ANNA BOLENA

ANNA BOLENA

Anna Bolena (Blickling Hall, 1499 – Torre di Londra, 19 maggio 1536) è stata regina consorte d’Inghilterra e Irlanda, dal 1533 al 1536, come seconda moglie di Enrico VIII Tudor. Il suo rifiuto di darsi al re come amante portò al suo divorzio da Caterina d’Aragona e fu uno dei fattori scatenanti dell’emergere della Chiesa anglicana attraverso la separazione della Chiesa d’Inghilterra da Roma. Ma come Caterina, non diede a Enrico VIII l’erede maschio che sperava. Anna Bolena cadde in disgrazia e fu decapitata per presunto adulterio e tradimento il 19 maggio 1536. Sua figlia Elisabetta I, tuttavia, salì al trono inglese nel 1558 ed è uno dei monarchi più importanti e longevi in ​​Inghilterra. La cugina di Anna, Caterina Howard, divenne la quinta moglie di Enrico quattro anni dopo la morte di Anna e fu decapitata per adulterio nel 1542.

Il carnefice di Calais non era un volgare boia come tutti gli altri. Era, a modo suo, un vero artista: si era allenato pazientemente per anni, ed era arrivato a poter offrire il meglio della sua professione a chiunque ne facesse cortese (e ben remunerata) richiesta. In quei tempi poi, e cioè nella prima metà del ’500, il lavoro non mancava: ce ne erano diverse, di teste, da far volare via con un solo colpo ben assestato, in nome della giustizia e a edificazione del popolo adunato.
Perciò, il carnefice di Calais non trovò affatto strano che lo si convocasse in tutta fretta, nella seconda metà di maggio del 1536, per un lavoro da sbrigare a Londra. Affilò per bene il suo spadone, fece i suoi pochi bagagli, e si imbarcò.
Giunto a Londra si presentò alla Torre e senza convenevoli fu alloggiato: l’esecuzione avrebbe avuto luogo di lì a poche ore, all’alba, nel cortile.
Solo la mattina dopo, seppe che la vittima era una donna: una bella donna. La vide venire avanti tranquilla, con indosso un vestito un po’ scollato e con i capelli avvolti in una preziosa rete di perle. Chissà che diavolo aveva combinato: faccende di corte, senza dubbio. Aveva colto a volo, nei corridoi, il nome bisbigliato del re, e non c’era da meravigliarsi, dato che gli intrighi di donne alla corte di Enrico VIII erano giunti fino all’orecchio del popolino.
Ai lati del cortile un po’ di folla se ne stava silenziosa. Alcuni nobili assistevano, impassibili.
Tutto si svolse rapidamente: preghiere, mormorii, poi quel momento di silenzio che c’era sempre. Un gentiluomo fece un cenno. Tutto finito.
L’essere “artisticamente” decapitata da uno dei più abili carnefici d’Europa, invece d’essere affidata a un volgare “mastro d’ascia” della Torre di Londra, fu l’ultima concessione che riuscì a ottenere la donna giustiziata quel giorno.
L’ultima di una lunga serie, che aveva portato lei, Anna Bolena, dalla condizione di piccola borghese al fasto del trono di Inghilterra.

La principessa Elisabetta I d’Inghilterra, figlia della regina Anna Bolena e di re Enrico VIII, qui ritratta all’età di tredici anni circa

UNA FAMIGLIA  DI ARRIVISTI

Quando nel 1526 Anna Bolena era stata accolta alla corte d’Inghilterra, come damigella della regina, la cosa aveva destato un certo stupore: essa non apparteneva infatti a un nobile casato, né vantava particolari meriti oltre a quello di una bellezza singolare. In realtà, la fanciulla doveva questo onore all’abilità diplomatica del padre Tommaso e ai successi mondani della sorella Maria. Suo padre era di origine borghese, ma grazie al patrimonio accumulato dagli avi nei commerci era riuscito a conquistarsi un posto a corte. Quanto a Maria, sposa di un compiacente cortigiano, era diventata una delle favorite del re. Anna, che aveva ereditato dal padre un carattere ambizioso e privo di scrupoli, non era ancora giunta alla posizione della sorella, ma mirava più in alto.
Giovanissima era stata ospite alla corte di Francia, dove aveva brillato per il suo spirito, la sua grazia e anche per una certa libertà di costumi.

