FILOSOFIA DEL RINASCIMENTO – UMANESIMO

 

 

L’anima del Medio Evo e l’anima dell’età moderna – Nel Medio Evo la vita dello spirito è orientata verso il mondo soprannaturale. L’esistenza umana è preparazione a quell’al di là, dove il destino di ognuno si compie, e si compie per la virtù soprannaturale della grazia di Dio. La natura è degna d’interessamento solo come specchio dove si riflette e si disvela in qualche modo la misteriosa e trascendente realtà di Dio, in cui essa ha il suo principio e il suo fine.
Depositaria della verità rivelata, indispensabile intermediaria fra la terra e il cielo, è la Chiesa.
Essa ha il potere di sciogliere e di legare; ad essa spetta il compito di formare le anime e di regolare ogni sfera di attività umana, individuale e sociale.
E quale lo spirito della civiltà, tale è la natura del problema centrale della filosofia in quest’epoca: il credere è posto come necessaria condizione dell’intendere; la comprensione della fede è il fine della speculazione; la filosofia è “ancella” della teologia.

Il mondo moderno ha caratteri precisamente opposti: non più teocentrismo nè autoritarismo ecclesiastico, bensì autonomia del mondo della cultura, rispetto a ogni fine trascendente; libera esplicazione dell’attività che lo costituisce; supremazia dell’evidenza razionale nella ricerca del vero; coscienza dell’assoluto valore della persona umana ed affermazione del suo potere sovrano nel mondo.
La cultura si va gradualmente laicizzando. La vita e la natura sono apprezzate per sè stesse. L’uomo sente che suo compito e suo destino è il possesso sempre più pieno di questo mondo. La sconfinata ampiezza dell’universo non fa che stimolare la non mai sazia ambizione di conoscenza e di potenza attraverso la quale l’io si costituisce e si arricchisce, e la vita sociale si viene sempre più saldamente e più variamente articolando.
La coscienza di siffatto orientamento spirituale trova, come sempre, la sua espressione sintetica nella filosofia. Non che questa diventi, di necessità, ostile alla religione e alla fede; può anche ammettere ciò che trascende l’universo e l’uomo. Ma questo è, semmai, il coronamento della libera indagine razionale sull’universo, non già – come per la  scolastica – il presupposto extra-filosofico, che era prefissato nel suo contenuto e determinava in anticipo i limiti e le direttive della riflessione.
Rinascimento e Umanesimo – Il passaggio dalla civiltà medievale a quella moderna è segnato dal Rinascimento. Con questo nome si designa quel vasto e profondo movimento di cultura che, originatosi in Italia e irradiatosi poi per tutta l’Europa, occupa all’ingrosso i secoli XV e XVI.
In che modo e per quali vie il Rinascimento determinò l’orientarsi dello spirito europeo verso le mete caratteristiche dell’età moderna?
In primo luogo è da ricordare quel processo di pensiero svoltosi nel secolo XIV, che noi abbiamo descritto e analizzato come dissolvimento della Scolastica. Con lo scotismo*, l’occamismo* e l’averroismo* si era giunti a una più o meno decisa separazione del dominio della scienza da quello della fede, proclamata del tutto soprarazionale.
La fisica e la logica avevano così potuto affermare per prime la loro indipendenza dalla teologia, da principio all’ombra dell’autorità di Aristotele, poi sempre più esplicitamente in nome dell’autonomia della ragione. E questa infine non tarda ad accampare diritti anche sul dominio misterioso che si stende di là dai limiti del naturale e dell’umano, entro i quali essa si era inizialmente contenuta: pur nella natura e pur nell’uomo vi è il divino, e questo è dunque possibile oggetto della, libera indagine della ragione.
