IL POSTO DELLE FRAGOLE – Ingmar Bergman

IL POSTO DELLE FRAGOLE

Titolo originale – Smultronstället
Lingua originale – Svedese, latino
Paese di produzione – Svezia
Anno 1957
Durata 91 minuti
Dati tecnici – B/N
Genere – Drammatico, sentimentale
Regia – Ingmar Bergman
Soggetto – Ingmar Bergman
Sceneggiatura – Ingmar Bergman
Produttore – Allan Ekelund
Casa di produzione – Svensk Filmindustri (SF)
Fotografia – Gunnar Fischer
Montaggio – Oscar Rosander
Musiche – Erik Nordgren
Scenografia – Gittan Gustafsson
Costumi – Millie Ström
Trucco – Nils Nittel

Interpreti e personaggi

Victor Sjöström: Isak Borg
Bibi Andersson: Sara
Ingrid Thulin: Marianne
Gunnar Björnstrand: Evald
Jullan Kindahl: Agda
Folke Sundquist: Anders
Björn Bjelfvenstam: Viktor
Naima Wifstrand: signora Borg
Gunnel Broström: signora Alman
Gertrud Fridh: Karin Borg
Sif Ruud: zia Olga
Gunnar Sjöberg: Sten Alman / l’esaminatore
Max von Sydow: Henrik Åkerman
Åke Fridell: amante di Karin
Yngve Nordwall: zio Aron
Per Sjöstrand: Sigfrid Borg
Gio Petré: Sigbritt Borg
Gunnel Lindblom: Charlotta Borg
Maud Hansson: Angelica Borg
Ann-Marie Wiman: Eva Åkerman
Eva Norée: Anna Borg
Lena Bergman: Kristina Borg
Monica Ehrling: Birgitta Borg

Doppiatori italiani

Amilcare Pettinelli: Isak Borg
Maria Pia Di Meo: Sara
Rina Morelli: Marianne
Cesare Barbetti: Evald
Lydia Simoneschi: Agda
Massimo Turci: Anders
Tina Lattanzi: signora Borg
Wanda Tettoni: signora Alman
Dhia Cristiani: Karin Borg
Lola Braccini: zia Olga
Gualtiero De Angelis: Sten Alman / l’esaminatore
Nino Pavese: Henrik Åkerman
Gino Baghetti: zio Aron
Sergio Graziani: Sigfrid Borg
Flaminia Jandolo: Eva Åkerman

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VIDEO – IL POSTO DELLE FRAGOLE – Ingmar Bergman

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Fra tutti i film di Bergman Il posto delle fragole è il più famoso. È, quello che ha dato al regista notorietà internazionale, è quello più osannato dalla critica, è quello rimasto maggiormente impresso nella memoria collettiva. Sarà bene ricordare che quando, nel 1989, l’Ente dello spettacolo organizzò un referendum intitolato Top ten films per stabilire quali fossero secondo pubblico e critica i film ritenuti migliori di tutta la storia del cinema, il pubblico indicò Via col vento e la critica Quarto potere. Ma quando i dieci film indicati dalla critica ei dieci film indicati dal pubblico vennero proiettati a Roma in una rassegna competitiva (per una ulteriore verifica, non più sul filo del ricordo, ma dopo una nuova visione a distanza di tempo), il giudizio finale degli spettatori collocò al primo posto, inaspettatamente, proprio Il posto delle fragole. Il film già al suo apparire, nel 1958, aveva ricevuto l’Orso d’oro a Berlino e il premio della critica a Venezia. Il posto delle fragole nacque in un momento di intensa attività dell’autore, specialmente sui palcoscenici teatrali. Bergman vi si dedicò con molta partecipazione, tanto che alla fine fu costretto a trascorrere alcuni mesi in clinica per un forte esaurimento nervoso.

