Il POEMA PEDAGOGICO – Anton Semenovic Makarenko

Il Poema pedagogico

Anton Semenovic Makarenko

 

In conseguenza della rivoluzione e della guerra civile, centinaia di migliaia di bambini, fanciulli e adolescenti russi furono vittime d’una spaventosa tragedia. Ragazzi abbandonati (bjesprizorniki) e “violatori della legge” (pravonarushitjeli) si aggiravano per il paese affrontando le più sconvolgenti esperienze: ragazzi senza famiglia, privi di assistenza, passavano dai furti alle rapine, agli omicidi…, ragazzette, preadolescenti erano dedite alla prostituzione.

(Gor’kij visitò nel 1928 la colonia diretta da Makarenko. Ecco quanto scrisse nel suo libro “Attraverso l’Unione Sovietica” riferendosi alle ragazze presenti nell’istituzione…

“Una di loro, una bella ragazza di sedici anni coi capelli rossi, gli occhi intelligenti, mi parlava dei libri che aveva letto, quando all’improvviso disse tutta seria… – Eccomi qui a parlare con voi, e solo due anni fa ero una prostituta -. La ragazza pronunciò queste parole agghiaccianti con l’aria di chi ricordi un brutto sogno”).

Il governo sovietico affrontò il doloroso fenomeno senza ricorrere ai mezzi tradizionali del carcere e dell’internamento, ma istituendo case e colonie di rieducazione. A quest’esperienza educativa è collegata l’opera svolta dal più grande educatore della Russia, Anton Semenovic Makarenko, un maestro di scuola proveniente da un breve curricolo di studi ma notevolmente colto, animato da una grande passione, da un senso mirabile del rapporto educativo, ricco di intuizioni e della capacità di tradurle in pratica e al tempo stesso di riflettervi per costruire un sistema educativo coerente, anche se non privo di unilateralità, suscettibile di essere esteso a situazioni non speciali come quella in cui egli si trovò a lavorare. Makarenko negava di avere talento, ma non c’è dubbio che ne fosse dotato in misura eccezionale.

Nato a Bjelopolje, in Ucraina, da famiglia operaia, nel 1888, Anton Semenovic Makarenko dopo il diploma e fino alla rivoluzione insegnò per lo più in scuole per figli di operai. Dalla lettura degli scritti di Gor’kij, che considerò sempre il suo maestro e verso il quale mantenne sempre un atteggiamento di devozione profonda, trasse ispirazione e chiarezza ideale e politica, che lo portarono ad orientarsi verso il socialismo e poi verso la dottrina leninista. Da Gor’kij gli venne, come scrisse e dichiarò più volte, la fiducia nella possibilità che dalla caduta del capitalismo potesse sorgere un mondo nuovo, pieno di dignità e di bellezza per l’uomo.

Nel 1920 fu incaricato di organizzare presso Poltava una colonia per bjesprizorniki, che intitolò al Gor’kij e della quale lo scrittore fu il patrono (i rapporti di Makarenko con Gor’kij risaltano dal loro epistolario, pubblicato in traduzione italiana – A.S. Makarenko, “Carteggio con Gor’kij ed altri scritti”, Roma, Armando, 1968). La corrispondenza durò dal 1925 al 1935). L’inizio della colonia fu burrascoso, com’è documentato dall’opera maggiore di Makarenko, il “Poema pedagogico” (é stata una delle opere pedagogiche più lette in tutto il mondo anche da parte di non specialisti di pedagogia)…, i ragazzi assumono un atteggiamento di ribellione, gli rendono la vita impossibile, al punto che egli giunge sull’orlo del suicidio. In un episodio dei più famosi, Anton Sjemjonovic percuote un colonista, nonostante la propria opposizione ad ogni forma di castigo corporale. Questo episodio tuttavia gli permette di conquistare la fiducia dei ragazzi e da allora ha inizio un processo nel corso del quale la colonia diviene un’istituzione pedagogicamente agguerrita, con una struttura salda, un collettivo di giovani che lavorano, studiano; alcuni passano alla rabfak (facoltà operaia) e costituiscono il primo nucleo di una schiera di migliaia di ex delinquenti e vagabondi che diventano intellettuali, insegnanti, soldati, medici, e quasi tutti gli educandi si salvano e si sviluppano come lavoratori e cittadini.

