ARCHITETTURA MODERNA – The New York Five (The Whites)

In occasione di un simposio del CASE (Conference of Architects for the Study of the Environment), del 1969, il Museum of Modern Art di New York presentava in una mostra cinque architetti ancora poco conosciuti: Peter Eisenman, Michael Graves, Charles Gwathmey, John Heiduk e Richard Meier, che in base al titolo del catalogo Five Architects vennero presto chiamati “The New York Five”. La stampa, poi, riferendosi alle luminose facciate bianche delle loro opere, trovò subito un altro appellativo: “The Whites“.

Per Richard Meier, non si trattava di riduzione, ma semplicemente della scelta migliore:
“Il bianco è  per me il colore più bello, perché vi si riconoscono tutti i colori dell’arcobaleno […]. Il bianco è sempre stato il simbolo dello perfezione, della purezza, della chiarezza […]. È da una superficie bianca che può capirsi al meglio il gioco di luce e ombra, di superficie e d’incavo.
Goethe diceva: “Il colore è la sofferenza della luce”. Il bianco è il ricordo e l’anticipazione del colore […]. Il bianco è il mio tentativo di acuire lo percezione ottica nell’architettura e di potenziare la forza delle forme visive”.

Richard Meier –  Casa Smith, Darien, Connecticut (1965-67)
Questa casa bianca sul Long Island Sound fu la prima casa pubblicata da Meier.
Si tratta di una struttura di legno con pilastri di acciaio; solo il camino è in muratura. 

L’asse è orientato sulla strada che dalla fine del percorso d’arrivo porta alla costa

L’attenzione che suscitarono i primi disegni in bianco e nero e le prime opere dei “Cinque” era dovuto alla sovrapposizione di gioco concettuale matematico e calligrafia estetica. Essi erano orientati massimamente ai classici del Moderno, soprattutto alle ville anni Venti di Le Courbusier, ma anche a opere del razionalismo italiano, per esempio di Giuseppe Terragni, e si mantenevano pertanto ancorati nella storia dell’architettura, ma le teorie che professavano erano difficilmente concretizzabili e lontane dalla prassi costruttiva quotidiana.

Richard Meier – Casa Douglas, Harbor Spring, Michigan (1971-73)
In particolare le indagini di teoria dell’architettura di Peter Eisenman – che seguivano i suoi disegni di trasformazione analitica – rappresentano una radicale affermazione dell’autonomia dell’architettura, che si rende del tutto indipendente dai criteri di abitabilità. II rifiuto del carattere positivista di forma e funzione corrisponde alla “manipolazione anastrofica”, alla cosciente trasposizione dei concetti del linguaggio architettonico.
Il Moderno – come egli lo vede – riflette la rimozione dell’uomo dal centro del mondo e pertanto non può più essere considerato concluso. L’oggetto si fa portatore delle contraddizioni, alle quali il progetto reagisce con incastri, omissioni, distorsioni.

Linea, superficie e volume si pongono in concorrenza con pilastro, parete e spazio. L’idea progettuale è in primo piano, lo coso concretamente costruita, infine, non è che una forma più complessa di rappresentazione. Essa appare – così Eisenman – “come un modello di cartone e costringe a una lettura concettuale […] in cui viene trasformato in spirito, come si farebbe con un modello”.