Aveva già rifiutato alcuni brillanti partiti, tra cui il giovane cugino Tomaso Wyatt, che le dedicava teneri versi d’amore. Una sola sconfitta vi era da registrare nella sua scalata al successo: avrebbe desiderato sposare Henry Percy, erede del conte di Northumberland, ma in ciò fu decisamente avversata dallo zio del giovane, il potente Cardinale Wolsey, primo ministro di Enrico VIII. Anna non dimenticherai un simile affronto e saprà aspettare pazientemente l’occasione di vendicarsi.

IL GIOCO DEL GATTO COL TOPO

Enrico VIII non tardò ad accorgersi che Anna era più desiderabile di Maria. Le due sorelle avevano temperamenti diversissimi: Maria era una bellezza pacata, un’amante tranquilla; Anna, più intelligente e più scaltra, sapeva legare a sé il sovrano con un sottile gioco di seduzione, che lo lusingava e lo irritava nello stesso tempo.
Alternava atteggiamenti ingenui ad altri carichi di promesse. Ben presto il re fu conquistato. Anna intuiva di avere davanti a sé un traguardo ambizioso e affascinante: diventare regina.
E diede fondo a tutte le proprie risorse. Incominciò a giocare col re al “gioco del gatto col topo”. Dapprima respinse le sue profferte, poi ammise di ricambiare i sentimenti del sovrano, ma si guardò bene dal cedere alle sue insistenze. Il gioco si prolungava: lunghe, appassionate lettere del re, risposte enigmatiche da parte di Anna, appuntamenti più o meno segreti. La corte assisteva sbigottita a queste manovre: Enrico VIII, il cinico libertino, in balìa di una piccola avventuriera: era incredibile.
La regina, la nobile e pia Caterina d’Aragona, sopportava con regale dignità quella che riteneva un’ennesima avventura extra-coniugale del suo turbolento marito. Certo era ben lontana dal prevedere che quell’oscura borghesuccia mirasse al trono.
Enrico, esasperato dal gioco di Anna, fu il primo a parlare di matrimonio. Anna era trionfante: già si vedeva regina d’Inghilterra. Tra lei e il sovrano ormai c’era solo un ostacolo: Caterina. Ma per Caterina ci si poteva rivolgere al Vaticano. Il papa non avrebbe negato nulla al “difensore della fede”, al sovrano che era stato il più fedele paladino del cattolicesimo contro la minaccia protestante. E avrebbe annullato il matrimonio di Enrico e Caterina.
Tanto più che, da qualche tempo, il re aveva manifestato qualche dubbio sulla validità di questa unione. Prima di passare a nozze con lui, Caterina d’Aragona era stata moglie di Arturo, fratello del re. Ragioni dinastiche avevano consigliato questo matrimonio che, si diceva, non era stato nemmeno consumato. Arturo, aveva allora solo 15 anni ed era malaticcio. Caterina, rimasta prematuramente vedova, era passata a seconde nozze con Enrico VIII, dopo aver ottenuto la dispensa papale. Ma poteva considerarsi valida tale dispensa? Enrico e Caterina non si trovavano forse in peccato mortale? Questi i dubbi che il re, molto astutamente, sollevava in vista del suo ricorso al pontefice.

Caterina d’Aragona (1530 circa)
Artista sconosciuto
Olio su tavola cm 55.9 x 44.5
National Portrait Gallery, Londra

ANNA SI VENDICA

La battaglia sulla validità del matrimonio si scatenò improvvisa. Toccò proprio a Wolsey, il nemico di Anna, che aveva ostacolato le sue nozze con un pari d’Inghilterra, assumersi l’ingrato compito di spianare la via al trono alla piccola borghese. Scongiurò, si gettò ai piedi del sovrano, ma tutto fu inutile: Enrico non cedette e volle, anzi, che il caso fosse sottoposto senza indugio al papa.
Due messi partirono alla volta di Roma. Clemente VII si trovò in grande imbarazzo: infatti, se Enrico vantava il titolo di “difensore della fede”, d’altra parte Caterina, oltre a essere la figlia dei cattolicissimi sovrani di Spagna, era anche zia dell’imperatore Carlo V. E Carlo V esercitava una forte influenza sulla Chiesa. Perciò il pontefice preferì guadagnare tempo, e inviò a Londra un messo papale, con il compito di esaminare la questione sul posto.
Intanto l’amore di Enrico divampava sempre più. Era una passione alimentata più dalle ripulse di lei che da una vera profondità di sentimento. “Vostra amante, mai; vostra moglie, se voi lo vorrete.” È questo il ritornello che fa impazzire il re ed esasperare il suo desiderio.

