Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo – Galileo Galilei

Finita ormai l’illusione di “convincer gl’ostinati”, con il “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” Galileo si affida ai posteri, ben sapendo di rischiare la condanna ecclesiastica. Un’imposizione censoria lo costringe a cambiare il titolo prescelto (“Dialogo del flusso e del reflusso del mare”): meglio un dibattito cosmologico, di tipo teorico, piuttosto che un trattato fisico che trasformi l’inoffensiva ipotesi della matematica della mobilità della Terra in una pericolosa verità naturale. Ma il cambiamento del titolo, che trascina con sé la modifica dell’incipit, non basta ad attenuare la portata rivoluzionaria del pensiero galileiano” (NOTE introduttive)

 

NOTIZIA SU GALILEO GALILEI E LE SUE OPERE PRINCIPALI

Nel primo Seicento, tutta l’energia indomabile e feconda del pensiero italiano si esprime in Galileo Galilei, del quale non posso non toccare, anche se quel grande appartiene assai più alla storia delle scienze, che a quella delle lettere.

Galileo Galilei nacque in Pisa il 1564. Il padre voleva farne un medico, ma la medicina era, allora, ciarlataneria ed empirismo…, e il giovane, cupido di verità, preferì darsi, per conto suo, allo studio di quella scienza, che è la verità assoluta: la matematica…, che apparve poi a lui come la cifra o l’alfabeto in cui si rivelano le leggi della natura.
E la natura, che tutti vedono, e che parla a così pochi, parlò a lui fin da quando, nel duomo di Pisa, osservando l’oscillare di una lampada, egli intuì la legge dell’isocronismo del pendolo: legge che fu poi applicata alla misura esatta del tempo, con grande vantaggio dell’astronomia e della geografia.
È ancora di quel tempo, leggendo i frammenti di Archimede, intese la legge del peso specifico dei corpi, e scrisse il “Trattato della Bilancetta”, o bilancia idrostatica, per determinarlo.
E studiava quel Dante, che il Voltaire chiamò il poeta matematico, dettava due lezioni all’accademia fiorentina “Sulla figura, sito e grandezza dell’Inferno”.
Studiava e meditava, senza nessuna voglia di laurearsi. Era poverissimo.
Ma il granduca Ferdinando I ebbe un intuito felice. Lo nominò, a 25 anni, lettore di matematica nello studio di Pisa.
Le leggi sulla caduta dei gravi, acquisite poi dalla fisica, che egli determinò in quegli anni, scrivendo l’opuscolo latino “Del moto accelerato”, attirarono sul giovane professore le ire dei vecchi cattedranti, che avevano sul moto e sulle leggi del moto le loro idee e i loro errori peripatetici.
Di più, Galileo non sapeva tacere, non sapeva dissimulare…, disprezzava.
La tempesta gli rumoreggiava attorno. Ma lo salvò il Senato veneto, che lo nominò nel 1592, professore di matematica nella università di Padova.

Diciotto anni rimase il Galilei in quella città…, e furono i più sereni della sua vita.
Egli vi compose parecchi opuscoli di meccanica, di fisica, di idraulica: come il trattato “Del compasso geometrico e militare”…, il “Discorso intorno ai galleggianti”.
A Padova fece la invenzione sua più meravigliosa, il telescopio (suggeritogli dall’esperimento di un artefice olandese) col quale riuscì a ingrandire di mille volte gli oggetti.
Con il telescopio il Galilei diede la scalata al cielo. Scoprì i monti e le valli della Luna: vide che il numero delle stelle fisse era diciotto volte maggiore di quello elle allora si conosceva: che la via lattea è una massa di stelle.
Scoprì quattro satelliti aggirantisi intorno a Giove e dette loro, per gratitudine al granduca di Toscana, il nome di pianeti medicei.
Scoprì l’anello di Saturno, le fasi di Venere, le macchie solari, intorno alla cui origine scrisse tre lettere: erano nubi o vapori, secondo lui, sorgenti dal corpo dell’astro.
E di tante sue scoperte dava notizia nel “Sidereus nuncius” (Messaggero delle stelle), una specie di diario delle sue osservazioni.
Ma la nostalgia della Toscana riprese il Pisano.
Intavolò pratiche per entrare al servizio del granduca Cosimo II. E il granduca gli scrisse, grato, di suo pugno, nominandolo primario matematico dello studio di Pisa, primario matematico e filosofo della stia persona, senza obbligo di dimorare in Pisa, né di leggervi, e assegnandogli una provvisione annua di mille scudi. Ciò fu il 1610.