Peter  Eisenman – Casa VI (Casa Frank), Cornwall, Connecticut (1972-73)
Questa casa ottenne una certa fama per la sua scala situata “all’inverso”
Oltre a Eisenman, l’altro maggior teorico dei “Cinque” era John Heiduk. Progetti come le sue “Diamond Houses” rimasero esperimenti da tavolo di disegno. La struttura a solette di piano che si richiama al sistema “Domino” di Le Corbusier, la griglia di pilastri e i componenti ruotati nel cubo a un angolo di 45 gradi costituiscono i motivi salienti della sua esplorazione della sintassi architettonica: “l misteri del central-periferico-frontal-obliquo-concavo-convesso
[…] gli argomenti di spazio bidimensionale e monodimensionale […] le idee delle configurazioni, lo statico e il dinamico: tutto comincia ad assumere la formo di un vocabolario”.
Charles Gwathmey e Richard Meier, per contro, non soltanto hanno costruito molto, ma hanno anche mantenuto in larga misura la comprensibilità dei corpi costruttivi e delle superfici di parete ruotanti e intersecantisi.
Alla base del progetto Meier pone tre coppie di riferimenti, programma e situazione, ingresso e circolazione, struttura e involucro. L’intorno precrea assi e punti di fuga, ai quali l’edificio reagisce adeguatamente.
Questi principi sono chiaramente leggibili nell’Atheneum di Meier, il centro di informazioni per i visitatori della piccola cittadina storica di New Harmony. Lastre di parete ad angoli di 5 e 45 gradi frammentano il cubo, in reazione alla direzione di flusso e al reticolo stradale, vedute verso e dall’esterno fanno delle correlazioni il tema dell’architettura.
Negli edifici di abitazione i rapporti esterni non possono venire altrettanto tematizzati e in essi è l’organizzazione interna a far da  filo conduttore. Questa si sviluppa dall’apertura del programma spaziale, che introduce miratamente rampe, visuali, salti di livello.
Charles Gwathmey sfrutta le possibilità offerte dalla stratificazione degli spazi e ottiene costruzioni dalle linee assai chiare.
Nucleo del progetto è spesso una “articolazione” in cui s’incontrano corpi costruttivi sfalsati orizzontalmente o verticalmente. Da forme rigidamente cubiche o cilindriche Gwathmey arriva a configurazioni spaziali sempre più dinamiche e complesse, che vivono di innumerevoli momenti di tensione interna.

Michael Graves aveva un rapporto meno stretto col gruppo e nelle sue opere si allontanò presto dalla cristallina chiarezza dei colleghi. Con la sua ricerca di una “decorazione costruita” emergevano in primo piano singoli elementi-citazioni. Se infatti con una delle sue prime opere, Casa Hanselmann, si collega concettualmente, con il gioco positivo-negativo dei due cubi e con la facciata “stratificata”, al programma progettuale dei “Whites”, le sue pitture parietali, non diverse dalle mutazioni pop dell’arte cubista o purista degli anni Venti, spezzano la disciplina del quadro.

Richard Meier – The Atheneum, New Harmony, Indiana (1975-79)
Richard Meier – Lato est con rampa di scale 
The Atheneum New Harmony, Indiana (1975-79)
L’edificio presenta chiare linee di riferimento all’approdo sul fiume, alla città e al parcheggio. La griglia giace parallelamente alla pianta della città ed è tagliata a un angolo di 45° dalla  lunga rampa di scale, che porta in direzione delle costruzioni storiche. Questa rotazione assiale prosegue all’interno come sovrapposizione dei due sistemi di riferimento. Un grande segmento di parete sopra l’ingresso del lato ovest è piegato a un angolo di 45° ed è quindi perpendicolare al percorso pedonale che inizia al parcheggio.
Numerose rampe e scale sottolineano il carattere di comunicazione spaziale dell’edificio e creano accessi a diverse visuali. Le loro ringhiere, cosi come le lastre di facciata smaltate in bianco che rivestono lo scheletro di acciaio, richiamano alla mente i transatlantici. Ma il complesso nel suo insieme non insiste su quest’associazione e l’edificio, inoltre, è troppo cristallino e aperto, nel suo dinamismo, a troppe direzioni.
L’Atheneum serve da centro d’informazioni turistico per New Harmony, la cui storia venne determinata dalla comunità pietista degli harmonisti di Georg Howen e dall’utopia sociale cooperativa di Robert Owen. Qui hanno inizio le visite alla città storica.
L’Atheneum non segue lo griglia urbana rigida di New Harmony e costituisce il prolungamento di una serie di costruzioni sorte nel quadro di un programma di rivalorizzazione del luogo e situate liberamente nella periferia. L’Atheneum è assai vicino al Wabash River, poiché il livello delle sue acque è soggetto ma forti oscillazioni, si è reso necessario un terrapieno nel prato  rivierasco.
Dell’originario, ampio programma costruttivo è stato realizzato solo una parte con l’auditorium e l’esposizione di modelli.

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