VIA COL VENTO – Margaret Mitchell

VIA COL VENTO

Margaret Mitchell

Introduzione

Margaret Mitchell il Vecchio Sud l’aveva nel sangue: ne aveva appreso negli anni dell’infanzia tutte le leggende e le nostalgie, i rancori e gli eroismi. Era nata nel 1900 ad Atlanta, la capitale della Georgia. Di Atlanta e della guerra di Secessione sapeva tutto: da bambina ascoltava per ore i racconti dei vecchi che nel 1864 avevano visto la loro bella città conquistata e distrutta dai soldati nordisti. Su quei racconti Margaret costruì nella sua mente tutta una realtà vissuta e fotografata. Ne uscì un romanzo-fiume: Via col vento. Quando incominciò a scriverlo aveva ventisei anni; trentasei quando scrisse la parola “fine”. Pochi mesi dopo era cosi celebre da non aver più un solo minuto di pace. Non riuscì a scrivere più nulla: la popolarità l’aveva sommersa. Mori tragicamente nel 1949. Di nuovo le vetrine dei librai si riempirono di Via col vento e in quell’occasione le quindicenni ottennero di leggerlo per la prima volta. Tra dieci anni lo leggeranno le loro figlie. E piacerà ancora. Ancora……

Recensione

In quel tiepido pomeriggio di aprile Rossella O’Hara era felice, per un mucchio di cose: perché aveva sedici anni, perché indossava un vestito nuovo, col bustino aderente e l’ampia gonna a cerchi, perché i due gemelli Stuart e Brent Tarleton la corteggiavano, seduti accanto a lei nell’ombra fresca della veranda. “La più attraente ragazza da marito delle tre Contee”: così dicevano di lei i ragazzi Tarleton e i loro amici. L’invidia delle donne riusciva a trovarle molti difetti, ma il suo volto singolare, dai grandi occhi verdi rialzati verso le tempie, ombreggiati da ciglia nere e folte, non era simile a nessun altro e non passava mai inosservato.
Al fascino personale di Rossella si aggiungeva il prestigio di cui godeva la famiglia di Geraldo O’Hara, proprietario di Tara, una delle più estese e fertili piantagioni della Georgia. Ad aumentare la gioia di quel pomeriggio perfetto c’era il pensiero eccitante della festa a “Le Dodici Querce”, la grande proprietà dei Wilkes, confinante con Tara.
“Rossel1a, se tu impegni con noi tutti i tuoi valzer per domani, ti diamo una notizia strabiliante: un segreto che ancora nessuno conosce”. disse Stuart Tarleton contando sulla ben nota curiosità di lei.
“Bene, accetto! Purché la notizia sia veramente straordinaria”.
“Giudica tu – intervenne Brent con gli occhi brillanti di malizia – Ashley Wilkes annuncerà domani, durante la festa, il suo fidanzamento con Melania Hamilton; sai, quella sua cugina di Atlanta che tu hai conosciuto da…”.
Rossella non ascoltava più. Il suo volto apparentemente non mutò: continuava a sorridere, ma le labbra le dolevano per lo sforzo, il cuore le batteva forte e aveva le mani fredde. Lo splendore del pomeriggio era scomparso; non vedeva l’ora che i gemelli Tarleton se ne andassero per rimanere sola.
Li accompagno fin sotto il porticato, dove erano .legati i loro cavalli, e tornò alla sua poltrona come una sonnambula. Stringeva i piccoli pugni e si mordeva le labbra, sentendosi sommergere dalla disperazione e dall’ira. Il suo volto aveva un’espressione di pena e di sbalordimento; lo sbalordimento di una bambina viziata che aveva sempre avuto tutto ciò che voleva, e ora, per la prima volta, si trovava a contatto con quello che la vita ha di spiacevole. Ashley sposava Melania! L’impetuoso sangue irlandese degli O’Hara le pulsava alle tempie e soltanto la perfetta educazione impartitale da sua madre, l’aristocratica Elena Robillard, le impediva di correre fino a “Le Dodici Querce”, entrare nella grande casa dei Wilkes e chiamare Ashley, dirgli quanto l’amava e quanto l’avrebbe reso felice, lei, Rossella, e non quell’insipida Melania…
Domani, ecco, domani lei gli avrebbe detto tutto; poi sarebbe fuggita con lui, e la sera stessa si sarebbero sposati, in qualche posto.
Se fra Ashley e Melania non vi era amore, ma soltanto un impegno preso da ragazzi, la promessa poteva essere sciolta. La Contea si sarebbe soltanto scandalizzata un pochino, ma poi tutti avrebbero accettato il fatto compiuto. Anche la mamma, il babbo e Mammy… Al pensiero della chiaroveggenza di Mammy, Rossella si senti però rabbrividire. Guai se Mammy avesse sospettato!
Mammy era negra, serviva gli O’Hara da due generazioni con dedizione assoluta e il suo senso d’orgoglio familiare era fortissimo. Mammy sapeva che da Rossella, per l’irruenza del carattere e l’appassionata avidità di vivere, ci si poteva attendere qualsiasi cosa: anche la più imprevedibile. Ma neppure Mammy avrebbe saputo prevedere ciò che sarebbe accaduto l’indomani, durante la festa a “Le Dodici Querce”.