Su questo processo si innesta, accelerandolo e intensificandolo, un movimento di pensiero, che porta alla più profonda disgregazione de mondo medievale: ed è il risorgere della civiltà antica nel pensiero e, possiamo dire, nel culto degli spiriti più eletti di quest’età.
Si frugano biblioteche e archivi; si intraprendono viaggi per lontani paesi ; si consultano dotti dell’Ellade e dell’Oriente; si fa ogni sforzo per apprendere il greco e poter così gustare e intendere nel testo originale i capolavori dell’antichità classica; s’indaga per stabilire l’autenticità di questo o quello scritto, si commenta, si traduce in latino, si imita; si scambiano e circolano tra gli amici e si ricopiano con devozione i manoscritti più preziosi: si istituiscono cattedre, a diffonderne la conoscenza: sorgono anzi, sotto la protezione di principi e pontefici, nuovi centri di studio (Accademie), al di fuori delle Università, troppo vincolate alla tradizione e alle finalità, ecclesiastiche e troppo rigidamente organizzate.
È questo il Rinascimento.
Lo spirito e la portata storica di un tale ritorno all’antico sono ben diversi da quelli che ebbe il movimento – in apparenza analogo – nei secoli XII e XIII. Questo aveva avuto un carattere prevalentemente scientifico-filosofico (era il sistema aristotelico l’oggetto attorno a cui si era travagliato il pensiero dei latini); e poi esso era subordinato all’interesse teologico dominante nella cultura di quell’età.
Ora invece la rinascita dell’antichità è ben più estesa e varia nel suo oggetto: non più soltanto scienziati e filosofi, ma poeti e oratori, storici e retori vengono ricercati e studiati con pari ardore; non vi è aspetto o elemento della cultura classica che non susciti interesse. Ed è questo un interesse d’impronta prevalentemente estetico-filologica, che attraverso la comprensione dello scritto tende a ridare vita alla personalità dello scrittole e a stabilire con questo un rapporto di comunione e di simpatia vivace; tende a rielaborare l’ideale di “umanità” che informò la vita e il pensiero dell’antichità classica, per assumerlo come modello da imitare. E questo significa il termine Umanesimo, con cui tale fase della cultura del Rinascimento vien designata.
In un primo momento prevale, certo, lo spirito di imitazione e un’attività di riproduzione: ma non è, questo, passivo e sterile asservimento a una forza estranea, bensì propedeutica necessaria perchè la vita interiore del soggetto possa liberamente dispiegarsi in quel che ha di più caratteristico.
L’individuo esercita un’iniziativa – e rivela quindi il suo interesse personale – giù nella scelta del suo modello, tra i tanti che si offrono alla brama di conoscere, nella progressiva scoperta dei grandi dell’antichità.
Ma poi è proprio dell’atteggiamento estetico il costruire per forza di fantasia un mondo ideale estraneo a quello della realtà, immune dalle limitazioni e necessità che questa impone a chi ci vive dentro. Così l’umanista, facendosi cittadino della remota società degli antichi, oblia la realtà presente che lo circonda: di questa egli non sente più la costrizione; se ne è emancipato rifugiandosi nel passato, e può quindi anche facilmente adattarvisi.