La forma organizzativa di base è il reparto, il cui comandante gode di grande prestigio. I comandanti riuniti in consiglio formano il gruppo dirigente, che affianca il direttore e trascina tutti i colonisti verso forme via via più alte di maturità civile, politica e personale. I colonisti si trasferiscono poi in un’altra colonia che trovano nel più completo abbandono e che rapidamente conquistano, formando così un nuovo più grande collettivo. Si lavora con maggior intensità, migliora il tono culturale, si organizzano attività artistiche (teatro, orchestra etc.)…, quando un colonista lascia la colonia si cerca di assisterlo, se si sposa gli viene fornita una ‘dote’. Intanto un nuovo organo si affianca agli altri: l’assemblea generale, che in determinati casi agisce con pieni poteri, in modo che nella forma di direzione e di vita della colonia si intrecciano elementi fortemente autoritari (concentrazione del governo nella persona del direttore) con forme di centralismo democratico (potere del consiglio dei comandanti) e con la democrazia di massa (Makarenko torna più volte sull’episodio dell’assemblea che gli toglie la parola e respinge anche le proposte di personaggi come i dirigenti cittadini della NKVD).

RAPPORTI BURRASCOSI CON LA PEDAGOGIA UFFICIALE

I rapporti con la pedagogia ufficiale furono burrascosi fino al 1936 quando una risoluzione del Comitato Centrale del Partito Comunista intervenne per condannare le tendenze di fondo dei pedagogisti più in auge (la condanna non va vista come un episodio della lotta fra Makarenko e i suoi avversari, naturalmente, ché egli non era ancora divenuto a sua volta un pedagogista ufficiale, ma va inquadrata nel generale indirizzo politico e culturale staliniano). Era una pedagogia non priva di elementi validi, che si richiamava agli inizi del regime sovietico, quando la generale ondata rivoluzionaria si era propagata al campo educativo, ma nel caso di Makarenko la pedagogia “libera” agì come pedagogia burocratica. I dirigenti delle organizzazioni preposte all’educazione popolare non seppero comprendere che l’esperienza makarenkiana non solo presentava successi indiscutibili, ma poteva costituire il fondamento di un’educazione socialista di massa, anche se non tutti i suoi principi erano validi in assoluto. All’educazione “libera” egli contrapponeva l’iniziativa dell’adulto, alla concezione in certa misura spontaneistica della disciplina il senso dell’onore e del dovere, ai metodi basati sulla psicologia scientifica ma spesso ridotti a formulari rigidi il principio che sono la pratica e l’ideologia a decidere il metodo e il fine del processo educativo. Egli era convinto che la sua fosse la pedagogia bolscevica, l’area pedagogica rivoluzionaria. Lo scontro con l’Olimpo pedagogico era inevitabile. Makarenko lo descrive efficacemente nel “Poema pedagogico” e in altri scritti, come il pamphlet polemico “I pedagoghi alzano le spalle”… “Nel 1927 ci presentammo davanti all’Olimpo pedagogico col nostro modesto ideale dell’operaio sovietico colto. Ci fu obiettato… – Operaio colto? E come? Precisiamo: come? – Noi esponemmo le nostre concezioni in merito alla tecnica pedagogica, che già eravamo riusciti a sperimentare in un angolo da orsi, lontano dalle vie maestre della pedagogia.

Risultato immagini per Felix Dzerzinski

Felix Dzerzhinskij, al quale venne intitolata la colonia di Makarenko

 

