MARXISMO E RELIGIONE – Sulla questione ebraica – Karl Marx

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MARXISMO E RELIGIONE

Sulla questione ebraica

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Nello stesso fascicolo degli Annali franco-tedeschi in cui apparve l’Introduzione al Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, Karl Marx pubblicò un altro suo saggio, Sulla questione ebraica, che è particolarmente importante per Io sviluppo della sua concezione. In realtà l’argomento trattato è molto più vasto di quello che il titolo dello scritto potrebbe lasciar supporre.
Discutendo alcune tesi di Bruno Bauer (il maggiore esponente della sinistra hegeliana) sul problema della emancipazione degli Ebrei, Marx imposta la questione del rapporto tra emancipazione politica ed emancipazione umana. In questo quadro si colloca anche il problema del rapporto tra Stato e religione. Il fatto che il moderno Stato laico si emancipi dalla religione non solo non esclude ma anzi presuppone l’esistenza della religione nell’attuale società capitalistico-borghese, che Marx definisce qui con la espressione società civile. La scissione tra società politica e società civile, tra l’uomo come cittadino e l’uomo come individuo privato, è infatti una caratteristica fondamentale della moderna società borghese, ed è il limite insuperabile dell’emancipazione puramente politica.
Si tratta di un limite che potrà essere superato solo con una completa emancipazione umana, cioè con il superamento della società borghese: e soltanto ciò renderà possibile il superamento della limitatezza religiosa.

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Riproduco il testo della traduzione italiana, compreso nel volume già citato di Marx, Un carteggio del 1843 e altri scritti giovanili.