Rossella riuscì, come aveva progettato, a trovarsi sola con Ashley per qualche minuto; dimenticando ogni ritegno e la severa educazione impartitale dalla madre, gli dichiarò il suo amore e il suo desiderio di sposarlo. La sconfitta le sembrava impossibile: era convinta che il suo fascino fosse un’arma capace di vincere ogni ostacolo.
Ma Ashley Wilkes, raffinato e colto gentiluomo, amava davvero la dolce e sensibile Melania, che era tanto simile a lui e lo comprendeva profondamente. Li accomunava la passione per i libri, per la musica e la poesia. Egli era incantato dalla bellezza, dalla vivacità, dalla gioia di vivere di Rossella, ma non aveva mai pensato di poterla sposare un giorno: era troppo diversa da lui e ben presto avrebbe odiato tutto ciò che egli amava; proprio per questo non aveva mai oltrepassato con lei i limiti dell’amicizia.
Ashley le disse tutto questo, soffrendo per l’umiliazione che era costretto a infliggerle.
Umiliazione e furore: Rossella odiò Ashley, odiò se stessa, odiò il mondo intero.
Fu in quello stato d’animo che un’ora dopo decise di accettare l’improvvisa proposta di matrimonio di Carlo Hamilton, il giovane fratello di Melania. Spinta soltanto da un infantile desiderio di rivalsa, divenne così la signora Hamilton un giorno prima che Melania, sua cognata, diventasse la signora
Wilkes: quindici giorni -dopo la festa a “Le Dodici Querce”.
Era la primavera del 1861. Un fidanzamento così breve sarebbe stato impossibile in tempo di pace. Ma il Sud era in fiamme per la guerra, i giovani correvano ad arruolarsi e tutto prendeva un ritmo rapido, convulso.
Era una guerra civile, fratricida. Combattevano perché fosse conservata la schiavitù dei negri, che gli stati del Nord volevano abolire. Vi furono dozzine di matrimoni in quei giorni, e nessuno ebbe il tempo di stupirsi troppo per la decisione affrettata di Rossella. Quando ella discese al braccio di Geraldo la scalinata di Tara e vide Ashley accanto a Melania, le sembrò di sognare.
“È un incubo – si -disse – mi sveglierò e troverò che era un incubo”. Non aveva mai amato tanto Ashley come in quel momento.