L’EDUCAZIONE DELL’UOMO NUOVO

«”Vogliamo educare un operaio sovietico colto, quindi dobbiamo dargli l’istruzione, possibilmente media, dobbiamo dargli una qualificazione, dobbiamo renderlo disciplinato, egli deve essere un membro della classe operaia politicamente sviluppato e devoto, un Komsomoljets, un bolscevico. Dobbiamo educare in lui il senso del dovere e l’idea dell’onore; in altre parole egli deve sentire la propria dignità e quella della propria classe ed esserne fiero, deve sentire i suoi obblighi verso la classe. Deve sapersi sottomettere al compagno e deve saper comandare al compagno. Deve saper essere cortese, buono e implacabile in relazione alle condizioni della sua vita e della sua lotta. Deve essere un attivo organizzatore. Deve essere perseverante e temprato, deve esser padrone di sé e influire sugli altri; se il collettivo lo punisce, deve rispettare sia il collettivo che la punizione. Deve essere allegro, forte d’animo, ben curato, capace di lottare e di costruire, di vivere e d’amare la vita, deve essere felice. E tale deve essere non solo in futuro, ma anche in ciascuno dei suoi giorni presenti “.

Gli ‘olimpici’ inorridirono…

” Punizione? La punizione educa lo schiavo! ”

” Il dovere è una categoria borghese! ”

” L’onore è un privilegio da ufficiali!! ”

” Questa non è educazione sovietica!!! ” » (“Carteggio”, pag. 212).

Nel 1927 la NKVD, la polizia politica, istituì una nuova colonia presso Kharkov, che fu intitolata al fondatore di quel corpo, F.E. Dzerzhinskij. Makarenko fu chiamato a dirigerla. L’esperienza della comune è descritta, oltre che in “Bandiere sulle torri”, in numerosi altri scritti narrativi, saggi e conferenze, e fu la base per il lavoro di teorizzazione.

Nel 1928 Anton Semenovic lasciò definitivamente la colonia per trasferirsi alla comune, dove rimase fino a1 1935, quando fu incaricato d’un lavoro burocratico, dopo aver cercato invano d’ottenere l’assenso all’organizzazione di grandi colonie per migliaia di ragazzi. Negli ultimi anni della sua vita fu a Mosca, impegnato soprattutto nell’attività letteraria. Morì il 1° aprile 1939. Pochi giorni dopo si diffuse la notizia che la sua domanda d’ammissione al partito era stata accolta. Era sempre stato un “bolscevico senza partito”, convinto assertore del socialismo anche se talvolta si abbandonò a celebrazioni ed esaltazioni non aliene da retorica. Poche settimane prima della morte era stato insignito dell’ordine della Bandiera rossa del lavoro.

La comune fu una grande impresa anche dal punto di vista economico e produttivo; qui il lavoro era quello industriale; gli educandi lavoravano da operai e producevano strumenti di grande precisione, come le celebri FED, le prime macchine fotografiche sovietiche tipo Leica. Così la comune poté raggiungere l’autonomia finanziaria (secondo Makarenko il piano produttivo e finanziario era un grande strumento di educazione); i comunardi trascorrevano le vacanze estive viaggiando per l’Unione, spendevano decine di migliaia di rubli in biglietti per il teatro, ricevevano all’uscita dall’istituzione una somma notevole, accumulata per mezzo di versamenti in banca del salario percepito lavorando (per Makarenko il lavoro doveva essere al centro del processo produttivo, non in sostituzione dello studio né in un’unione organica di studio e lavoro. I due aspetti dovevano essere paralleli e doveva trattarsi di vero lavoro produttivo, anche se comportava forme avanzate di divisione mansionistica e di parcellizzazione, e chi lavorava doveva essere salariato, negli internati come nelle scuole. Makarenko si richiamava alle note tesi di Marx secondo cui i fanciulli avrebbero dovuto unire lo studio al lavoro di fabbrica [per le idee educative di Marx e dei classici del marxismo, vedi A. Manacorda, “Il marxismo e l’educazione”, Roma, Armando, 1964, vol. I]. Com’è noto, la scuola sovietica dopo Lenin abbandonò il lavoro e divenne una scuola prevalentemente intellettualistica. Su questo punto Makarenko restò più o meno esplicitamente all’opposizione), e infine la comune versava ingenti quantità di denaro allo Stato.

