IL LIBERALISMO CLASSICO DI KANT

IL LIBERALISMO CLASSICO DI KANT

Il nesso proprietà-libertà appare in evidenza in quello che può essere considerato il teorico più maturo del liberalismo: Immanuel Kant (Königsberg, 22 aprile 1724 – Königsberg, 12 febbraio 1804) che è stato un filosofo tedesco. Fu uno dei più importanti esponenti dell’illuminismo tedesco, e anticipatore – nella fase finale della sua speculazione – degli elementi fondanti della filosofia idealistica.
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In lui il principio della sovranità popolare è espresso con chiarezza nuova:
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* “Il potere legislativo può spettare soltanto alla volontà collettiva del popolo. Infatti, siccome è da questo potere che debbono provenire tutti i diritti, esso non deve assolutamente poter recare ingiustizia a qualcuno colle sue leggi. Ora è sempre possibile, quando alcuno decide qualche cosa contro un altro, che egli commetta contro di lui un’ingiustizia; non la commette mai pero in ciò che egli decide riguardo a sè stesso ( perchè volenti non fit iniuria). Soltanto dunque la volontà concorde e collettiva di tutti, in quanto ognuno decide la stessa cosa per tutti, e tutti la decidono per ognuno, epperò soltanto la volontà collettiva del popolo può essere legislatrice.
I membri di una tale società (societas civilis), vale a dire di uno Stato, riuniti per la legislazione, si chiamano cittadini dello Stato (cives), e i loro attributi giuridici inseparabili dalla loro natura di cittadini (come tali) sono: la libertà legale, cioè la facoltà di non obbedire ad altra legge che non sia quella a cui essi han dato il loro consenso; l’uguaglianza civile, che consiste in ciò che il popolo non riconosce alto superiore fuori che quello, a cui esso ha il potere morale d’imporre un’obbligazione tanto giuridicamente valida quanto quella che egli può imporre al popolo; in terzo luogo l’attributo dell’indipendenza civile, che consiste nel non dovere la proprio esistenza e conservazione che al proprio diritto e alla propria forza come membro dello Stato, e non all’arbitrio di un altro, onde deriva la personalità civile, che nelle cose di diritto non permette ad altri di prendere il nostro posto”.
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La libertà, l’uguaglianza, l’indipendenza risiedono dunque nella sovranità del popolo. Stabiliti in universale questi diritti, vale a dire i diritti del cittadino, Kant introduce una distinzione:
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* “Soltanto la capacità di votare costituisce la qualificazione del cittadino; questa capacità però presuppone l’indipendenza di questi nel popolo, poiché egli non soltanto vuol essere parte del corpo comune, ma anche un membro di esso, vale a dire una parte che agisce secondo il proprio arbitrio in comunione con gli altri. Quest’ultima qualità costituisce necessariamente la differenza tra cittadino attivo e cittadino passivo, quantunque il concetto di cittadino passivo sembri essere in contraddizione colla definizione del concetto di un cittadino in generale.
I seguenti esempi possono servire a togliere questa difficoltà: il garzone occupato presso un negoziante o presso un fabbricante; il servo (non quello che sta al servizio dello Stato); il pupillo (naturaliter vel civiliter), tutte le donne e in generale tutti coloro che nella conservazione della loro esistenza (nel mantenimento e nella protezione) non dipendono dal proprio impulso ma dai comandi degli altri (all’infuori del comando dello Stato ), mancano di personalità civile, e la loro esistenza è in certo qual modo soltanto inerenza.
Lo spaccalegna che io colloco nel mio cortile, il fabbro che nell’India con martello, incudine e mantice va nelle case per lavorarvi il ferro, in confronto del falegname o fabbro europeo che possono offrire in vendita pubblicamente i prodotti del proprio lavoro come merce, il precettore
privato in confronto del maestro di scuola, il contadino che lavora a giornata in confronto del fittabile, e simili, sono semplici dipendenti nello Stato, perché essi debbono essere comandati o protetti da altri individui, e in conseguenza non possiedono nessuna indipendenza civile”.
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Ecco, dunque, che la universalità del diritto alla libertà ed uguaglianza viene retta grazie al principio della indipendenza, vale a dire della proprietà. Sono indipendenti solo i proprietari. Solo i proprietari sono cittadini a pieno titolo.
Ecco come, nella concezione liberale classica, la proprietà discrimina tra i cittadini e dopo aver affermato il valore universale della libertà, nega tale universalità della libertà.
