MICHEL DE MONTAIGNE – Un viaggio attorno all’uomo

Presunto ritratto di Michel Eyquem de Montaigne

Michel Eyquem de Montaigne (Bordeaux, 28 febbraio 1533 – Saint-Michel-de-Montaigne, 13 settembre 1592) fu un filosofo, scrittore e politico francese noto anche come aforista, autore di un libro immortale – I Saggi – e maestro di pensiero tra i piri grandi della moderna civiltà occidentale.
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Superato Libourne sulla statale che va da Bergerac a Bordeaux, svolto in una stradina che serpeggia lungo i fianchi di alture coperte di vigneti. I cartelli stradali hanno nomi ben noti ai seguaci di Bacco: Pomerol, Néac, Montagne, Pétrus. Devo resistere al fascino di Saint-Émilion, città medievale appollaiata sull’orlo di un altopiano, con i suoi conventi e campanili che additano il cielo. Ho un appuntamento con Michel Eyquem, signore di Montaigne, e un uomo come lui non si fa attendere, anche se è morto da oltre quattro secoli.
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Perché Montaigne, autore dei Saggi, uno dei capolavori della letteratura francese, è stato uno dei maestri di pensiero della moderna civiltà occidentale.
La seconda parte del XVI secolo fu un periodo buio per la Francia: la guerra civile, aggravata dalle invasioni di eserciti stranieri, infuriò per 36 anni. Il conflitto, noto sotto il nome di Guerre di Religione, vedeva contrapposte la maggioranza cattolico-romana e gli appartenenti alla nuova setta protestante ispirata da Martin Lutero e Giovanni Calvino.
Michel de Montaigne era soltanto un proprietario terriero che preferiva la vita serena nella sua tenuta agli onori e agli orpelli del potere; che amava la compagnia degli amici più della frequentazione dei potenti; e che ai duelli alla spada o alla pistola preferiva le tenzoni dell’ingegno.
Benché fosse cattolico, la tolleranza era una virtù innata in lui, e la cosa non è difficile da capire se si pensa che sua madre aveva origini ebraiche e che parte della sua famiglia si era convertita al protestantesimo. Cosi, quando una grave rivolta di estremisti cattolici scoppiò a Bordeaux nel periodo in cui era lui il sindaco della città, Montaigne fu in grado di riconciliare le opposte fazioni evitando spargimenti di sangue.
Quest’uomo tranquillo si adoperò con impegno in favore dell’armonia e della pace non solo per mezzo dell’azione politica,
ma anche attraverso i suoi scritti. E lo fece rischiando tutto quello che aveva, e guadagnandosi in tal modo anche il rispetto dei suoi avversari.

Oggi che in alcuni paesi europei tornano a esplodere guerre fratricide, il messaggio di Montaigne è attuale come non mai.

Château de Montaigne, facciata e cortile a Saint-Michel-de-Montaigne, Dordogne

(vedi file originale) Henry SALOMÈ

Il paesaggio è intanto cambiato: i vigneti dai filari ordinatissimi hanno ceduto il posto a campi, prati e boschi. Sto entrando nel Castillonais, nella regione del Périgord. Uscito da una curva, vedo davanti a me una collina sovrastata da un castello.
Un alto muro cresta la sommità del ripido pendio. A un’estremità sorge un’ampia torre cilindrica, e dietro di questa una seconda torre. All’altra, scorgo il tetto di ardesia di un castello rinascimentale. Come edificio è simile a molti dei castelli che punteggiano la regione, ma ai miei occhi è qualcosa di più, perché era la casa di Michel de Montaigne, l’uomo che sono venuto a incontrare facendo un viaggio indietro nel tempo.
Qualche minuto dopo attraverso Saint-Michel-de-Montaigne, un antico agglomerato di casette con tetti di tegole rosse e muri di pietra dai riflessi dorati. Nella piazza principale una stele senza pretese con una sorta di medaglione rende onore alla celebrità locale. Proseguo lungo una strada carrozzabile fiancheggiata da maestosi cedri e querce. Su entrambi i lati, distese di vigneti. Poco dopo appare anche il castello.
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Il bisnonno di Montaigne, Ramon Eyquem, nativo di Bordeaux ma con ascendenze portoghesi, aveva comprato la proprietà nel 1477 con il denaro guadagnato nel commercio del vino e del pesce. Poiché si trattava di “terreno nobiliare”, la sua acquisizione fece di Ramon o dei suoi discendenti i signori del paese, e li autorizzò ad aggiungerne il toponimo al nome di famiglia. Sul posto venne costruito un piccolo casino di campagna che il padre dello scrittore, abbandonati i commerci per la carriera militare e politica (fu sindaco di Bordeaux) trasformò poi in castello.
È qui che nacque Michel de Montaigne, il 28 febbraio 1533; ed è qui che trascorse l’infanzia, di cui ci ha lasciato un’idilliaca descrizione.