Makarenko era convinto del diritto dello Stato a dirigere l’educazione come dirigeva tutta la società a partire dall’economia; lo sviluppo dell’educazione e della scuola doveva essere diretto secondo i principi e le finalità a cui s’indirizzava la vita politica generale; erano il partito, il “Komsomol”, l’Armata rossa, le grandi istituzioni dello Stato e della società ad imprimere la direzione al lavoro educativo, e tutta la società era impegnata nell’educazione. La scuola doveva essere un momento, non il solo ma uno dei più importanti, di questo insieme di azioni pedagogiche al cui fondo stava la formazione dell’uomo nuovo, il socialista, il bolscevico, devoto alla propria classe e alla causa internazionale dei lavoratori. In una società socialista l’ideale dell’uomo era il collettivista, e tutti gli ambienti in cui avveniva la sua maturazione fin dall’infanzia dovevano essere dei collettivi, inseriti in un sistema sempre più vasto di collettività che andavano dalla famiglia, alla scuola, alla società, allo Stato, all’esercito e i combattenti per il socialismo. Per l’educatore ucraino non esisteva una via di mezzo fra l’individualista e il collettivista: o s’impara ad opporsi alla società socialista e s’impara a vivere in essa e per essa, dedicandosi sino in fondo allo sviluppo del proprio collettivo e dei collettivi più elevati.

“Il collettivo è un vivo organismo sociale che in tanto è un organismo in quanto possiede organi, cioè pieni poteri e responsabilità, interdipendenza e correlazione delle parti, e se questa non c’è allora non c’è il collettivo ma semplicemente un assembramento o una folla”. (“Corrispondenza”, pag. 228).

La definizione corrente del collettivo come un gruppo di uomini che interreagiscono e reagiscono in modo omogeneo ai medesimi stimoli per lui era soltanto la definizione di un aggregato animale: il collettivo doveva essere una sintesi di personalità, non una somma, doveva costituire la ragion di essere dell’educazione, il suo oggetto e il suo soggetto, il centro dell’attenzione e dell’iniziativa, lo scopo ultimo e il principio primo. Il nesso del collettivo pedagogico (composto dei collettivi in cui sono organizzati gli educandi e del collettivo degli educatori) con tutto il resto della società permette di risolvere, secondo Makarenko, il vecchio problema se l’educazione sia preparazione alla vita o vita: i giovani comunardi non erano dei ‘fanciulli’ da educare come singoli individui in attesa d’essere immessi nel vivo dell’esperienza vitale e sociale, ma “cittadini di pieno diritto delle repubbliche sovietiche”. La loro educazione era una produzione e doveva essere una produzione priva di scarti: se non si tolleravano sprechi nell’industria com’era possibile tollerarli nella produzione di uomini? E in una simile produzione era lecito correre rischi (Del rischio in educazione Makarenko parla più volte, sia negli scritti riprodotti nell’opera sopra citata sia in altri, come ne “L’educazione in famiglia e a scuola”…, in “Opere”) purché si agisse con maestria e si tenesse conto di reali possibilità ed esigenze sociali e perciò individuali. Educazione collettivistica significava abolizione del tradizionale binomio maestro-scolaro da sostituirsi con un più vasto intreccio di relazioni fra collettivi adulti e infantili, in cui la personalità trovasse la forma e la via per la propria maturazione completa proprio nella dedizione alla collettività.

 

 Un ragazzo russo trascina i cadaveri di due fratellini morti di stenti

 

LO SPIRITO DEL COLLETTIVO

Nel collettivo di base, il reparto, i rapporti devono essere caratterizzati da un particolare e intenso spirito cameratesco, di assistenza, aiuto reciproco, rispetto, soprattutto da parte dei più anziani verso i più giovani e specialmente í novellini, anche se, come ho già detto, ci deve essere la capacità di comandare e obbedire.

Mentre le opere più note presentano il collettivo in azione, altri scritti meno noti in Italia o non ancora tradotti contengono analisi sulla struttura e l’organizzazione. Il comandante era eletto per non più di qualche mese, per evitare che divenisse un ‘funzionario’ e restasse un plenipotenziario riconosciuto e stimato, ed anche perché il maggior numero possibile di educandi imparasse a dirigere. Come già detto, l’assemblea generale acquistò crescente importanza. Essa, scriveva Makarenko, “deve essere considerata dall’amministrazione e dagli educandi come l’organo principale di autogoverno e la sua autorità deve essere sostenuta a fondo da tutte le forze dell’istituzione” (Metodologia per l’organizzazione del processo educativo, in “Carteggio”, pag. 119.). Anche se l’assemblea è talvolta descritta come un vero organo di democrazia diretta, Makarenko non nega che si debba cercare di dirigerla, ma senza imporsi ad essa in modo burocratico.