Certo questa specie di esistenza in partita doppia, questa scissione tra l’uomo di studio e l’uomo della vita pratica era una situazione provvisoria. Quel possesso di sè, quella libertà interiore che l’Umanista conquistava col costruirsi il suo mondo ideale per via di riproduzione e imitazione dell’antico, doveva col tempo premere sulla realtà presente e foggiarla conforme alle nuove esigenze. La riproduzione prepara la creazione originale; cioè, nel processo di liberazione del soggetto vi è, sì, un momento prevalentemente negativo, l’indifferenza di fronte alla realtà presente, ma questo non tarda a trasformarsi nel momento positivo della libertà, intesa come dominio sulla realtà circostante.

Pertanto, ideale di vita del più maturo Rinascimento è il formarsi d’una personalità, ricca e potente grazie all’assimilazione e all’attiva rielaborazione dei valori umani più elevati offerti dal mondo della cultura e della storia: è l’affermarsi di un’individualità caratteristica e vigorosa che dia incremento a questo mondo umano. Quel valore infinito dell’io e della vita interiore che il mistico attuava nella comunione con Dio, l’uomo del Rinascimento lo ripone nella potenza della sua partecipazione al mondo della cultura, nell’originalità della creazione con cui esso si colloca nella corrente più viva della storia umana.
Non è più tanto o soltanto l’aspirazione alla gloria celeste, ma il desiderio di onore e gloria terrena il motivo che lo ispira.
L’idea dell’unità della storia umana e anzi della storicità della nostra vita spirituale è quella che si afferma sempre più chiara e netta. Se il presente può collegarsi col passato più remoto e in esso trovare anzi ,il suo appoggio e il suo alimento, è perchè una stessa vita, uno stesso spirito si svolge attraverso le età.
E da questo convincimento germoglia l’altra idea, che se l’umanità si svolge nella sua storia come un individuo, l’epoca moderna supera l’antica per ricchezze d’esperienze e per maturità spirituale, analogamente a quel che è l’uomo adulto rispetto alla prima età.
Dal culto per l’antico – con cui si apre il Rinascimento – si giunge alla più orgogliosa affermazione della novità e superiorità, di ciò che è moderno: il riconoscimento dei servigi resi dai grandi dell’antichità, non toglie, nei moderni, la coscienza di essere andati più avanti e più in alto di loro.
Il processo di emancipazione dello spirito attraverso la libera subordinazione ai maestri di umanità giunge così al suo grado estremo o alla sua logica conclusione.
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NOTE
Scotismo – Dal nome del filosofo scozzese G. Duns Scoto (circa 1263/66 – 1308).
Il complesso delle dottrine filosofico-teologiche elaborate da Scoto e dai suoi seguaci; in particolare, la dottrina dell’univocità dell’essere, la dottrina dell’haecceitas (ecceità), la teoria del carattere eminentemente pratico della teologia, l’affermazione dell’indimostrabilità filosofica di alcune fondamentali proposizioni teologiche, la teoria del primato della volontà sull’intelletto. Alla base dello scotismo c’è il tentativo di fondere insieme le tradizioni filosofiche platonico-agostiniana e aristotelico-tomista e di riformulare in modo nuovo il problema fondamentale della scolastica (rapporto tra ragione e fede); l’impostazione data a quest’ultimo problema, approfondendo la separazione tra scienza e teologia, concorrerà a determinare quella crisi del pensiero medievale che si concluderà poi con Guglielmo di Occam.

Occamismo – Dottrina filosofico-teologica elaborata da Guglielmo di Occam (secolo 14°) e dai suoi seguaci, caratterizzata dalla posizione critica nei confronti della fisica e della metafisica aristotelica; in particolare, l’occamismo riduce la realtà a individui irrelati, oggetto di conoscenza intuitiva; gli universali sono finzioni o segni comprendenti più individui, senza alcuna realtà fuori della mente; le scienze sono costituite da una molteplicità di “abiti” o modi di conoscere, e la stessa categoria della relazione non ha realtà extramentale. Alla radice dell’occamismo sta peraltro la dottrina dell’onnipotenza divina come principio assoluto da cui deriva la radicale contingenza del reale e delle sue leggi; anche il rapporto fra intuizione e oggetto è reso problematico dall’ipotesi che Dio possa provocare l’intuizione di un oggetto non esistente. Separando fortemente la ricerca filosofica dalla fede, la teologia perde ogni possibilità di presentarsi come disciplina scientifica e di utilizzare le strutture della filosofia aristotelica; netta è altresì l’autonomia dell’organizzazione politica dello Stato rispetto alla Chiesa, che come insieme dei fedeli non può avere finalità terrena. Nella storia l’occamismo, oltre a proporre il primato dell’individuale (unica realtà nell’ordine dell’essere e del conoscere), ha indicato e sviluppato metodologie di analisi logico-linguistiche che – in rapporto alla teoria dei segni – hanno condotto verso una considerazione delle strutture filosofiche come fatti linguistici, disancorando l’orizzonte delle ipotesi mentali dal riferimento alla realtà concreta.

Averroismo –  Con questo termine, non del tutto proprio, si suole indicare quella corrente o tendenza del pensiero filosofico occidentale dei secoli XIII e XIV che, in sede di interpretazione dei testi aristotelici, si richiamò ai commenti di Averroè (il cui nome arabo era Abū l-Walīd Muhammad ibn Ahmad Muhammad ibn Rushd, diventato nel Medioevo Aven Roshd e infine Averroes (Cordova, 1126 – Marrakesh, 10 dicembre 1198), fu un filosofo, medico, matematico e giurisperito arabo), accettandone esplicitamente anche quelle conclusioni – soprattutto il principio dell’eternità del mondo e la concezione dell’intelletto possibile unico e separato per tutta la specie umana – che sembravano contrastare con alcuni motivi fondamentali della tradizione religiosa e teologica cristiana.

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