Le scoperte astronomiche di Galileo confermavano sempre più, riguardo alla costituzione dell’universo, il sistema, antichissimo, e che nel Cinquecento era stato restaurato coli nuove prove dal matematico polacco Copernico, e da lui prese il nome. Galileo, in fama di sostenere la temeraria opinione copernicana, venne a Roma nel 1611, per sapere quello che si pensava di lui e contro di lui, e difendersi.
Grandi onori vi ebbe e fu inscritto alla gloriosa accademia dei Lincei (i lungiveggenti come linci), fondata da poco in Roma dal principe Federico Cesi.
Le accuse per il momento tacquero…, ed egli poté tornare sicuro a Firenze e scrivere cose assai interessanti sulla saggia interpretazione della “Bibbia” e sui limiti fra scienza e fede, in una lettera al padre Castelli del 1613, e in un’altra alla granduchessa madre Cristina di Lorena, del 1615.
Ma le persecuzioni ripresero. In quello stesso anno l’Inquisizione gli formò contro, specialmente in base alle asserzioni desunte dalle sue “Lettere sulle macchie solari”, un primo processo.
Fu chiamato, nel 1616, a Roma. Fu ammonito, alla presenza del cardinale Bellarmino, di abbandonare l’opinione elle il sole sia il centro del mondo, e che la terra si muova: opinione giudicata erronea ed eretica, perché contraddetta da molti luoghi delle “Sacre Scritture”…, gli fu imposto di non più difenderla, né tenerla, né insegnarla come che sia.

Fu, in quell’occasione, messa all’Indice l’opera del Copernico.
Il Galilei si adattò alla volontà di quei signori…, forse pensava che è inutile comprovare col martirio una verità di evidenza matematica…, o forse la sua religiosità gli impedì di ribellarsi all’autorità della Chiesa, in cui egli credeva
Ritornato a Firenze, propose al granduca una sua maniera di determinare la longitudine in mare, in qualunque punto e in qualunque ora della notte. Il granduca ne fece avvertito il re di Spagna, la cui potenza marittima era allora immensa, perché sfruttasse la scoperta…, ma non ne fu nulla…, e il Galileo si rivolse, pur senza successo, agli Stati generali d’Olanda.
E continuò nei suoi studi. Una cometa, apparsa nel 1618, dette occasione a lui di scrivere un “Discorso sulle comete” (attribuito da altri al suo discepolo Mario Guiducci)…, e ad un gesuita, il padre Orazio Grassi da Savona, del collegio romano, di pubblicare (sotto lo pseudonimo di Lotario Sarsi) un suo opuscolo latino, intitolato “Bilancia astronomica e filosofica”, dove si vagliavano e si deridevano le opinioni di Galileo.
Egli, impaziente, volle rispondere col più vivace dei suoi scritti, il “Saggiatore” (1623), dissertazione in forma di lettera, diretta a Monsignor Virginio Cesarini, accademico linceo.
È un’operetta polemica: una esaltazione del metodo sperimentale, un’aspra condanna dell’antiquato aristotelismo…, e il padre Grassi vi è convinto di grossolani errori di ottica, e messo in ridicolo.
L’ordine dei gesuiti si preparò a vendicare il confratello.
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DIALOGO SOPRA I MASSIMI SISTEMI DEL MONDO

Ma da più anni Galileo lavorava intorno al “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” (tolemaico e copernicano). Per la euritmia dell’insieme, per il rilievo dato ai personaggi, per il linguaggio nitido e preciso, per lo stile signorile, non è solamente l’opera di un grande scienziato, ma di un grandissimo scrittore.
Il che può dirsi di tutte le prose del Galilei.
Due suoi cari e morti amici sono i protagonisti: Francesco Sagredo, patrizio veneto, elle già l’aveva sconsigliato di abbandonare Padova, e Filippo Salviati, fiorentino, che l’aveva signorilmente ospitato nella sua villa delle Selve. Essi discorrono con l’aristotelico Simplicio, sostenitore dei vecchi pregiudizi (Simplicio fu un antico espositore di Aristotile; ma qui il nome non è forse senza significato ironico).

Il dialogo avviene a Venezia, e dura quattro giornate.
Nella prima giornata si parla della conformità fra la terra e la luna: nelle altre tre si discute più particolarmente intorno al sistema tolemaico e al copernicano.
L’autore mostra, o vuol mostrare, di esporre obbiettivamente le ragioni di probabilità così dell’uno come dell’altro sistema…, ma la povera figura che fa Simplicio, l’apologista del tolemaico, non lascia dubbio sulle intenzioni vere del libro. Il quale fu pubblicato, non senza accorgimenti che ottennero al libro il permesso dell’autorità ecclesiastica, a Firenze, il 1630.