TRAMA – Il professor Isak Borg, allo scrittoio, si interroga sulla sua condizione di anziano: “I nostri rapporti col prossimo si limitano per la maggior parte al pettegolezzo e a una sterile critica del suo comportamento. Questa constatazione mi ha lentamente portato a isolarmi dalla cosiddetta vita sociale e mondana. Le mie giornate trascorrono in solitudine”. Batteriologo di fama, settantottenne, Isak ha dedicato la vita alla professione. Ha un figlio medico, Evald, sposato, senza bambini. Ha ancora la mamma ultranovantenne, donna vivace malgrado l’età. La moglie è morta da qualche anno; il loro non è stato un matrimonio felice. Il professore, che si autodefinisce cocciuto e pedante, vive solo con la brava e fedele governante Agda.
È domenica. Il vecchio deve recarsi da Stoccolma a Lund dove sarà festeggiato il suo giubileo professionale. Ma la giornata comincia con un incubo. Egli si trova solo in una città sconosciuta. Gli orologi non hanno lancette. Un uomo senza volto si affloscia a terra. Un carro funebre sbatte contro un lampione, la bara cade a terra. Esce una mano che prende il braccio del professore e lo tira a sé. Isak riconosce nel volto del morto il proprio volto. Al risveglio Isak chiede alla governante la colazione. È presto, ma egli ha deciso di non prendere l’aereo; andrà in macchina e ha bisogno di tempo per il viaggio. La governante lo rimprovera e gli dice che non andrà con lui, ma gli cuoce due uova. Arriva Marianne, la nuora, che gli chiede di fare il viaggio insieme. ln auto, Marianne rimprovera al vecchio l’avarizia nei riguardi del figlio. Una piccola deviazione dall’itinerario porta i due nella casa dove il vecchio ha vissuto fino a vent’anni con i suoi nove fratelli e sorelle. Isak rievoca gli anni della gioventù. Rivede la cugina Sara, che egli amava ma che non riuscì a sposare. La donna è con un altro cugino, Sigfrid, che diventerà suo marito. Sta cogliendo le fragole per lo zio Aron che compie gli anni, ma Sigfrid la distrae e la bacia. Quando tutti sono a tavola, due antipatiche gemelline (una di esse è interpretata da Lara Bergman, figlia primogenita del regista) raccontano a tutti quanto hanno visto e Sara si allontana piangente. Una giovane molto somigliante a Sara (ha anche lo stesso nome ed è impersonata dalla stessa attrice, Bibi Andersson) distoglie Isak dai suoi pensieri e gli chiede un passaggio per sé e per due amici. Il vecchio accetta e l’auto riparte. A una curva accade un lieve incidente. L’auto che incrocia quella di Isak si ribalta. Ne escono, illesi, un uomo e una donna. Sono una coppia infelice. Presi a bordo a loro volta, rendono intollerabile con i loro continui battibecchi la convivenza nell’auto, e vengono fatti scendere.
Lungo l’itinerario c’è la località dove vive l’anziana mamma di Isak. Si decide per una breve visita, dopo aver fatto rifornimento da un benzinaio che rievoca il comportamento generoso del professore in gioventù e dopo aver pranzato in una trattoria. Durante pranzo ha luogo tra i due giovanotti, uno credente, l’altro ateo, un’accesa discussione sull’esistenza di Dio. Si chiede un parere al professore, che lo rifiuta. Ma una risposta è data in chiave poetica, quando Isak e la nuora recitano questi versi: “La sua presenza è indubbia e io la sento in ogni fiore e in ogni spiga al vento…”. “L’aria che io respiro e dà vigore del suo amore è piena». Durante la visita, la mamma di Isak mostra a lui e a Marianne vecchie foto e vecchi giocattoli. Si lamenta della sua solitudine, nonostante i venti nipoti e i quindici pronipoti viventi.
Si riprende il cammino. Marianne guida, Isak si assopisce e ha un altro incubo. Sara, giovane, lo induce a guardare la sua immagine di anziano in uno specchio e gli annuncia la morte imminente. Poi gli dice che sposerà il suo antagonista Sigfrid. Va ad accudire il suo bambino, si chiude in casa con il marito. Isak bussa ma viene ad aprirgli un acido docente universitario che lo accompagna in classe, gli chiede il libretto, lo interroga contestandogli le risposte e trattandolo da incompetente. Gli insegna che primo dovere di un medico è chiedere perdono. Lo accusa inoltre di indifferenza, egoismo, incomprensione. Gli commina la condanna: la solitudine. Risvegliatosi, il professore confida a Marianne: “Sono morto pur essendo vivo”. La donna gli confida a sua volta i difficili rapporti col marito, che non vuole il figlio in arrivo.
Il viaggio ha termine. Suocero e nuora arrivano a casa di Evald e vi trovano la governante: pur brontolando, è venuta ugualmente, in aereo. Tra suoni di campane e squilli di tromba comincia la cerimonia. Viene letta la formula in latino, mentre il vecchio decide di mettere per iscritto l’esperienza di quella giornata particolare. Qualcosa in lui è mutato. A sera tratta con inusitata gentilezza la governante, poi tenta di facilitare la riconciliazione tra il figlio e la nuova. Infine si addormenta ripensando ancora ai momenti felici dell’infanzia, e in particolare all’immagine dei genitori.