L’educatore ucraino era fautore di una disciplina severa, rigorosa, ma non rigidamente impositiva; contava la persuasione, l’inserimento reale nel collettivo, lo sforzo, la tensione, e la disciplina significava garanzia per l’individuo di libertà e protezione. In ogni caso essa era più il risultato che lo strumento del processo educativo: non l’addestramento meccanico ad obbedire ma la scelta consapevole per maturata coscienza dei compiti e dei diritti stava al fondo dell’impostazione disciplinare. Il mezzo era invece il regime, cioè l’insieme degli atti di ogni giorno, riguardanti la puntualità, l’ordine, la pulizia. In questo campo si nota uno stile ‘militaresco’ (attenti, passo di parata, esercitazioni sul terreno, sentinelle col fucile, un cerimoniale speciale relativo alla bandiera) che tuttavia l’autore in certi momenti dichiarava doversi usare con moderazione, evidentemente rendendosi conto dei pericoli del formalismo. La disciplina insomma era il coronamento di un’opera complessa d’ influenze educative, dello sforzo, dell’impegno per la realizzazione di prospettive sempre più lontane e sempre meno individuali.

Anche in tema di castighi, oltre a condannare ogni forma di punizione corporale, Anton Semenovic scrisse pagine interessanti: posso considerare la questione delle punizioni insieme con quella delle esigenze; per l’educatore ucraino quanto più si esige dall’uomo tanto più gli si dimostra rispetto; non la vita facile, il lassismo morale, ma l’appello a tutte le forze della personalità e a tutti gl’interventi del collettivo per la marcia in avanti costituiscono in questa pedagogia della lotta la garanzia che la personalità di un individuo cresca insieme con quella di tutti i suoi compagni, e questa è la forma vera di rispetto. Anche nel campo delle punizioni, solo chi è veramente degno di rispetto, perché già gli si possono imporre grandi esigenze, il comunardo formato, liberato dalla sporcizia delle precedenti esperienze, merita la punizione. A parte le forme più gravi, come l’espulsione, per lo più decretata dall’assemblea di solito per violenza contro i compagni, furto, ubriachezza, la punizione vera era costituita dagli arresti, che il comunardo punito scontava, nel momento da lui scelto, trascorrendo alcune ore nell’ufficio del direttore. Per gli altri, i nuovi, quelli non ancora insigniti del titolo di comunardi, potevano essere usati mezzi come la corvée o semplicemente l’invio fuori per commissioni, o la proibizione di recarsi in libera uscita, o la trattenuta e il versamento in banca del denaro per le piccole spese, o anche nessun intervento: in definitiva come punire chi non era ancora emendato dalle incrostazioni della vita precedente?

Makarenko dedicò alcuni scritti, dei quali sono stati tradotti i più importanti, alla famiglia come collettivo. Composti nell’epoca in cui il regime vedeva nella famiglia un’istituzione fondamentale, questi scritti sono spesso tradizionalisti, ma conserva tutto il suo valore la concezione che la famiglia adempie al compito educativo solo se si inserisce nella rete dei collettivi sociali e pone a se stessa e perciò ai ragazzi esigenze e prospettive stimolanti, lo sforzo, ma anche la possibilità di essere felici. Inaccettabili invece, per lo più, le idee makarenkiane in fatto di educazione sessuale.

Non ho voluto qui né celebrare Makarenko, né riassumerne tutto il pensiero, ma solo richiamare l’attenzione su questo educatore che occupa un posto di rilievo nella storia della pedagogia non solo russa e non solo socialista. Non è possibile naturalmente comprendere fino in fondo il suo valore e i suoi limiti se non leggendone gli scritti, i più belli e più noti e quelli che sono stati pubblicati in Italia (*). Ma occorre chiedersi che cosa rappresenta Makarenko per chi persegue un ideale socialista, oggi, in situazioni di luogo e di tempo così diverse da quelle in cui si compì la sua esperienza.