Il messo pontificio però si faceva attendere: a quell’epoca i viaggi erano lunghi e disagiati. Ma per Enrico l’attesa non fu completamente vana: mentre il messo viaggiava, Anna cedette e divenne l’amante ufficiale del sovrano.
Finalmente, nel giugno del 1529, il prelato arrivò a Londra.
Ma la questione, invece di chiarirsi, si complica. Era stato consumato il matrimonio con Arturo? Le testimonianze sono discordanti e il rappresentante del papa non sa come cavarsi d’impaccio. Enrico è furente. Ci vuole un capro espiatorio: istigato da Anna, il sovrano accusa Wolsey, il suo fedele ministro, di non aver saputo condurre a buon fine le trattative. E Wolsey viene dispensato dall’incarico e privato di tutti i suoi beni. La morte lo coglierà, quasi prigioniero e povero, nell’Abbazia di Leicester.
Anna ha avuto la sua vendetta.

 

Il. CAPOLAVORO Dl CRANMER

Ritratto di Thomas Cranmer, Londra, National Portrait Gallery

Il sovrano e Anna erano ormai chiusi in un vicolo cieco. A nulla era servito l’oro sparso a piene mani dagli emissari inglesi, a nulla erano servite le argomentazioni teologiche (più o meno convincenti) di Enrico. Ma a questo punto ecco comparire all’orizzonte l’uomo del destino: Tommaso Cranmer, una strana figura di ecclesiastico, che non nasconde le sue simpatie per i luterani e che, nonostante i voti sacerdotali, si è sposato in segreto. “Che bisogno c’è del consenso di Roma? – egli dice – Basta rivolgersi ai più illustri teologi d’Europa e sentire il loro parere.” In altri momenti, Enrico VIII sarebbe insorto contro questa tesi che metteva in dubbio l’infallibilità del pontefice. Ma in quelle condizioni non guardò troppo per il sottile. Seguendo perciò tale consiglio, chiese il parere delle più note facoltà di teologia, sborsando, naturalmente, un bel po’ d’oro.
Le conclusioni furono favorevoli alla nullità del matrimonio.
Non c’era tempo da perdere anche perché Anna, alla quale il re aveva nel frattempo accordato il titolo di marchesa di Pembroke, era in attesa di un bimbo. Tutti a Corte sapevano del prossimo lieto evento, poiché Anna, astutamente, si era ben guardata dal tenerlo nascosto.
La storia non precisa la data delle nozze, celebrate da un monaco compiacente, nel segreto del palazzo reale.
Anna Bolena aveva dunque vinto. Caterina venne esiliata in un remoto castello. Ma ben presto a corte si formarono due partiti: i fautori di Anna, tutti amici e parenti suoi, e, quelli della ex-regina.
Intanto il pontefice “decide di agire” con severità, ed emana la scomunica contro Enrico. E qui si rivela la diabolica abilità di Cranmer. Il pontefice ha scomunicato Enrico? Ebbene -, dice Cranmer – d’ora in avanti Enrico VIII e l’Inghilterra n6n riconosceranno la superiorità della Chiesa di Roma: la Chiesa d’Inghilterra sarà autonoma.
Cranmer viene nominato, per meriti eccezionali, arcivescovo di Canterbury e benedice le nozze già contratte in segreto.
L’Inghilterra ha così una nuova regina.
Ma già su questa unione si addensano le prime nubi: nasce l’erede tanto atteso, ma è una femminuccia. Questo fatto fa sorgere subito una difficile questione dinastica: chi salirà un giorno sul trono d’Inghilterra? Maria, figlia di Caterina, o Elisabetta, figlia di Anna Bolena? Certo il futuro sarebbe più roseo se Anna potesse mettere al mondo un erede maschio. E Anna spera.