Pierre Eyquem, “il migliore dei padri”, era di idee avanzate per quanto riguardava l’educazione. Non solo rifiutava l’uso della frusta, a quel tempo strumento didattico universale, ma credeva anche nell’amore e nell’assenza di coercizione. Perché la giornata del figlio cominciasse lietamente, lo faceva svegliare a suon di musica. Per aiutarlo a imparare senza fatica il latino (indispensabile per studiare e intraprendere una carriera) quando Michel ebbe due anni il padre lo affidò a un istitutore che aveva il compito di parlargli esclusivamente in quella lingua. In latino con lui parlavano tutti in casa, Pierre compreso, e in breve tempo il piccolo imparò a esprimersi in latino altrettanto bene che in francese.

Torre di Montagne (Vedi file originale)
Purtroppo, è difficile immaginare il posto come lo vide il giovane Montaigne. Il castello, che oggi appartiene a un privato, fu distrutto da un incendio nel 1885 e ricostruito in maniera diversa da com’era originariamente.
Ma le altre ali del cortile, edificate dopo che Montaigne ebbe raggiunto l’età adulta, sono rimaste immutate.
Le torri sorgono in due angoli della corte. Quella che sovrasta il portale d’ingresso è la Torre del Filosofo, abitata da Montaigne dopo la morte del padre. L’altra è chiamata la Torre della Signora perché vi alloggiava Françoise, moglie di Montaigne.
Ai piedi della Torre del Filosofo tiro il cordone di un campanello, ed entro attraversando un doppio portale con copertura a volte. La mia giovane guida mi dà il benvenuto nel cortile interno. Entriamo nell’edificio passando per una torretta di pietra, e seguendo un breve vestibolo scuro arriviamo nella stanza a pianterreno che, in origine, era la cappella privata del castello. L’altare, dentro una nicchia, è sormontato da un affresco che mostra San Michele impegnato a combattere il drago (rappresentazione del diavolo).
Usciti dalla cappella saliamo una ripida scala a chiocciola i cui gradini consunti dal tempo conducono alla stanza da letto dello scrittore, un locale rettangolare con pesanti travi sul soffitto, pavimento di piastrelle rosse esagonali e due grandi finestre.
Una nicchia ampia quanto una poltrona, ricavata sotto una delle finestre, permetteva a Montaigne di leggere alla luce del giorno.
Sul lato opposto c’è una griglia che dà sulla cappella. Montaigne morì in questa stanza il 13 settembre 1592, all’età di 59 anni.
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Alla pacificazione nazionale, per la quale aveva lavoralo più di un trentennio, mancavano ancora sei anni. Tre anni prima re Enrico III era stato assassinato da estremisti cattolici, e benché la Francia fosse priva di una guida, l’uomo destinato a succedergli non si era ancora rassegnato ad abbandonare il protestantesimo per diventare, col nome di Enrico IV, il catalizzatore della riconciliazione.
Ma Montaigne sapeva che la Pace era vicina, perché si era prodigato come instancabile negoziatore presso il futuro re di Francia.
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Un’altra rampa di scale ci porta alla biblioteca, la stanza più famosa della torre, poiché lo scrittore ce ne ha diffusamente parlato nei suoi Saggi.
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Presunto ritratto di Michel de Montaigne, 1565 circa

