DECAMERON – Giovanni Boccaccio

DECAMERON

Giovanni Boccaccio

Recensione

L’opera per la quale Giovanni Boccaccio è vivo, reca, come altre sue, un nome derivato dal greco.

Decameròn (con la “e” eufonico dei Toscani Decamerone) è un genitivo plurale, che significa “di dieci giorni” (si sottintende ‘opera’ o ‘narrazione’, e più correttamente dovrebbe dirsi ‘Dechemeron’)..Kerkyra… correggimi tu per favore…

Il sottotitolo è “Principe Galeotto”.
Il titolo ha riferimento alla composizione dell’opera, il sottotitolo alla mondanità, che è dell’opera la nota fondamentale. Si crede che fosse finito verso il 1354…, certo fu incominciato dopo la peste del 1318, dalla cui narrazione l’opera incomincia. Il Boccaccio segue il costume – che continuò per parecchi secoli poi, e che al gusto moderno saprebbe di pedanteria – di comporre le novelle dentro una sola cornice, così che l’opera, pur con tutta la varietà, conseguisse una certa unità organica. Immagina, dunque, in un proemio, che nell’anno della peste, il 1348, nella Chiesa di Santa Maria Novella si venissero a trovare sette gentili donne e tre giovani…, donne e giovani realmente vissuti, assicura l’autore, ma che, per discrezione, egli chiama con degli pseudonimi.
Le donne sono Pampìnea, Fiammetta, Filomena, Emilia, Lauretta, Elisa, Neìfile…, Panfilo, Filostrato e Dioneo sono i giovani.
Ho già parlato di alcuni di questi nomi nelle mie tre precedenti opinioni di Boccaccio(vedi Filocolo…, Filostrato… e Teseide).
A sollevare l’animo dalle tristezze della peste i dieci giovani si accordano di passare un periodo di tempo in una villa, vicina alla città. E là trascorrono il giorno nelle occupazioni più liete…, e nelle ore calde del pomeriggio si ritirano all’ombra, a novellare.
Ciascuno narra una novella…, dieci ogni giorno. Prima di separarsi, si nomina il presidente – diremmo noi -, cioè il re o la regina, che proponga il tema generale su cui si svolgeranno le novelle del giorno seguente.
La sera, dopo cena, si canta da qualche donna una ballata. E si va a dormire.
Per riverenza alla religione, il venerdì e il sabato i novellatori tacciono. Le giornate in cui si racconta sono dieci…, così che le novelle saranno cento in totale. Dopo quei festevoli giorni, la brigata ritorna in città, e i tre giovani riportano le donne gentili in Santa Maria Novella, e poi ognuno va per conto suo.
Ogni giornata si apre con una introduzione, dove non si manca mai di descrivere l’aurora e di ripetere come i giovani ingannano il tempo fino all’ora del novellare.
Al principio della quarta giornata l’autore si difende dalle accuse di esagerata licenziosità (in cui si desume che le novelle andassero in pubblico via via che erano composte), e la stessa difesa ripete nella conclusione alla fine dell’opera.
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Giovanni Boccaccio
Affresco di Andrea del Castagno, 1450
Galleria degli Uffizi, Firenze

