AVANGUARDIE – POP ART


MARILYN, una delle opere più note di Andy Warhol (1930-1987)
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POP ART

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Altra fondamentale espressione dell’arte moderna è data dalla Pop Art: pop è abbreviazione dall’inglese e significa “popolare”, ma non nel senso positivo della tradizione culturale e folclorica che implica sempre il senso di un’apprezzabile e liberatoria creatività, bensì in quello della società moderna livellata e massificata, in cui la produzione degli oggetti e la loro fruizione su larghissima scala equivalgono alla perdita dell’identità tanto da parte del soggetto quanto dell’ambiente e delle cose di cui questi si circonda.

Anche la Pop Art dunque esprime una valutazione sostanzialmente negativa sui connotati della società moderna e parte da un presupposto profondamente critico e pessimistico: ormai il soggetto non esiste più, ha smarrito la consapevolezza della propria identità nell’indistinzione della massa, e, analogamente, non riconosce più gli oggetti del proprio mondo. Ormai la realtà dell’esperienza si dissolve in un flusso incontrollato e turbinoso di frammenti di immagini, e l’esistenza dell’uomo immerso nel caos della metropoli si riduce a brani spezzati di eventi fortuiti, di incontri, di ricordi, di sguardi casuali che si accumulano senza un ordine necessario, senza un senso e una motivazione precisi.
Le cose che ricadono nel raggio di esperienza dell’individuo cessano di essere riconosciute come elementi familiari, ossia come un riflesso e un prodotto della creatività umana, e sono pure immagini, continuamente ripetute, sempre uguali a se stesse, identiche ai modelli propagandati dai patinati e bombardanti messaggi pubblicitari.
Anche la comunicazione che, apparentemente, sembra essere nell’epoca moderna estremamente sviluppata, efficace e avvolgente, è in realtà ridotta all’impotenza: nulla è comunicabile veramente, perché non vi sono oggetti reali della comunicazione, e le cose prodotte dal sistema industriale e capitalistico moderno sono forme vuote senza contenuto, involucri privi di sostanza, riprodotti all’infinito e diffusi capillarmente nelle case di tutti, rese spaventosamente simili le une alle altre. In una dimensione esistenziale di questo tipo, l’individuo si trova ad essere alienato da sé e dalla propria esperienza.

La caduta nell’indistinzione del principio d’identità, rende estraneo all’uomo moderno anche l’ambiente della sua vita quotidiana: nulla gli è più familiare, domestico, neppure gli oggetti più comuni della sua esperienza, che gli ispirano un senso di inquietante estraneità, di mostruosa e soffocante invadenza.

LETTO di Rauschenberg
Ecco perché i rappresentanti più famosi della Pop Art, che nasce ad opera di Robert Rauschenberg (pseudonimo di Milton Ernst Rauschenberg) (Port Arthur, 22 ottobre 1925 – Captiva Island, 12 maggio 2008 –  che è stato un fotografo e pittore statunitense, e fu vicino alla pop art senza però mai aderirvi realmente, innescando invece una inedita corrispondenza con l’espressionismo astratto) Jasper Johns (Augusta, 15 maggio 1930), ricorrono spesso a oggetti d’uso, a cose della nostra comune esperienza per darle come presenze spaventose e allarmanti: famoso è il Letto di Rauschenberg, strappato, sfondato, imbrattato di colori.
Gli oggetti più consueti vengono dunque deturpati, sfigurati, sottoposti a un processo che li rende estranei alla loro funzione e ostili all’uomo, come specchi della degradazione della sua esistenza, della discesa sotto un livello dignitoso di vivibilità.
Va sottolineato che questa presentazione degli oggetti d’uso non è paragonabile, seppure apparentemente simile, a quella che ne aveva dato il Dadaismo: là l’oggetto comune serviva a deridere il giudizio di validità estetica che la coscienza dell’uomo formula in modo spesso arbitrario, qui invece l’oggetto comune è la denuncia dell’alienazione dell’uomo moderno e della sua impotenza a conoscere la realtà per farne un’esperienza autentica.
Altra tecnica diffusissima nella Pop Artè il collage, che consente di riprodurre la frammentarietà dell’esperienza e la caoticità del flusso di immagini e di comunicazioni che travolgono l’individuo, offuscando il senso del suo rapporto con la realtà e affidandolo ad una casualità che non lascia scampo ai valori umani e della conoscenza.
Ecco perché l’unico scrupolo che resta all’artista moderno è quello di riprodurre con minuzioso perfezionismo, persino con una certa pedanteria, l’immagine stereotipata dei prodotti seriali, i fotogrammi del cinema, i fumetti, le lattine, le confezioni dei cibi, gli involucri
pubblicitari.

Questo esito, che si definisce iperrealistico, mira alla resa di un effetto di rispecchiamento della realtà talmente particolareggiato e vivido da superarla addirittura nei suoi valori di immagine.

La Pop Art fa dunque dell’arte un’ennesima forma di riproduzione, di ripetizione in serie, di uniformità, che ribadisce e sottolinea l’invadenza di una realtà che, ben lungi dal suggerire un’impressione di vita, si fissa in immagini statiche e mortuarie come quelle della pubblicità.
Roy Fox Lichtenstein (New York, 27 ottobre 1923 – New York, 29 settembre 1997) è stato un artista statunitense, tra i più celebri esponenti della Pop Art…., interessato come gli altri artisti pop ai mezzi di comunicazione di massa, fissa la propria attenzione sui fumetti, ingrandendoli a proporzioni tali da renderli vuoti stereotipi.
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