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Montaigne amava i libri. “Leggere”…diceva… “mi è particolarmente utile perché risveglia l’intelletto in molti modi, facendomi esercitare la facoltà di giudizio, non la memoria”.
Oltre che alle Sacre Scritture, le sue preferenze andavano ai classici greci e latini e alla storia. Annotava tanto profusamente le sue opere preferite, e scriveva tanti commenti a margine, che in breve tempo ebbe abbastanza materiale da utilizzare come nucleo di base per i suoi Saggi. Da allora sviluppò le sue idee in cinque edizioni successive, a cui, quando mori, stava ancora apportando delle aggiunte.
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La biblioteca, un locale di forma irregolare, è la stanza più grande della torre. Tre finestre rivolte a nord-est, sud-est e ovest forniscono una buona luce per tutta la giornata.
Accanto alla biblioteca si trova uno studio i cui affreschi originali sono stati conservati.
Questa stanza, riscaldata da un camino, gli consentiva di lavorare d’inverno. Il suo principale ornamento, comunque, sono le citazioni in greco e latino che Montaigne fece scrivere sulle travi del soffitto; 54 sono ancora leggibili. Tratta dai classici della filosofia come dalle Scritture, questa antologia costituisce un compendio del pensiero di Montaigne. E’ un amalgama di fiducia nell’umanità e scetticismo per le sue capacità, di amore per la vita e timore della morte, di fede in Dio e sgomento di fronte alle umane debolezze, e soprattutto di amore per la libertà e di ricerca della tolleranza.
Di quest’ultima, Montaigne scrisse: “La vera, sovrana libertà che ci concede la forza di farci beffe del potere e dell’ingiustizia, e di ridere delle prigioni e delle catene”.
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Mentre osservo le pareti ora spoglie, riesco a immaginarle tappezzate di scaffali pieni di libri ricoperti di pelle rossiccia. Ma i 1000 volumi di Montaigne sono andati dispersi nelle biblioteche di tutto il mondo, o sono finiti nelle mani di collezionisti.
Ora un tavolo e una sedia del XVII secolo si trovano nel posto un tempo occupato dai mobili di Montaigne. Ma il filosofo sedeva solo per leggere, preferendo dettare i suoi scritti mentre passeggiava per la stanza, piuttosto che prendere egli stesso la penna.
In questa stanza disadorna sento di aver finalmente incontrato l’uomo che sono venuto a trovare.
Uscito dalla torre, costeggio il muro fino a raggiungere una piattaforma da cui si domina la strada che attraversa la valle del fiume Lidoire.
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Il 19 dicembre I 584 Enrico di Navarra, cugino di Enrico III, venne a trovare Montaigne percorrendo quella stessa strada. La morte del fratello del sovrano aveva fatto di lui l’erede al trono, e il re aveva chiesto allo scrittore di trattare le condizioni della successione. Forse fu proprio su quella piattaforma, lontano da orecchi indiscreti, che il signore di Montaigne intavolò lunghe conversazioni con il principe bearnese, nel tentativo di persuaderlo ad avvicinarsi al cugino regnante.
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La mia tappa successiva è la chiesa del paese.
Passando sotto un elegante portico a volte entro nel piccolo santuario dove probabilmente Montaigne fu battezzato. Sotto la cupola medievale calpesto le pietre da lastricare che ricoprono le tombe di suo padre e delle sue sei figlie, cinque delle quali morirono in tenera età.
Montaigne è sepolto a Bordeaux, ma il suo cuore è stato inumato in un pilastro di questa chiesa.
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Infine vado a Bordeaux, dove Montaigne frequentò l’università, prestò servizio come magistrato per una dozzina di anni, e fu sindaco per due mandati successivi.
Gli anni dal 1582 al 1586 furono per lui un periodo ingrato: dovette affrontare un’epidemia di peste, resistere a un tentativo di ribellione da parte di estremisti cattolici, e soprattutto proteggere la sua città dagli orrori della guerra civile.