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La materia del Decamerone è la più varia, e desunta dalle fonti più diverse. Si ripetono talvolta argomenti trattati in raccolte di novelle più antiche…, si sentono gli echi di racconti orientali e di romanzi bizantini, e di scrittori romani della decadenza. Per lo spirito poi schernitore della virtù coniugale e avverso a preti e frati, le novelle boccaccesche ricordano certi racconti in versi, arguti ed audaci, che fiorirono largamente in Francia sin dal secolo undicesimo…, ed ebbero il nome di ‘fabliaux’…, salvo che i racconti boccacceschi sono senza confronto più raffinati ed eleganti.
Molte volte il Boccaccio parla di avvenimenti storici della sua età: molte volte di cose narrategli da testimoni. Ma insieme con la massima varietà di argomenti è un limite che risponde all’euritmia di tutto il libro. I narratori hanno la più grande libertà di scelta…, ma le novelle della stessa giornata devono, come ho già detto, uniformarsi a un motivo comune.
Così nella seconda giornata si discorre di coloro che, dopo mille accidenti e contrasti, pervengono finalmente alla felicità…, e qui sono forse i racconti più complicati del libro, le novelle d’intreccio.
Nella quarta, di amori terminati tragicamente…, e qui si leggono le novelle più commoventi.
Nella sesta, di arguti motti di spirito, nel quale era tanta parte della conversazione di quei nostri vecchi…, nella settima, delle astuzie delle mogli…, nella ottava predominano le beffe non sempre innocenti.
Nella decima il tono si innalza: si tratta di alti amori e di alte imprese.
Ho notato che le novelle cambiano di tono a seconda del personaggio che le narra. Le più innocenti sono narrate da Neìfile, la più giovane delle donne: le più audaci da Panfilo e da Dioneo.
In realtà non sono moltissime le novelle che non vertano su storie licenziose.
Il Decamerone è il libro di una società che ha smarrito ogni ideale, che vive per godere.
Contro l’edonismo invadente poco poteva oramai l’ascetismo dei predicatori. Anzi, le più vivaci pagine del Boccaccio sono appunto contro i preti e i frati, che appariscono, ai suoi occhi, peccatori come gli altri, e più degli altri, ipocriti.
Ma la satira del Boccaccio non è, come quella di Dante, determinata da un’alta coscienza religiosa e morale…, e il vizio è ritratto col compiacimento di chi vi partecipa, non con lo sdegno di chi lo ha superato.
Dante e il Boccaccio rappresentano due momenti diversi nella coscienza italiana. Le “sfacciate donne fiorentine”, di cui Dante temeva l’avvento, erano venute: erano le “graziosissime donne”, per cui il Boccaccio scriveva il Decamerone.

Incapace di sostenersi in racconti e in poemi di lunga durata, il Boccaccio si sentì a suo agio e poté esprimere tutti gli accorgimenti della sua arte, come tutta la ricca e varia esperienza della sua vita, nella novella: alla quale egli dette un’ampiezza fino allora ignota. Egli prende le mosse da lontano, talvolta incominciando dai padri e dagli avi dei suoi personaggi, o dal ricordare fatti storici importanti, ai quali si può riconnettere il racconto. Ciò contribuisce non poco a dare ad esso quel carattere di verità o di verosimiglianza, che l’autore vuole sempre conservato. Perciò nelle novelle boccaccesche l’abbondanza e la determinatezza dei particolari di ogni maniera, che giovino a mettere sotto gli occhi del lettore i personaggi e le situazioni. Si direbbe che l’autore abbia assistito egli stesso a ciò che narra. Ma egli è maestro insuperato nel ritrarre, moralmente e fisicamente, uomini e donne, e massimamente i tipi che destino un senso di comicità e di ilarità: nella vivacità e spontaneità dei dialoghi: nell’arte di annodare i fili del racconto e di intricarli sempre più, e di risolvere poi, con la più grande facilità, i nodi più complessi: e in quella di tenere desta l’attenzione del lettore col nuovo e con l’inaspettato…, che è pur sempre logico e scaturisce dalle premesse, come impensata conseguenza.
Non però la novella boccaccesca risponde interamente ai miei gusti. Il Boccaccio è il narratore che deliba il suo racconto, che non vuole omettere nulla, perché tutto lo interessa; e il suo pubblico è un pubblico che si vuole divertire e sollazzare e non si stanca mai. Per noi la novella è tutt’altra cosa. Noi vogliamo i racconti brevi, coloriti, drammatici…, e ci interessano molto mediocremente le burle e le beffe di quei nostri antichi. Ci conviene perciò spogliarci delle nostre tendenze, e lasciare da parte la nostra irrequietezza, per gustare il vecchio narratore. Specialmente ci pesano i preamboli dei racconti, e anche più le parti accessorie del Decamerone: come le introduzioni alle varie giornate, e il proemio a tutta l’opera…, compresa la troppo famosa descrizione della peste, esatta fino allo scrupolo, ma povera di ogni senso di pietà e di umanità.
Non poco poi contribuisce a tener lontani dal Decamerone i lettori moderni l’elocuzione: principalmente nelle pagine descrittive. Il Boccaccio continua in esse lo stile artificioso – che si chiamerà boccaccesco – del Filocolo e della Fiammetta. Seguendo un vezzo, che era già del resto diffusissimo nelle scuole di retorica, egli amò riprodurre il periodo ampio e simmetrico della prosa latina, e conseguì una vana e pomposa sonorità a tutto danno della perspicuità e dell’efficacia. Purtroppo quella maniera restò per secoli la maniera tipica della prosa italiana di gala…, e non fu l’ultima causa che la letteratura nostra non fosse popolare in Italia. Ma la lingua del Boccaccio è ricchissima e quasi tutta ancora viva: dal Decamerone anche più che dalla Divina Commedia fu derivato il vocabolario italiano.