* Solo là dove lo Stato politico esiste nella sua formulazione compiuta, il rapporto dell’ebreo e in generale dell’uomo religioso, con lo Stato politico, vale a dire il rapporto della religione con lo Stato, può presentarsi nella sua peculiarità, nella sua purezza. La critica di questo rapporto cessa di essere teologica non appena lo Stato cessi di comportarsi in modo teologico nei riguardi della religione, non appena esso si comporti verso la religione da Stato, cioè politicamente. La critica diviene allora critica dello Stato politico.
La questione è: come si comporta l’emancipazione politica compiuta nei riguardi della religione. Se perfino nel paese dell’emancipazione politica compiuta ( 1 ) noi troviamo non soltanto l’esistenza, ma l’esistenza vivace e vitale della religione, questo fatto testimonia che l’esistenza della religione non contraddice alla perfezione dello Stato. Ma poichè l’esistenza della religione è l’esistenza di un difetto, la fonte di tale difetto può ancora essere ricercata soltanto nell’essenza dello Stato stesso. La religione per noi non costituisce più il fondamento, bensì ormai soltanto il fenomeno della limitatezza mondana
Per questo, noi spieghiamo la soggezione religiosa dei liberi cittadini con la loro soggezione terrena. Non riteniamo che essi dovrebbero sopprimere la loro limitatezza religiosa, per poter sopprimere i loro limiti terreni. Affermiamo che essi sopprimeranno la loro limitatezza religiosa non appena avranno soppresso i loto limiti terreni.
Noi non trasformiamo tre questioni terrene in questioni teologiche. Trasformiamo le questioni teologiche in questioni terrene. Dopo che per lungo tempo la storia è stata risolta in superstizione, noi risolviamo la superstizione in storia.
La questione del rapporto tra l’emancipazione politica e la religione, diviene per noi la questione del rapporto tra l’emancipazione politica e l’emancipazione umana.
Noi critichiamo la debolezza religiosa dello Stato politico, in quanto critichiamo lo Stato politico, facendo astrazione dalle debolezze religiose nella sua costruzione terrena.
Noi umanizziamo il contrasto tra lo Stato e una determinata religione, ad esempio il giudaismo, nel contrasto tra lo Stato e determinati elementi terreni, il contrasto dello Stato con la religione in generale nel contrasto tra lo Stato e le sue premesse.
L’ emancipazione politica dell’ebreo, del cristiano, dell’uomo religioso in generale, è l’emancipazione dello Stato dal giudaismo, dal cristianesimo, dalla religione in generale.
Nella sua forma, nel modo proprio alla sua essenza, in quanto Stato, lo Stato si emancipa dalla religione emancipandosi dalla religione di Stato, cioè quando lo Stato come Stato non professa religione alcuna, quando Io Stato riconosce piuttosto se stesso come stato.
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L’emancipazione politica dalla religione non è emancipazione compiuta, senza contraddizioni, dalla religione, perchè l’emancipazione politica non è il modo compiuto, senza contraddizioni, dell’emancipazione umana.
Il limite dell’emancipazione politica appare immediatamente nel fatto che lo Stato può liberarsi da un limite senza che l’uomo ne sia realmente libero, che lo Stato può essere un libero Stato senza che l’uomo sia un uomo libero.
Bauer stesso ammette ciò implicitamente, allorchè pone all’emancipazione politica la seguente condizione:
“Ogni privilegio religioso in generale, quindi anche il monopolio di una Chiesa dotata di prerogative dovrebbe essere abolito, e se alcuni, o parecchi, o anche la stragrande maggioranza, ritenessero di dover assolvere a doveri religiosi, tale adempimento dovrebbe essere loro concesso come una cosa meramente privata“.
Lo Stato può dunque essersi emancipato dalla religione anche se la stragrande maggioranza è ancora religiosa. E la stragrande maggioranza non cessa di essere religiosa per il fatto di essere religiosa privatim (privatamente).
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Ma il comportamento dello Stato verso la religione, e particolarmente dello Stato libero, non è tuttavia altro che il comportamento degli uomini che formano lo Stato, verso la religione. Ne consegue che l’uomo per mezzo dello Stato, politicamente, si libera di un limite, innalzandosi oltre tale limite in contrasto con se stesso, si libera attraverso un mezzo, anche se un mezzo necessario.
Ne consegue infine che l’uomo, anche se con la mediazione dello Stato si proclama ateo, cioè se proclama ateo lo Stato, rimane ancor sempre implicato religiosamente, appunto perchè conduce se stesso solo per via indiretta, solo attraverso un mezzo.
La religione è appunto il riconoscersi dell’uomo per via indiretta. Attraverso un mediatore.
Lo Stato è il mediatore tra l’uomo e la libertà dell’uomo. Come Cristo è il mediatore che I’uomo carica di tutta la sua divinità, di tutto il suo pregiudizio religioso, così Io Stato è il mediatore nel quale egli trasferisce tutta la sua mondanità, tutta la sua spregiudicatezza umana.
L’elevazione politica dell’uomo al di sopra della religione partecipa di tutti i difetti e i pregi dell’elevazione politica in generale. Lo Stato in quanto Stato annulla, ad esempio, la proprietà privata, I’uomo dichiara soppressa politicamente la proprietà privata non appena esso abolisce il censo per l’eleggibilità attiva e passiva, come è avvenuto in molti Stati nordamericani.
Hamilton interpreta assai giustamente questo fatto dal punto di vista politico:
“La grande massa ha trionfato sopra i proprietari e la ricchezza monetaria”.
Non è forse idealmente soppressa la proprietà privata, dacché il nullatenente diviene legislatore del proprietario? Il censo è l’ultima forma politica di riconoscimento della proprietà privata.
Tuttavia, con l’annullamento politico della proprietà privata non solo non viene soppressa la proprietà privata, ma essa viene addirittura presupposta. Lo Stato sopprime nel suo modo le differenze di nascita, di condizione, di educazione, di occupazione, dichiarando che nascita, condizione, educazione, occupazione non sono differenze politiche, proclamando ciascun membro del popolo partecipe in egual misura della sovranità popolare, senza riguardo a tali differenze, trattando tutti gli elementi della vita reale del popolo dal punto di vista dello Stato.
Nondimeno lo Stato lascia che la proprietà privata, l’educazione, l’occupazione operino nel loro modo, cioè come proprietà privata, come educazione, come occupazione, e facciano valere la loro particolare essenza.
Ben lungi d.al sopprimere queste differenze di fatto, lo Stato esiste piuttosto soltanto in quanto le presuppone, sente se stesso come Stato politico, e fa valere la propria universalità solo in opposizione con questi  suoi elementi.
Hegel definisce perciò molto esattamente il rapporto dello Stato politico con la religione, quando dice:
“Affinché lo Stato giunga ad esistere come realtà etica dello spirito consapevole di sè, è necessario che esso si distingua dalla forma dell’autorità e della fede; questa distinzione, però, si presenta soltanto in quanto l’aspetto della Chiesa viene a separarsi in se stesso; soltanto così, al di sopra delle Chiese particolari lo Stato ha ottenuto l’universalità del pensiero, il principio della sua forma, e dà loro esistenza” ( 2 ).
Certamente! Solo così, al di sopra degli elementi particolari, lo Stato si costituisce come universalità.
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Lo Stato politico perfetto è per sua essenza la vita dell’uomo come specie, in opposizione alla sua vita materiale. Tutti i presupposti di questa vita egoistica continuano a sussistere al di fuori della sfera dello Stato, nella società civile, ma come caratteristiche della società civile. Là dove Io Stato politico ha raggiunto il suo vero sviluppo, l’uomo conduce non soltanto nel pensiero, nella coscienza, bensì nella realtà, nella vita, una doppia vita, una celeste e una terrena, la vita nella comunità politica nella quale egli si afferma come comunità, e la vita nella società civile nella quale agisce come uomo privato, che considera gli altri uomini come mezzo, degrada se stesso a mezzo e diviene trastullo di forze estranee.
Lo Stato politico si comporta nei confronti della società civile in modo altrettanto spiritualistico come il cielo nei confronti della terra. Rispetto ad essa si trova nel medesimo contrasto, e la vince nel medesimo modo in cui la religione vince la limitatezza del mondo profano, cioè dovendo insieme riconoscerla, restaurarla e lasciarsi da essa dominare.
Nella sua realtà più immediata, nella società civile, l’uomo è un essere profano. Qui, dove per sè e per gli altri vale come individuo reale, egli è un fenomeno non vero.
Viceversa, nello Stato, dove l’uomo vale come specie, egli è il membro immaginario di una sovranità fantastica, è spogliato della sua reale vita individuale e riempito di una universalità irreale.
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Il conflitto nel quale si uova I’uomo come seguace di una religione particolare, con se stesso in quanto cittadino, con gli altri uomini in quanto membri della comunità, si riduce alla scissione mondana tra lo Stato politico e la società civile.
Per I’uomo in quanto bourgeois (borghese), “la vita dello Stato è soltanto apparenza o una momentanea eccezione contro l’essenza e la regola”.
Certamente il bourgeois, come l’ebreo, rimane nella vita solo sofisticamente, così come solo sofisticamente il citoyen (cittadino) rimane ebreo o bourgeois; ma tale sofistica non è personale. Essa è la sofistica dello Stato politico stesso.
La differenza tra I’uomo religioso e il cittadino è la differenza tra il commerciante e il cittadino, tra il salariato giornaliero e il cittadino, tra il proprietario fondiario e il cittadino, tra l’individuo vivente  e il cittadino.
La contraddizione nella quale si trova I’uomo religioso con I’uomo politico, è la medesima contraddizione nella quale si trova il bourgeois con il citoyen, nella quale si trova il membro della società civile con il suo travestimento politico.
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1 ) Marx si riferisce qui agli Stati Uniti del nord America che nel 1843 avevano già quasi universalmente codificato la rigorosa separazione tra Stato e Chiesa.
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2 ) G. G. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto.
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Precedentemente Hegel aveva dimostrato che dove, come nel despotismo orientale, esiste l’unità della Chiesa e dello Stato, lo Stato, come tale, non esiste. Nella sua Critica della filosofia del diritto di Hegel, affrontando l’esame di questo paragrafo molto importante, Marx si era proposto una più diffusa trattazione del rapporto di Stato e Chiesa. Purtroppo questa nota non è stata scritta o è andata perduta con la parte mancante del manoscritto.
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