Nel XVIII secolo Bordeaux subi grandi mutamenti. Il municipio in cui lavorò Montaigne, e il Collegio di Guyenne dove studiò, furono rasi al suolo.

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Dopo aver visto alcuni suoi manoscritti e volumi annotati, visito il Museo di Aquitania.
Nel vestibolo, la tomba di Montaigne mi coglie di sorpresa: qui I’uomo che preferiva la penna alla spada, la diplomazia alla guerra, la persuasione alla violenza, è raffigurato in tenuta da battaglia.
Se I’iscrizione in latino e greco non avesse confermato la sua identità, avrei pensato che si trattasse di un errore. Per fortuna Montaigne ci ha lasciato un’altra immagine di sé, il suo libro:
“Voglio che mi si veda come un uomo semplice, comune e naturale, non eccessivamente intelligente e senza grandi pretese”.
Descritti, al loro primo apparire, come il “breviario delle persone per bene”, i Saggi conservano intatta la loro importanza ancora oggi, e sono fonte d’ispirazione per vivere tanto una vita pubblica, quanto una vita privata.
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Ritratto di Montaigne del 1590 circa di artista anonimo
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VIAGGIO IN ITALIA

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Montaigne ha 47 anni quando, nel giugno del 1580, inizia il viaggio che si concluderà nel novembre dell’anno successivo e che lo porterà a visitare Svizzera, Germania e Italia allo scopo di passare le acque nelle più celebrate località termali d’Europa – lo scrittore soffre di calcoli e disturbi intestinali – ma anche e soprattutto di conoscere “vite, opinioni, usanze” e la “varietà di forme della nostra natura”.
Tocca Trento, Verona, Venezia, Bologna, Firenze, Roma. Passa nelle Marche e, tornato in Toscana, va a curarsi a Bagni di Lucca, dove rimane dall’8 maggio al 21 giugno del 1581 (qui apprende di essere stato scelto come sindaco di Bordeaux).
Il viaggio di ritorno passa per Siena, Sarzana (La Spezia), Pavia, Milano, Torino, il Cenisio.
Fino a un certo punto Montaigne detta le sue osservazioni al segretario, poi entra in prima persona nella narrazione e, da Bagni di Lucca lino al Moncenisio, scrive il suo resoconto in italiano (Assaggiamo di parlare un poco questa altra lingua….”).
Saggi di Montaigne sono serviti da modello a quanti scrissero dopo di lui libri di massime, di confessioni, o anche opere teatrali e romanzi (tanto per fare qualche nome, Shakespeare, La Rochefoucauld, La Fontaine, Molière, Montesquieu, Voltaire e Rousseau).
Il Journal du Voyage en ltalie par la Suisse et l’Allemagne, dal canto suo, è I’esempio, sempre valido e degno di imitazione, di un libro su un viaggio compiuto non per avere la conferma di preconcetti e pregiudizi su popoli e paesi stranieri, ma per osservare direttamente e riferire poi delle cose che si sono viste. Accettandole per come sono, senza giudicarle, ma al contrario gioendo della loro novità e animati da una curiosità mai sazia per I’uomo e per le opere, le tradizioni, i traffici e le usanze che lo riguardano.
Ma per avere questo atteggiamento bisogna forse anche saper viaggiare come Montaigne, che “quando ci si lagnava con lui perché guidava la brigata per svariate strade e paesi… rispondeva che per conto suo non andava se non là appunto dove si trovava; che per lui era impossibile sbagliare o allungare strada, non avendo egli altro progetto se non girare per luoghi sconosciuti…”.
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Presunto ritratto di Michel de Montaigne

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