IL MITO DELLA SALVEZZA

IL MITO DELLA SALVEZZA

Settecento anni circa prima della nostra era, incominciano ad apparire, nella Grecia antica e in generale in tutto il bacino del Mediterraneo, dei culti nuovi, profondamente diversi da quelli dei gruppi dominanti. Essi fanno appello a tutti indistintamente, ma in particolare ai ceti subalterni, ai miserabili, agli schiavi, esclusi dalla religione ufficiale; essi richiedono una speciale iniziazione, e per questo sono anche detti culti di mistero, o misteriosofici (dal termine greco mystes, che significa appunto iniziato); essi annunciano, attraverso una serie complicata e pittoresca di riti individuali e collettivi, la salvezza dal dolore, dal peccato, dalla disperazione, e per questo sono detti culti soteriologici (dal termine greco soteria, che significa salvezza).

La storia di queste religioni, che vanno da quella di Dioniso a quella di Cristo, abbraccia il periodo del passaggio del mondo antico delle schiavitù alla società feudale ed è per noi della massima importanza.
Il mito della salvezza, che esse hanno introdotto nella storia dell’umanità, incide ancora oggi pesantemente sulla vita e sulle esperienze di centinaia di milioni di credenti. Come, tutti i miti, esso si è sviluppato ed agisce sul terreno delle idee; ma la sua origine prima va ricercata sul terreno dei fatti, nella struttura economica e sociale prevalente al momento in cui ha incominciato a diffondersi tra gli uomini.
E ciò anche se di questa sua origine prima gli uomini non sono mai stati coscienti, sino al momento in cui un’interpretazione veramente scientifica della storia ha strappato la maschera ai miti, riportandoli dal cielo sulla terra e mostrandoli nella loro vera luce. In caso diverso non di miti si sarebbe trattato ma di dati per l’appunto economici, politici, sociali.

La redenzione concetto di classe

Sta di fatto che la terminologia tipica di tutte queste religioni di salvezza è presa di peso dalle caratteristiche e dalle leggi dell’antica società schiavista la prima forma sotto cui il dominio di una classe sull’altra si è manifestato in modo rigido e organizzato.
Il concetto di colpa e di peccato non è che il riflesso, sul terreno ideologico, della triste realtà dello sfruttamento e della sofferenza quale s’incontra, in questo momento dell’evoluzione umana, nei grandi imperi schiavisti dell’occidente e dell’oriente (mi riferisco sempre e soprattutto all’Egitto o alla Persia, alla Grecia o a Roma, ma lo stesso si potrebbe dire dell’India o del Messico dovunque esistono le stesse condizioni economiche e sociali di vita).
E l’idea di un redentore, di qualcuno che in qualche modo riscatta anime e corpi dalla colpa e dal dolore, deriva essa stessa naturalmente da questo tessuto di contraddizioni e di esasperati rapporti di classe.
In tutte le religioni di mistero, da quella di Dioniso e Orfeo a quelle di Iside, di Attis, di Adone, di Cibele, di Mitra e di Cristo, il rapporto tra il credente e il salvatoreè visto come il rapporto di uno schiavo (doulos in greco) verso il padrone (kyriosdominus). Non solo: lo stesso termine di redenzione sta ad indicare in modo assolutamente chiaro l’atto di uno schiavo che si riscatta, che paga una somma faticosamente raccolta per comprarsi la libertà o che da altri la fa pagare in suo favore, esattamente come il mitico salvatore, nelle religioni che sto esaminando, riscatta dalla colpa e dalla sofferenza, attraverso il proprio sacrificio, spesso cruento, tutti coloro che credono in lui e che compiono determinati riti prestabiliti, ad immagine del mito originale.
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Il “servo di Dio”

Lunga è la strada attraverso la quale il concetto di servo o schiavo di Dio, quale incontriamo nel tragico greco Euripide, certamente iniziato a questi misteri, si è trasformato nel concetto di servo o schiavo di Cristo, nel linguaggio dei primi documenti cristiani (ad esempio in Paolo, Romani, I, 1). Ma si tratta di una strada perfettamente segnata nell’evoluzione storica delle masse oppresse dell’antichità.
Lunga è la strada attraverso la quale il concetto della remissione dei debiti, grido di rivolta e di
speranza che serpeggia nella letteratura politica greca alcune centinaia di anni prima di Cristo, si trasforma, nell’idea evangelica della remissione dei peccati, con una sorprendente analogia di termini. Ma anche qui si tratta di un cammino che è possibile ripercorrere storicamente, senza soluzioni di continuità. L’identificazione del debito materiale con il peccato morale costituisce uno degli aspetti più interessanti del processo di alienazione delle esperienze umane dal campo della realtà al campo della fantasia, dell’illusione, del mito.
Lunga, infine, è la strada attraverso la quale il concetto greco del lytron, e cioè del prezzo che doveva essere pagato da uno schiavo, al momento in cui è nato il cristianesimo, per comprarsi la libertà, è passato ad indicare, nella letteratura dei Nuovo Testamento, con Io stesso identico termine, il prezzo del riscatto versato con la sua morte vicaria dal “figlio di Dio” per strappare gli uomini alla schiavitù del peccato e della morte.
Ma anche qui si tratta di un cammino che lo storico è oggi in grado di ricostruire un passo dopo l’altro, sino al momento in cui da un’accumulazione di esperienze sociali secolarmente rinnovate si arriva a un vero e proprio salto qualitativo, dalla vita economica e politica alle illusioni del mito.
Tutte queste religioni, dunque, si sono proposte di garantire ai loro iniziati (il battesimo è ancora oggi un rito d’iniziazione, proprio come duemila anni fa), per lo meno in vista di una felicità illusoria in un’altra vita, quello staro di giustizia e di liberazione dal dolore che era impossibile ormai conquistare sulla terra, specialmente dopo il sanguinoso fallimento di tutte le rivolte attraverso le quali gli schiavi avevano cercato di assicurarsi l’emancipazione, dal quarto secolo a.C. in poi, in Asia Minore, in Sicilia, in Italia, in tutto il mondo mediterraneo.

Una conferma indiretta

Esiste anche una controprova per questa mia affermazione. E cioè, che non troviamo una teoria ben definita della salvezza in mezzo a quei popoli che, per particolari condizioni di sviluppo delle leggi della proprietà e della produzione, non hanno attraversato il tipo di società basato sui rapporti classici della schiavitù, come i Germani, gli Slavi, i Cinesi e in parte anche gli Arabi, passando quasi direttamente dalla società tribale o gentilizia primitiva ad una struttura organizzativa di tipo feudale.
Presso questi popoli, il concetto della liberazione, della redenzione dal dolore e dall’ingiustizia, assume forme e caratteri completamente diversi, sia nel mito che nel rito religioso.
In seno allo stesso popolo ebraico, una teoria ben definita della salvezza non s’incontra sino al momento in cui la piccola comunità palestinese non ha conosciuto, oltre ai rapporti sociali interni, basati su un tipo meno sviluppato di schiavitù, le condizioni di vita servile e oppressa sotto i grandi imperi conquistatori e schiavisti dell’oriente, gli Assiri, i Babilonesi, i Medi e i Persiani.
Prima di elaborare la dottrina mitica dello schiavo sofferente che riscatta con il suo sacrificio i suoi fedeli (il servo di Jahvé), il popolo d’Israele doveva fare l’esperienza delle condizioni reali di vita nella schiavitù e nell’esilio.
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