Due mesi dopo era una vedova di guerra e, con suo grande sgomento, seppe con certezza che avrebbe avuto un bambino. Pianse di disperazione, desiderò di morire e quando Wade venne alla luce le sembrò impossibile che fosse suo, parte di lei. Cercò di nascondere il suo scarso affetto per il piccino. Era stordita e sofferente e tutti attribuivano alla vedovanza la sua espressione addolorata.
Ma non era affatto cosi: Rossella era malata di noia. Nella Contea tutti i giovanotti interessanti erano partiti per la guerra; non vi era più un divertimento né una manifestazione di vita sociale. Una vera desolazione. Per di più era vedova e doveva lasciar credere di essere inconsolabile. Una vedova doveva portare degli orribili abiti neri, senza una guarnizione per ravvivarli; le vedove non potevano chiacchierare né ridere forte: anche quando sorridevano, il loro doveva essere un sorriso triste e tragico.
Era davvero troppo per il suo carattere.
Perciò accolse come un diversivo l’invito di sua cognata Melania a recarsi da lei ad Atlanta. Il pensiero che avrebbe potuto rivedere Ashley la elettrizzava. Da molti mesi Ashley Wilkes era al fronte e presto gli sarebbe toccata una licenza premio. Rossella l’avrebbe atteso ad Atlanta: il fatto che egli fosse il marito di Melania le sembrava trascurabile, né la commovevano la dolcezza e l’affetto che la cognata le dimostrava.
Per quattro mattine alla settimana Rossella prestava servizio in ospedale insieme a Melania, che, sebbene fosse in attesa di un bimbo, nell’assistenza ai feriti non si risparmiava. Eccettuati gli ammalati e i feriti gravi, ad Atlanta Rossella frequentava soltanto donne; era una gran noia, ma non v’era alcun mezzo per porvi rimedio. L’unico diversivo erano le rare visite del capitano Rhett Butler, divenuto l’eroe del giorno dopo che era riuscito a forzare con le sue navi il blocco nordista. Più cavaliere di ventura che gentiluomo, era tuttavia un uomo straordinariamente affascinante.
Si diceva che una ragazza non era mai sicura quando stava sola con lui. Se non vi fossero state le particolari condizioni del tempo di guerra, il capitano Butler non sarebbe mai stato ricevuto nelle aristocratiche case di Atlanta, ma il fatto che le sue navi riuscissero a portare nel Sud le merci e le armi di cui v’era tanto bisogno, era più valido di qualsiasi pregiudizio.
Poiché era l’uomo più popolare e più ro- mantico della città, Rossella l’avrebbe visto volentieri ai suoi piedi; ma si rese conto ben presto che Rhett non era affatto una conquista facile. Non le sarebbe mai riuscito di imbrogliarlo con le sue moine. Gli occhi neri di lui, brillanti di allegra ironia, le facevano capire di essere compresa e valutata fino in fondo. Con Rhett era inutile recitare: scopriva subito il gioco e mostrava troppo di divertirsene.