Decameron (1837)
Franz Xaver Winterhalter (1805–1873)
Museo del Liechtenstein
Olio su tela cm 190,5 × 254



ALCUNE NOVELLE… quelle che sono piaciute a me…

Bellissima è la prima novella, dove si narra di un ser Ciappelletto da Prato, usuraio dei peggiori, che, venuto a morte a Parigi, per una falsa e fervida confessione generale fatta a un ingenuo frate, acquista fama di santo…, e diventa per il popolo San Ciappelletto.
Arguta la seconda: un giudeo, incerto se abbracciare il cristianesimo, va alla corte di Roma…, e si fa cristiano appunto per gli scandali che vede in quella corte: la Chiesa deve essere la Chiesa del Dio vero, se vive, nonostante che i suoi ministri facciano di tutto per perderla.
La terza, per una favoletta narrata da un giudeo al Saladino di Babilonia, mira a dimostrare che tutte le religioni, o almeno le tre maggiori allora conosciute (la cristiana, la ebraica e la mussulmana), purché professate con semplicità e fede, hanno uguale valore dinanzi a Dio: concetto di tolleranza ardito per i tempi, anche se non nuovo.
Potente nel ritrarre la vita napoletana, tanto conosciuta dal Boccaccio, è la quinta della giornata seconda, che narra delle strane avventure toccate a Napoli ad un Andreuccio perugino.
Commoventissima la novella quinta della quarta giornata: di Isabella, di cui i fratelli uccidono l’amante…, ed essa riesce a dissotterrare la testa del caro morto, e la seppellisce in lui vaso di basilico, e ogni giorno la innaffia con le sue lagrime…, e come anche quel vaso le è tolto dai sospettosi fratelli, muore dalla tristezza.
Truce e indice dei costumi di età troppo più fiere della nostra, la nona novella della stessa giornata: Guglielmo Rossiglione fa mangiare alla moglie, che non sa, il cuore dell’amante: ma quando egli le rivela l’orribile inganno, essa si lascia cadere da una finestra della sala, e muore.
Un esempio di devozione senza limiti alla donna amata è nella nona novella della giornata quinta. Un cavaliere, per guadagnarsi l’amore di una donna, spende in atti di cortesia tutto ciò che ha…, e non gli resta alla fine che il caro falcone da caccia. Anche questo, non avendo altro, lo dà a mangiare alla donna, venutagli a casa. La donna, quando sa dell’abnegazione del giovane, lo sposa.
La decima novella della sesta giornata è delle più famose. Il protagonista è frate Cipolla, il predicatore da villaggio, un misto di ingenuità e di malizia, che si accinge a mostrare al suo pubblico le penne dell’angelo Gabriele…, e poiché alcuni burloni gli hanno tolto dalla cassetta le penne, e messovi dei carboni, egli non si perde già d’animo, quando si accorge, lì davanti al suo uditorio, della sostituzione…, e dimostra che quelli sono i carboni con cui fu arrostito sulla graticola San Lorenzo: e quei carboni gli consegna alle devote e semplici contadine di Certaldo, che lo stanno ad ascoltare.
Il tipo dell’uomo semplice è Calandrino, a cui i due pittori Bruno e Buffalmacco giuocano le più nuove burle. Calandrino è il protagonista della terza novella e sesta della giornata ottava, e della quinta della nona: tanto il tipo e il motivo piacquero al novelliere.
Popolarissima è la prima di queste novelle: di Calandrino che, credulo a Bruno e a Buffalmacco, va a cercare per il Mugnone l’elitropia, la pietra che rende invisibili. Gli amici, ad un tratto, fingono di non vederselo più davanti: ed egli, contento di aver trovata l’elitropia, carico di pietre e di sassate se ne ritorna a casa.
L’ultima novella del Decamerone piacque tanto al Petrarca che la voltò in latino. Il marchese di Saluzzo ha sposato la povera figlia di un villano: Griselda…, e vuol provare la bontà di lei, sottoponendola a dolori e mortificazioni, contro cui veramente si ribella la nostra coscienza. Finge di farle uccidere i figli…, finge di pigliare un’altra moglie…, e caccia lei dal vecchio padre. Griselda tutto sopporta…, ma il marito le rivela finalmente che quelle erano prove…, e ricompensa quella paziente con il più fervido amore e con gli onori più regali.