Kant si avvede della contraddizione e dopo aver fissata l’equazione uomo-cittadino, là dove parla della volontà collettiva del popolo (e perciò di tutti i suoi componenti), là dove definisce cittadini i componenti di uno Stato, torna a distinguere fra l’uomo e il cittadino e non dà all’uomo (cittadino passivo) altra garanzia che “le leggi positive votate da quelli che hanno il diritto al voto… non debbono essere contrarie alle leggi naturali della libertà…”.
Si ricade così nel principio generico di un supposto diritto naturale, senza l’effettiva garanzia di norme del diritto positivo.
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L’unità collettiva del popolo sovrano prima affermata è poi negata. Ma poichè la sovranità del popolo è fondata sulla unità collettiva del popolo stesso, laddove quest’ultima si rompe, anche la sovranità si trova ad essere necessariamente negata.
Lo Stato così viene ad essere distinto dalla sovranità popolare, ad essa sovrapposto. Viene ad essere concepito come ipostasi (sostanza indipendente) che, anziché emanare dalla sovranità del popolo, di questa fissa i limiti invalicabili. Non è più la sovranità popolare che emana la legge, ma è la legge che fonda la sovranità popolare.
Ne consegue che il popolo non può opporsi all’autorità regnante, non deve nemmeno porsi il problema della sua origine e ancor meno metterne in dubbio la validità. La frase “ogni autorità viene da Dio” se non ha alcun fondamento storico, esprime, però, un “principio pratico della ragione: si deve ubbidire al potere legislativo attualmente esistente, qualunque possa esserne l’origine“.
Come si vede il principio medievale dell’investitura divina, della emanazione da Dio di ogni potere, prima negata (nell’affermazione della sovranità popolare) viene pienamente riassunta. E al popolo non viene riconosciuta nessuna possibilità di ribellione:
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* “Contro il supremo legislatore dello Stato non vi può essere, dunque, nessuna opposizione legittima da parte del popolo: perché soltanto grazie alla sottomissione di tutti alla sua volontà universalmente legislatrice è possibile uno stato giuridico; quindi non può essere ammesso nessun diritto di insurrezione (seditio), ancor meno di ribellione (rebellio), meno che meno poi di attentati contro di lui come individuo (come monarca) sotto pretesto di abuso di potere, nella sua persona o nella sua vita (monarchomachismus sub specie tyrannicidi).
Il minimo tentativo di ciò è alto tradimento (proditio eminens), e il traditore in questo caso può, come chi ha tentato di tradire la patria, esser punito non meno che con la morte. Il fondamento del dovere che ha il popolo di sopportare l’abuso del potere supremo persino quando questo è dato come insopportabile, consiste in ciò: che la sua opposizione contro la legislazione sovrana non deve mai essere considerata altrimenti che come contraria alla legge, anzi come distruggente I’intera costituzione legale. Infatti, perché il popolo fosse autorizzato alla resistenza, dovrebbe esistere una legge pubblica che la permettesse, vale a dire la legislazione sovrana dovrebbe contenere in se stessa una disposizione, secondo la quale essa non sarebbe più sovrana, e il popolo, come suddito, sarebbe dichiarato in un solo e stesso giudizio sovrano di colui al quale è soggetto, il che si contraddice”.
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In Kant appaiono con la massima evidenza le incongruenze a cui mette capo la nozione liberale dello Stato di diritto, di uno Stato le cui norme fondamentali sono dedotte in modo trascendentale, speculativo e sovrapposte al dato storico della sovranità popolare.
Di qui deriva, da questo distacco dalla realtà effettiva e dalla incapacità di compierne un’analisi critica, la impossibilità del pensiero liberale di attribuire un fondamento reale al principio della libertà. O più esattamente, il fondamento reale esiste, ma deve essere ideologicamente celato, poiché altrimenti apparirebbe che la concezione liberale della libertà non è altro che la giustificazione di quella proprietà privata dei mezzi di produzione che rompe i vincoli della società feudale, della economia corporativa. La contraddizione teorica – così evidente in Kant – non è che il risultato di una contraddizione reale della società, in cui il principio della libertà, cioè della proprietà, non può essere affermato che a condizione della non-proprietà degli altri e quindi della loro non-libertà (affermata per tutti in linea di principio e poi annullata quando si tratta di definire il diritto all’esercizio attivo delle libertà politiche.