Dopo tre anni dall’inizio della guerra, si cominciarono a scavare trincee in difesa di Atlanta: perdere la città significava perdere ogni speranza di vincere la guerra. L’assedio durò tutta 1’estate e alla fine d’agosto Atlanta fu costretta alla resa. Proprio in quel terribile giorno Melania diede alla luce il suo bambino. Rossella fece del suo meglio per assisterla, poiché non v’erano medici né infermiere: migliaia e migliaia di feriti erano giunti in città e non c’erano mani sufficienti a soccorrerli.
Rossella aveva promesso ad Ashley che avrebbe vegliato su Melania e sul suo bambino, e a ogni costo voleva mantenere la promessa. Avrebbe portato a Tara Melania e il piccolo; le occorrevano un carro e un cavallo, ma presto, il più presto possibile da un minuto all’altro Atlanta poteva essere occupata dai Nordisti. Rhett Butler riuscì a procurarle una carretta e un vecchio ronzino che camminava a fatica. La povera Melania, col suo bambino stretto fra le braccia e il piccolo Wade accanto, fu distesa sul fondo e Rossella montò a cassetta accanto a Butler, che non smetteva un attimo di canzonarla, malgrado la tragicità di quei momenti.
Usciti dalla città già in fiamme, giunsero sulla strada per Tara; Butler consegnò le redini a Rossella e la guardò gravemente.
“Vi lascio – disse – perché potete cavarvela da sola. Adoro combattere per le cause perse; vado ad arruolarmi”. Fu per lei un colpo terribile. Ma, nonostante i suoi insulti e le sue maledizioni, che sembravano divertirlo, Rhett se ne andò davvero.
Il sangue irlandese di Rossella non le permise di abbandonarsi alla disperazione. Viaggiò buona parte della notte e tutto il giorno dopo, tornando sempre allo stesso pensiero: devo arrivare a Tara; devo salvare Melania e il bambino; l’ho promesso ad Ashley. Quasi a ogni passo le si presentavano orribili visioni di distruzione e di morte. Ogni casa smantellata, ogni camino che sembrava far da sentinella a rovine annerite dal fumo aumentava il suo spavento. Dalla sera prima non avevano visto un essere umano o un animale vivente. La campagna sembrava sotto un tremendo incantesimo. Cercava di non guardare, di non udire le urla e i lamenti dei feriti, il vagito sempre più fievole del bambino di Ashley e il pianto del piccolo Wade, Quando finalmente riuscì a distinguere nell’oscurità i muri bianchi di Tara, lasciò cadere le briglie e corse avanti, col pazzo desiderio di stringere la .sua casa fra le braccia. Ora, finalmente, sua madre avrebbe avuto cura di lei, di Melania, di tutti loro. 
Ma sua madre era morta, il giorno prima, di tifo. Glielo disse suo padre, con l’espressione sgomenta di un bimbo abbandonato: era un piccolo vecchio accasciato, faceva discorsi insensati, in cui ricorreva continuamente il nome della moglie, come un richiamo dolce e accorato. 
La piantagione era devastata, i negri fuggiti, fuorché i tre domestici più anziani, fedelissimi: per loro la liberazione dalla schiavitù non aveva -alcun significato. Mammy, invecchiata e stanca, era l’immagine stessa del dolore. Sembravano tutti istupiditi dalla paura e dalla fame. Questa era Tara; il paradiso sognato nel1’angoscia del lungo cammino.
Di fronte a tanto sfacelo, Rossella diventò di colpo adulta: una donna decisa, dura, inflessibile. Mise tutti al lavoro, lei stessa lavorò fino ad avere le mani piagate. Comprese che 1’unico modo di sopravvivere era quello di coltivare la terra, la bella terra rossa di Tara, così feconda di frutti. Non v’era denaro per pagare le tasse e Rossella lo trovò nel1’unico modo che le si offrì: sposò Franco Kennedy, il maturo corteggiatore di sua sorella Susèle, proprietario di un avviato negozio ad Atlanta. Per salvare Tara avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Ashley, tornato dalla guerra qualche mese prima, non poteva esserle di nessun aiuto, privo com’era di senso pratico. Rossella continuava ad amarlo e non le sembrò di tradire il suo amore per lui sposando quel buon Franco Kennedy, di cui non le importava niente. Si stabili ad Atlanta e smise alla testa degli affari: in pochi mesi fu quasi ricca, una ricca vedova, perché Franco Kennedy fu ucciso durante una spedizione punitiva organizzata contro malviventi negri.

