come esempio, essendo anormali.
Finalmente, nessuno verrebbe mai all’uso della ragione, nonostante gli incentivi esteriori e l’elaborazione meccanica di essi, se non preesistessero, appunto, quei principi attivi e costitutivi della mente, che sono le idee logiche fondamentali, riconosciute e tradotte poi in formule dalla riflessione.
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Riguardo all’idea di Dio e ai principi morali, si è osservato al Locke che, anche qui, occorrerebbe distinguere fra idea essenziale e, per così dire, rivestimento di quell’idea: ad esempio fra l’idea di Dio come essere supremo, causa prima, ragione della realtà, ecc. e concezione religiosa contingente e perciò mutevole; fra l’idea di bene, di giustizia, ecc. ed applicazione pratica e perciò varia e adoperata a costituire teorie e codici morali diversi.
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La questione appare, quindi, più profonda e complessa di quanto non sia stata prospettata dall’empirismo, per opera del suo stesso rappresentante più giustamente apprezzato, il Locke. E la questione è tanto più grave e tormentosa, in quanto nell’esigenza empiristica d’un processo generativo delle idee o, in generale, della conoscenza umana e, conseguentemente, della vita individuale e sociale, si riconosce quella parte importante di «r vero, che, come ho già notato, è messa in evidenza e chiaramente spiegata dal nostro Vico nella sua filosofia storicistica. E forse il Vico, che scrisse nella prima metà del Settecento, risolse il problema e fermò già allora, per suo conto, quella “concezione” della conoscenza e della storia umana, che empirismo e razionalismo, ossia, in una parola, tutta la filosofia moderna, per vie diverse, deviamenti e ritorni, è andata e va tuttora cercando.
Ma di questo dirò a suo luogo.
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Tornando all’empirismo lockiano, teniamo dunque presente che, per il Locke, tutte le nostre idee semplici ci vengono dalla sensazione per le cose esterne, dalla riflessione (o senso interno) per i fatti di coscienza.
Tali idee poi le combiniamo e le elaboriamo, formandoci le idee complesse, le idee generali, i giudizi, i ragionamenti. Il punto di partenza del conoscere è, dunque, soltanto l’esperienza sensibile. Fuori dell’ambito dell’esperienza diretta e immediata e dell’elaborazione dei suoi dati, non c’è conoscenza reale.
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Quindi sono anche arbitrarie le affermazioni sull’essenza intima delle cose, non potendo noi andare oltre le loro manifestazioni sensibili. Anzi alcune qualità, che per l’esperienza esterna vengono da noi attribuite ai corpi, sono solo idee soggettive (per esempio, calore, colore, odore, sonorità dei corpi).
Però altre sono inerenti ai corpi e perciò le idee, che ce ne formiamo, hanno un riferimento oggettivo (per es., solidità, estensione, figura, movimento dei corpi). Queste sono qualità primarie, le altre sono qualità secondarie.
La distinzione era già stata fatta da Democrito, da Galileo e dal Descartes.
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La sostanza dei corpi è, per noi, risolvibile nell’insieme delle loro qualità primarie. L’idea di una sostanza, o d’un’altra, è sempre una nostra sintesi delle idee semplici delle relative qualità primarie.
Nella scienza del diritto e della politica il Locke fu liberale, come fu sostenitore della tolleranza in religione. Contrariamente allo Hobbes, egli fece subire al principio, da ambedue ammesso, dell’egoismo dell’individuo uno sviluppo ottimistico, in rispondenza alla dignità dello spirito e della ragione umana, parte migliore dell’uomo, per non dire il vero uomo.
Il Locke va anche ricordato come uno dei rappresentanti più notevoli del naturalismo pedagogico.
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