UNA CONCEZIONE COERENTEMENTE COLLETTIVISTA

Makarenko è forse il più coerente sostenitore di una concezione collettivista della formazione umana. Non perché, come qualcuno ha detto, egli volesse l’annullamento dell’individuo, delle sue qualità personali per effetto d’una tirannia del gruppo, ma perché nel collettivo, cioè nell’associazione stretta di persone che cooperano ad un fine comune dal quale traggono giustificazione sia l’esistenza del gruppo che l’attività dei singoli componenti, vedeva la possibilità di promuovere la persona. Nella sua teorizzazione egli non badò a distinzioni sottili, diede qualche volta l’impressione che a suo parere il collettivo avesse il diritto di sacrificare l’individuo. Ma se si esaminano gli scritti, là dove descrive se stesso intento ad un colloquio con un ragazzo o una ragazza, o dove afferma il diritto di tutti alla felicità già per l’oggi, sostiene la necessità di soddisfare il bisogno del gioco, gl’interessi personali con libere attività, e ancora se si leggono le descrizioni di tanti giovani con la resa spesso tanto efficace delle differenze e particolarità individuali, se si scorrono le testimonianze di chi gli fu vicino come collaboratore o allievo, si scopre che la cura per l’individuo era un motivo costante della sua azione. Soltanto, da uomo della società collettivistica, da convinto seguace dei principi socialisti, egli faceva una scelta coerente con la definizione marxiana dell’uomo come insieme di rapporti sociali e vedeva in autentici rapporti sociali la possibilità di ricuperare all’uomo tutto il suo valore.

Questo nella Russia che costruiva il socialismo, in un paese dove non era spenta l’eco della rivoluzione. E oggi, da noi e altrove, negli stessi paesi socialisti, quale messaggio ci viene dal pensiero di questo educatore del collettivismo?’ Da noi si fa molta retorica sui diritti dell’individuo, ma poiché è retorica liberista non mi interessa. Più sincero è il discorso di alcuni esponenti del personalismo cattolico, che contrappone all’individuo la persona e a questa assegna un carattere prioritario rispetto alla società. Si deve però ammettere che il personalismo ha fatto fallimento. Nella società moderna la persona è sfruttata e avvilita, e nelle forme più avanzate di questa società non si celebra il valore e la dignità della persona, ma attraverso i consumi e la massificazione persone e individui vengono privati della loro autenticità, se ne cancella la fisionomia. A coloro che respingono la filosofia consumistica e le suggestioni dei propagandisti del benessere e contestano il potere costituito, la prospettiva collettivistica appare oggi non meno di ieri un mezzo, forse il solo, per ricuperare valori che la civiltà occidentale ha perduto.

Non certo l’accentuato statalismo, non gli elementi autoritari presenti accanto a quelli democratici, non in generale la lettera di Makarenko, ma il fondo del suo pensiero, l’ideale del collettivo come centro di riferimento per ogni forma d’organizzazione dei ragazzi come degli uomini può rappresentare oggi per la pedagogia democratica e per tutti coloro che non rinunciano alla lotta per una società in cui il libero sviluppo di ciascuno coincida col libero sviluppo di tutti, un sostegno e un programma di lotta. Nel collettivismo, nella collaborazione come ragione prima dell’agire, nella dedizione agli altri tutti insieme come premessa per rivendicare il diritto ad essere completamente se stessi, c’è forse la sola via per restituire dignità all’uomo. Makarenko diceva nel “Poema pedagogico” che in fondo si trattava, appunto, d’imparare ad essere un lottatore e un uomo.

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Di Anton Semenovic Makarenko sono stati tradotti anche i seguenti scritti…

Consigli ai genitori
I miei principi pedagogici
La prospettiva
I pedagoghi alzano le spalle
Utopia e educazione
Le mie esperienze educative
Pedagogia scolastica sovietica
Il Carteggio con Gor’kij

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Anton Semenovic Makarenko

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