LA FINE DI UN SOGNO

Tommaso Moro, lord cancelliere del re dal 1529 al 1532

Il 6 gennaio 1536 muore Caterina. I cortigiani, che sperano di cogliere una qualsiasi traccia di emozione sul volto del re, rimangono delusi. Qualcosa però sta mutando in lui: la bella Anna non lo interessa più. I suoi atteggiamenti così poco “regali” hanno finito per infastidirlo. Anche la speranza di un erede maschio viene nuovamente delusa.
A fianco del re appare sempre più spesso una nuova amica: è Jeanne Seymour, una dolce, serena creatura, che sa placare l’inquietudine del sovrano. Enrico è volubile, è l’uomo dei contrasti.
A Caterina, modesta e riservata, era seguita Anna, vivace e capricciosa, Ad Anna seguirà Jeanne.
Intanto le condizioni politiche erano mutate. A Wolsey, come primo ministro, era seguito Tommaso Moro, uomo di grande fede e di specchiata onestà. Enrico sperava di farne un alleato da aggiogare al suo carro.
Ma Tommaso Moro non volle mai riconoscere la nuova Chiesa e per tale colpa finì sul patibolo (la Chiesa Cattolica lo beatificherà nel 1935). A Moro succedette Oliver Cromwell, ambizioso e senza scrupoli. Egli possedeva un finissimo intuito politico, perciò si rese conto che era necessario riavvicinarsi alla Spagna; alla Spagna di Carlo V, che era stata mortalmente offesa dal ripudio di Caterina.
Cromwell sapeva che avrebbe reso un gran, servigio all’Inghilterrae al re allontanando Anna; avrebbe ottenuto cioè il riavvicinamento alla Spagna e la fine di un matrimonio assurdo.
La fine di Anna è segnata.
Cromwell tesse il suo intrigo: un musicista di corte, Marco Smeaton, viene portato alla presenza del ministro e, sotto tortura, ammette di aver avuto una relazione illecita con Anna. L’accusa è gravissima. A colmare la misura si aggiunge un altro episodio: durante un torneo, la regina fa cadere il proprio fazzoletto nell’arena; Norris, gentiluomo di corte, lo raccoglie con la punta della
lancia e, prima di restituirlo,  lo bacia, sotto gli occhi del re.
Il giorno dopo, Norris, Smeaton e altri due gentiluomini, tra cui il visconte di Rochford, fratello  della regina, vengono arrestati. Oltre a far apparire Anna come una Messalina, la si vuol accusare anche di incesto. E, poco dopo, anche Anna viene rinchiusa nella Torre, il sinistro carcere che ospitava tutti i nemici del Regno.
Questa volta Anna aveva fatto male i suoi calcoli; non si era resa conto di essere divenuta, a sua volta, lo strumento di mire segrete. Era stata solo un pretesto di cui la Corte si era servita per giungere a quel distacco da Roma che maturava da anni.
Il processo fu breve, le accuse terribili. Anna Bolena fu condannata a morte, e con lei i quattro gentiluomini. Tra i suoi giudici, si trovava anche il padre. Ma l’unico che non votò per la sua morte non fu suo padre: fu Percy Northumberland, il suo primo amore.
Il 19 maggio 1536 Anna affrontò, serena e dignitosa, il patibolo.

Ritratto di Oliver Cromwell eseguito da Samuel Cooper

LO SCISMA D’INGHILTERRA

Caterina d’Aragona, prima maglie di Enrico VIII (ne ebbe sei in tutto ) era figlia di Ferdinando il Cattolico e di Isabella di Castiglia, sorella di Giovanna la Pazza che fu la madre di Carlo V imperatore. Secondo l’uso del tempo, aveva sposato a sedici anni, nel 1501, il fratello maggiore di Enrico, Arturo, presunto erede al trono di Inghilterra. Ma il ragazzo era malaticcio e, a pochi mesi dal matrimonio, mori. Le nozze non erano state consumate; ecco perché il Pontefice concesse la dispensa per un nuovo matrimonio tra Enrico e Caterina, che avvenne nel 1509. Caterina ebbe sei figli, di cui cinque maschi che morirono appena nati. Sopravvisse solo la figlia Maria, che passerà alla storia col nome di Maria la Cattolica.

Apparentemente, lo scisma d’Inghilterra fu originato dalla ritrosia del pontefice a sciogliere il matrimonio tra Enrico VIII e Caterina d’Aragona. In realtà, questo episodio fu l’occasione ma non la causa dello scisma. La lotta fra la Chiesa di Roma e la  Corte di Londra, che raggiunse la fase più critica tra il 1528 e il 1533 (anno del matrimonio di Enrico VIII e Anna Balena), fu il coronamento della tendenza assolutistica del re d’Inghilterra, deciso a sottrarsi a ogni controllo, anche a quello religioso.
In ciò fu appoggiato dai sentimenti anticattolici sviluppatisi nel paese. Il distacco definitivo avvenne nel 1539, con l’approvazione dello “Statuto dei 6 articoli”, secondo i quali il re veniva riconosciuto “capo visibile della chiesa anglicana”.

Ritratto di Carlo V con un cane (1532)
Jakob Seisenegge (1500-1558)
Olio su tela cm 231 x 149
Kunsthistorisches Museum, Vienna

Jane Seymour divenne la terza moglie di re Enrico VIII appena undici giorni dopo l’esecuzione di Anna Bolena

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