UNA NOVELLA IN PARTICOLARE… CISTI FORNAIO

La novella di “Cisti fornaio” è una delle più piacevoli e delicate del “Decamerone”.
Cisti, una delle figure più simpatiche e vive della nostra letteratura, è un fornaio fiorentino…, accorto, prudente, di sentimenti aristocratici, ha una vivissima coscienza dei limiti impostigli dalla sua modesta origine sociale e non osa rompere spontaneamente il ghiaccio con i nobili ambasciatori inviati a Firenze da Bonifacio VIII.
Il Boccaccio non ama le descrizioni troppo minute e particolareggiate…, gli sono sufficienti poche parole per tratteggiare la figura di questo popolano signorile e discreto, e per creare, nello stesso tempo, scene di grande efficacia.
E’ molto riuscita, ad esempio, l’immagine di Cisti, seduto davanti alla porta del suo negozio, con il grembiulone candido, l’orcioletto (cioè la brocca di coccio) e i bicchieri davanti, mentre beve con soddisfazione il suo vino bianco.
La personalità di Cisti è molto bene delineata nella scena dell’incontro con gli ambasciatori.
Il fornaio è un uomo generoso e cortese e sicuramente non stolto: egli comprende benissimo che dietro la falsa sollecitudine dei servi si nasconde il desiderio di dar fondo alle sue bottiglie e astutamente manda in fumo i loro progetti
In quanto a messer Geri, il gentiluomo che apprezza molto la gentilezza e la cortesia di Cisti, egli è un uomo che vive in un mondo nuovo, nel quale ognuno è considerato per quanto vale…, egli non esita, perciò, ad invitare il fornaio a casa sua insieme con gli uomini più importanti di Firenze ed è ben felice di considerarlo amico.
Per Geri non esistono barriere sociali: il riconoscimento del valore individuale dell’uomo, grande conquista del Rinascimento, è per lui già avvenuto.
Intorno a Cisti fornaio e a messer Geri, il Boccaccio tratteggia abilmente il ritratto dei servitori del tempo, falsamente solleciti, desiderosi soltanto di approfittare di ogni situazione, simpatici e in certo senso patetici per le loro astuzie abilmente smascherate da Cisti.


Un racconto dal Decameron (1916)
John William Waterhouse (1849–1917)
Galleria d’arte Lady Lever, Port Sunlight, Liverpool
Olio su tela cm 101 x 159

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