IL VARIETÀ

Nicola Maldacea, nella macchietta “La prima ballerina£ di Trilussa

 

IL VARIETÀ

 

Mondo pittoresco e composito, nonché regno privilegiato dell’ erotismo e della comicità a buon mercato, il varietà con la sua “pessima fama” e con i suoi forti sapori plebei non è stato solo la valvola di sfogo per aristocratici annoiati e borghesi in cerca di emozioni, ma ha intrigato anche non pochi intellettuali. Ci si sono divertiti, trovandovi perfino spunti per la loro arte, grandi pittori, scrittori e registi (da Toulouse-Lautrec a Federico Fellini, passando per Gabriele D’Annunzio e Giosue Carducci). Anche se il modo più facile per evocarlo (ma nemmeno tanto deviante), è ancora l’iconografia. della procace sciantosa che duetta a base di doppi sensi col comico e termina il suo numero tra applausi, fischi e l’inevitabile “Ti vogliamo nuda!”, questo genere, dalla vita lunga e avventurosa, ha lasciato il suo segno indelebile nella storia del teatro leggero e della canzone.
Storicamente, il varietà (la sua definizione originale era “teatro delle varietà”), è la formulazione piú popolare del Café chantant, un genere nato sul finire del Settecento a Parigi e composto da diversi “numeri” (comici, musicali, circensi e d’arte varia), non legati da trama e affidati ad artisti di richiamo (la vedette, il fine dicitore, il macchiettista, il ballerino, l’acrobata, l‘illusionista).
In Italia qualcosa di analogo comincia a nascere nella seconda metà del secolo scorso, mettendo radici soprattutto a Napoli (dove si incontra col teatro popolare, con la grande fioritura della canzone partenopea e con la moda delle “periodiche”) e più tardi a Roma, Milano e Torino. Così sul finire dell’Ottocento, mentre a Milano rombano in maniera. sinistra i cannoni di Bava Beccaris, nella Pianura Padana si agitano anarchici e socialisti e la continuità della casa regnante dei Savoia viene addirittura interrotta da un regicidio, il Café chantant, isola del peccato, di smemoratezza e di musica per la gente danarosa, ë diventato un settore dello spettacolo di largo successo. E, nell’epoca delle grandi e fastidiose retoriche risorgimentali e degli ottimismi da “Ballo Excelsior”, una forma di spettacolo “vario” dotato di una sua
cruda e trasgressiva poesia.

Leopoldo Fregoli

All’inizio del Novecento è già ospitato in locali eleganti, creati appositamente, conta su grandi attrazioni internazionali e ha i suoi “re” e, soprattutto, le sue “regine”, attorno alle quali alimentare piccanti miti e radunare un’élite spendacciona (viveurs, ricchi borghesi e intellettuali), assetata di piaceri e di avventure.
Vi trionfano naturalmente le étoiles internazionali dai nomi gloriosi e dalle biografie rocambolesche (Cléo de Merode, la Bella Otero, Consuelo Tortajada e Lina Cavalieri), che riservano la loro bravura e la loro bellezza, in esclusiva, agli avventori degli spettacoli di gran lusso. Ma il genere, che conserva caratteristiche fortemente popolari, crea anche una miriade di locali “a scalare”, che vanno dal teatro di provincia alla baracca-teatro di borgata, in cui l’atmosfera piccante del Café chantant assume decise sfumature da bordello. Qui si alimenta un mondo pittoresco e miserabile, fatto di “sciantose” al loro eterno debutto e di comici senza speranza in cerca di successo, gli uni e le altre disposti a tutto per ottenerlo. Ma, in mezzo a un mare di mezze calzette, vi fanno la loro prova generale anche talenti destinati alle ribalte nobili. Qualche nome? Nicola Maldacea, il principe della “macchietta”; Gennaro Pasquariello ed Elvira Donnarumma, grandi interpreti della canzone napoletana; Leopoldo Fregoli, il più grade trasformista di tutti i tempi; Maria Campi, la sciantosa che mandò in visibilio la gente con la “mossa”; Ettore Petrolini, puro genio comico, alla cui arte non hanno ancora smesso di rifarsi i comici di oggi.

Dal 1910 in poi, grazie a questi artisti (a cui si aggiungeranno, nel tempo, altri nomi importanti come i cantautori-fantasisti Armando Gill e Odoardo Spadaro e quel genio della comicità che risponde al nome di Totò) il genere, fin dal suo apparire colpito dagli anatemi dei benpensanti, tende a una sua codificazione più ampia e a un allargamento di pubblico.
Si propone insomma come “teatro delle varietà”: da una parte tende ad accentuare i suoi valori di trasgressione intellettuale, abbracciando le teorie di Francesco Tommaso Marinetti sul teatro Futurista (attivi in questo senso intorno agli anni Venti saranno soprattutto Rodolfo De Angelis e l’attore Cangiullo) generando così un vero e proprio teatro d’avanguardia; dall’altro tende a catturare un pubblico più largo, attirando la sua curiosità sulla “varietà” e sulla qualità delle attrazioni e moderando i suoi contenuti più spinti. In definitiva, si apre furbescamente anche alle famiglie, per le quali inaugura la moda delle “pomeridiane”, dove i toni osé dello spettacolo serale sono notevolmente purgati.

A questo mutamento contribuiscono non poco la qualità della canzone napoletana di questi anni, e la straordinaria popolarità dei suoi interpreti (i già citati Pasquariello e Maldacea, Donnarumma e Gill), insieme alla crescita di una comicità nuova e travolgente, da cui una parte di pubblico sempre più ampia non vuole essere esclusa.
Dopo la prima guerra mondiale, tra varietà e teatro ufficiale si assottigliano sempre di più le barriere, così che Ettore Petrolini passerà disinvoltamente dal varietà alla prosa e Totò, uscito dai varietà napoletani, finirà per accedere trionfalmente ai grandi teatri riservati alla rivista, e al cinematografo.