LE BAGNANTI – Pierre-Auguste Renoir

 

LE BAGNANTI (1918)

 Pierre-Auguste Renoir

Musée d’Orsay, Parigi

Olio su tela cm 110 x 160

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Dipinto a Cagnes, pochi mesi prima di morire. Renoir si servì probabilmente della modella Dedée, una giovane che posava per lui da qualche anno e che diverrà la moglie di Jean, il regista.

Il quadro presenta due gruppi di donne nude: due donne in primo piano e tre in secondo piano. Lo sfondo del dipinto è un giardino di proprietà del pittore, situato a Cagnes-sur-Mer. I corpi sono volumetrici e risaltano sul paesaggio impressionista.

Il tema delle bagnanti è frequente nell’ultima produzione del pittore.

Il grande dipinto è considerato il testamento di Renoir, espresso nel tema prediletto delle bagnanti immerse nella luce estiva e fa seguito alle splendide pitture e sculture degli ultimi anni: Il giudizio di Paride, i Concerti (ragazze con mandolino), su cui l’artista si applicava con energia ancora nell’estremo anno di vita.

Il dipinto fu esposto alla Biennale di Venezia del 1948.

A settant’anni, benché risenta i disagi del male fisico, si dedica alla scultura, e di sua mano riesce a modellare un profilo e un busto di Claude, l’ultimo figlio e qualche anno dopo, guidando i gesti del giovane scultore Richard Guino, compone La lavandaia e la Venere vittoriosa, 1915-16, (casa di Cagnes), o l’altorilievo col Giudizio di Paride (Zurigo, collezione Werner e Bär), dove è la stessa duttile materia della pittura, che si muove e snida nel bronzo con un ritmo lento e solenne, quasi di una sognata classicità, animata al rallentatore, naturale e senza tempo.

Anche nell’apparente declino di alcuni ultimi dipinti, in cui sembra sfaldarsi l’onda delle vegetazioni, o stapparsi in brani lacerati la carne dei fiori, o dilagare la sostanza delle Bagnanti o dell’estremo Concerto, è presente ancora quel tratto “indescriptible et inimitable” che voleva trovare nella pittura.

Antico e moderno, simile e diverso da Monet, l’unico degli amici antichi che ancora lavorava vigoroso a Giverny, Renoir aveva cercato quell’opera intesa come travaso immediato dell’esistenza.

“L’œuvre d’art – diceva – doit vous saisir, vous envelopper, vous emporter”.

In tutti i pensieri espressi da Renoir negli ultimi anni, in cui ricorre più insistente il nome degli antichi maestri e dei grandi classici, occorrerà avvertire e ricordare non solo il suo speciale e libero entusiasmo di fronte alle opere dei Musei, ma certo anche la posizione polemica che egli sentiva di occupare, come Claude Monet e Cézanne e Degas, nell’ultimo decennio dell’Ottocento e negli anni del nuovo secolo, così carichi di invenzioni e già, anche, di teorie, di esperienze intellettuali; dal Sintetismo al Cubismo.

Nomi grossi e movimenti che opinavano secessioni e ribellioni inaspettate e, come a Renoir apparivano, non autentiche. Egli poteva parlare ancora di tradizioni, invece che negarne i valori, poiché il suo legame col mondo antico era di qualità vivente, spontaneamente fuori da ogni tipo di esumazione, mentre rendeva attuali antichi e universali sedimenti di sensibilità, tanto che le risorse infinite che egli aveva scoperto nella vita che passa, potevano fermentare in poeti altissimi come Matisse o Bonnard, del cui debito a Renoir, non ci fossero le rivelazioni dette e scritte, basterebbe il respiro intenso della loro pittura a dirne il significato.

La portata del lavoro di Renoir è ancora più vasta se, davanti ad ogni frammento della sua pittura che porta luce sulla cronaca dei gesti e dei luoghi, di ogni giornata dell’uomo, usuale e banale, e la rende da cosa sconosciuta che era, evidenza visiva mirabile, si può dire con Proust che “costui aveva saputo in modo immortale fermare la corsa del tempo in un istante luminoso”.

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