Lo stesso giorno dei funerali di Franco, il capitano Rhett Butler venne a far visita a Rossella. “Devo partire per affari oggi stesso – disse col più sfacciato dei suoi sorrisi – e temo che se aspetto il mio ritorno vi troverò sposata con qualcuno che ha un po’ di denaro. Non posso passare tutta la vita a cercare di afferrarvi tra un marito e l’altro!”. Rhett la prese fra le braccia e dopo un attimo Rossella si accorse di ricambiare il suo bacio: si svegliavano in lei sensazioni che non aveva mai conosciuto.
Stordita, tremante, gli disse di sì, che lo avrebbe sposato, quasi obbedendo a una volontà più forte della sua. Era certa di non amarlo, ma le piaceva enormemente. Nessuno, mai, era riuscito a turbarla in quel modo.
Per qualche mese la vita in comune con Rhett fu assai divertente. Ogni desiderio o capriccio di Rossella era immediatamente esaudito, Butler era generoso. Sì, la vita con lui era veramente piacevole… tranne quando il ricordo di Ashley occupava i suoi pensieri. Allora Rossella sospirava e gli occhi di Rhett si incupivano. Egli sembrava intuire quanto fosse lontano il pensiero di lei, L’amava come un pazzo, ma sarebbe morto piuttosto che confessarlo. Aspettava che lei si svegliasse dal lungo sogno che la teneva prigioniera da tanti anni e si accorgesse che la felicità vera era lì, al suo fianco, bastava stendere la mano. Spiava in lei ogni sfumatura dei suoi sentimenti, sperando di cogliervi un segno di tenerezza, di amore. Per anni e anni l’amò quanto è possibile per un uomo amare una donna, convinto che sarebbe riuscito a farsi amare, a farle dimenticare Ashley, il romantico amore del1’adolescenza.
La tragica morte di Diletta, la loro bella bambina, anziché unirli li separò ancor di più Sembrava provassero gusto a ferirsi. Ad un certo punto la loro vita in comune diventò inferno, finché l’amore di Rhett fu logorato dal troppo lungo patire.
Per anni Rossella aveva inconsciamente goduto del calore di quella passione, ne aveva tratta la propria forza; ma solo quando quel calore le mancò, capì di amare Rhett e glielo disse. Troppo tardi: egli ormai non l’amava più.
Era un fatto che Rossella O’Hara non poteva e non voleva accettare: non era mai esistito un uomo che lei non potesse avere, se lo voleva. Tranne Ashley, s’intende… Ma Ashley era stato un sogno, niente altro che un romantico sogno di fanciulla e in realtà ella non lo aveva mai veramente amato: se ne accorse improvvisamente dopo che anche la dolce Melania mori, lasciando il marito annientato e privo di forze come un bambino.
Quando Rhett partì, forse per sempre, e Rossella si trovò so1a, capì che aveva perduto Rhett perché non lo aveva compreso.
Si sentì smarrire, conscia, per la prima volta in vita sua, che non aveva mai compreso nessuno al mondo. Doveva imparare, con umiltà e pazienza, se voleva riconquistare Rhett, il solo uomo da cui voleva essere amata.
Nella solitudine e nell’angoscia dell’abbandono, Rossella sentì che l’unica cosa da fare, subito, il giorno dopo, era di tornare a Tara, nella grande casa bianca della sua giovinezza. Là si sarebbe rifugiata perché là poteva soffrire e sanare le sue ferite: là avrebbe riflettuto sul modo di convincere Rhett che si poteva ricominciare tutto da capo, insieme, e recuperare gli anni perduti. “Penserò a tutto questo domani, a Tara; – si disse – sarò più forte, allora… Dopo tutto, domani è un altro giorno”. 

Conclusioni

Quando Via col vento apparve in America ebbe subito un successo colossale, incredibile, confermato da quello del film omonimo, che nel 1938 fece letteralmente impazzire gli americani e fu applauditissimo anche in Europa. Il libro, tradotto in molte lingue, incontrò ovunque il favore del pubblico.
Eppure non è un’opera priva di difetti. Nuocciono al racconto le frequenti lungaggini, disattenzioni e ripetizioni. Inoltre, la visione storica è tutt’altro che obiettiva: sembra che tutte le ragioni siano del romantico Sud. Il motivo del suo strepitoso successo sta nel fatto che Via col vento è un libro romantico e appaga il desiderio di emozioni, di sogni e di ideali che è nel cuore di ciascuno. In esso troviamo la guerra, l’amore, la passione. Ci sono i giardini con gli alberi secolari, il chiaro di luna, le sere stellate e le canzoni del Sud. C’è il melanconico rimpianto di una società aristocratica e raffinata che la guerra ha cancellato per sempre. L’autrice ha saputo far rivivere lo spirito indomito del Vecchio Sud, che non riesce ad accettare la sconfitta né il nuovo mondo, con le sue moderne concezioni di vita. È difficile non commuoversi alla descrizione di tanti giovani morti, delle belle case distrutte, delle piantagioni devastate. I lettori sono incantati dalla dovizia di scene piene di verità, intense di colore; attraverso i personaggi del romanzo rivivono le tradizioni e il carattere di una società romantica e affascinante.

Voto

5/5

Citazioni

Penserò a tutto questo domani, a Tara. Sarà più forte, allora. E troverò un modo per riconquistarlo. Dopotutto, domani è un altro giorno.

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