COMMENTO – Il posto delle fragole, serena meditazione sulla vita e sulla morte, è una storia di conversione, perché il vecchio al termine dell’itinerario che si snoda attraverso il racconto, e alla fine dell’itinerar1o terreno, cambia atteggiamento nei confronti del prossimo rammaricandosi ,per il suo egoismo e per la sua freddezza. È un film della nostalgia per la giovinezza, l’estate che è passata e che non potrà più tornare. È un film sugli affetti come valore primario della vita.
La costruzione è perfetta, L’intrecciarsi tra realtà, sogni e ricordi è dato da una sceneggiatura rimasta come un classico nella storia del cinema. Un apporto non indifferente è costituito dagli attori, a cominciare da quel Victor Sjöström la cui maschera campeggia praticamente sullo schermo dal principio alla fine. Sjöström, che è stato uno dei maggiori registi” e attori svedesi, aveva 78 anni, la stessa età del suo personaggio (morì pochi mesi dopo l’uscita del film, il 4 gennaio 1960). Bergman volle fare un omaggio al suo maestro, e il maestro ripagò l’allievo con un’interpretazione da antologia.
A differenza di molti altri film di Bergman qui tutto è lineare, nulla è oscuro. I pochi simboli sono chiarissimi, a cominciare dall’orologio senza lancette che indica la fine del tempo, e che il vecchio vede dapprima nell’incubo, poi tra gli oggetti che gli vengono mostrati dall’anziana madre. L’itinerario dal primo incubo al rassicurante sogno finale è quasi un inno alla vita e una esortazione a capirne la bellezza nel rapporto con gli altri. Il comportamento giullaresco dei tre giovinastri accettati come compagni di viaggio esprime la spensieratezza di una gioventù gaia, ma tutt’altro che superficiale: tanto è vero che il tema del grottesco litigio tra i due giovanotti è l’esistenza di Dio. La risposta dell’anziano e della donna matura è in chiave poetica, allusiva, ma certamente non negativa. Qui il problema religioso è sfiorato con delicatezza, ma Bergman non rinuncia alla lezione sull’amore come momento di soluzione di ogni crisi, anche intellettuale. “Sono morto pur essendo vivo”, dice alla nuora il professor Isak che ha dimenticato l’amore. “Vorrei essere morto”, dice Evald alla moglie nel rifiutare l’amore che dà la vita a un nuovo essere umano.
Non poche sono le somiglianze con Il settimo sigillo. La minaccia incombente è sempre la morte. La partita a scacchi questa volta è costituita dal confronto con il proprio passato. Lo strumento del sogno è particolarmente caro a Bergman (“I sogni riescono a dirmi molte cose; non nel modo freudiano, ma in un senso totalmente umano”) e gli consente di assaporare il gusto della libertà narrativa. Col tempo il regista si allontanerà sempre più dal realismo per addentrarsi in una sperimentazione linguistica basata sull’essenziale, più sui pensieri e sulle sensazioni che sugli eventi.
Il posto delle fragole è anche un film sul tempo, sul cambiamento, sulla paura, sulla maschera. Il tempo è il protagonista del racconto sia nel confronto tra le diverse epoche presentate, sia nel contrasto tra le generazioni. Il cambiamento uno degli incubi di Bergman, è un fattore positivo nella metanoia del protagonista, ma è un fattore negativo nel rivelarsi delle crisi di coppia (i due occasionali passeggeri, lo stesso Isak e la moglie). La paura è presente nel bimbo che Sara, nel ricordo, toglie dalla culla per consolarlo: “Non devi aver paura del letto, dei gabbiani, delle onde del mare. Non temere, fra poco sarà giorno”. Il bimbo che piange nella culla in riva al mare, esposto ai venti e alle intemperie, è l’uomo bergmaniano in crisi che ritroviamo in tutti i suoi film. C’è chi risolve la crisi mettendosi una maschera, provocando una frattura tra l’essere e il sembrare. Qui la maschera se l’è messa il professore (“Lo definiscono amico dell`umanità, mentre chi lo conosce da vicino…”). Marianne glielo dice e lo aiuta anche un po’ a togliersela per ritrovare quel che resta della sua umanità. Quello della maschera è, come molti altri, un tema con riferimenti precisi all’infanzia infelice di Bergman: “La famiglia di un prete – scrive nell’autobiografia – vive come su un vassoio, senza alcuna protezione dagli sguardi estranei… Foggiai una personalità esteriore che aveva ben poco a che fare con il mio vero io. Non riuscendo a tenere separate la mia maschera e la mia persona, ne risentii il danno fin nella vita e nella creatività dell’età› adulta. A volte dovevo consolarmi dicendo che chi è vissuto nella menzogna ama la verità”.

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