L’ira di Roma fu grande…, molto più che si fece credere al papa Urbano VIII che nella figura di Simplicio era canzonato lui, lui quando era, ancora il cardinale Maffeo Barberini, e che con gli stessi argomenti di Simplicio aveva già difesa l’immobilità della terra.
Un secondo processo contro il Galilei fu subito istruito.
Il 23 settembre 1632 il Santo Offizio lo citò a Roma. Egli aveva quasi settant’anni…, era ammalato di ipocondria e di ernia, come dichiararono tre medici. Al Santo Offizio parvero questi sotterfugi e dilazioni. Si minacciò di farlo trascinare a Roma, in catene.
Sulla fine di gennaio, il vecchio partì.
Quel secondo processo durò cinque mesi. Si conservano i verbali delle comparse dell’imputato, sottoscritti da lui.
La prima è del 12 aprile 1633: l’ultima del 21 giugno…, ed è un succedersi e un crescendo di umiliazioni dell’uomo per sua natura tanto superbo. La principale accusa che si muove al Galilei è di avere, nonostante l’ammonizione del 1616, continuato a sostenere il sistema copernicano, condannato dalla Chiesa, e ad insegnarlo.
Galileo si difende da principio: il cardinale Bellarmino gli aveva detto e scritto che l’opinione del Copernico poteva tenersi come ipotesi, umanamente parlando. Che nell’ammonizione del 166 ci fosse il divieto di insegnare quella opinione, egli l’aveva dimenticato.
Ma poi cede. Nega di essere un fautore del sistema copernicano.
Nel “Dialogo” ha esposto quello che si può dire pro’, quello che contro quel sistema.
Riconosce, sì, che certi argomenti favorevoli a quel sistema sono messi troppo più in luce di quelli contrari. Ammette che le sagge conclusioni di Simplicio passano come inavvertite nella moltitudine delle conclusioni contrarie…, ma in un’altra giornata, che aggiungerà al “Dialogo”, non mancherà di fare ammenda.
La sentenza di condanna è del 22 giugno 1633.
Riassunte le accuse contro il Galilei, a ricominciare dal 1615, conchiude che egli si è reso sospetto di eresia, avendo “tenuto e creduto dottrine false e contrarie alle Sacre Scritture: che il sole (cioè) sia centro della terra e che non si muova da oriente ad occidente, e che la terra si muova e non sia centro del mondo”.
I giudici sono disposti a temperare la pena, purché il reo “abiuri, maledica e detesti” i suddetti errori.
Si proibisce intanto il “Dialogo dei massimi sistemi”…,si condanna il reo al carcere ad arbitrio del Santo Offizio, e a dire per tre anni, una volta la settimana, i salmi penitenziali. Galileo abiurò.

Pronunciata la sentenza, restò in carcere all’arbitrio del papa e il carcere fu, per verità, il palazzo del granduca alla Trinità dei Monti (ove ora è l’accademia francese di belle arti).
Quindi ottenne di trasferirsi a Siena, dal suo intimo amico, il Piccolomini, arcivescovo di quella città.
Passò poi ad Arcetri, in una sua villa, e quivi lo venne ad incontrare il granduca in persona.
Finalmente gli fu consentito di ritornare in Firenze.
Intorno al sistema copernicano non scrisse più verbo…, ma dal cielo, così pericoloso, discese e si fermò sulla terra. Divenne cieco: perdette la figliuola adorata, Suor Maria Celeste, monaca di San Matteo d’Arcetri, di cui restano molte tenerissime lettere al padre.
Tanto più ardentemente si raccolse negli studi e nella meditazione…,e in quegli ultimi anni pensò e compose i “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze”…,anch’essi distribuiti in dialoghi, in quattro giornate, con gli stessi interlocutori del “Dialogo sui massimi sistemi”.
In forma lucidissima il Galilei vi espone i principi capitali della meccanica, dell’idraulica, dell’acustica, e di altre parti della fisica, che in quest’opera per la prima volta assunse carattere, metodo, dignità di scienza.
Discepoli insigni collaborarono col Galilei, nella sua sempre giovine e vigile vecchiaia: Evangelista Torricelli da Faenza, inventore del barometro…, Benedetto Castelli da Brescia, benedettino, il padre della scienza delle acque…, Vincenzo Viviani, fiorentino, architetto, fondatore dell’accademia del Cimento (o della esperienza.), la prima accademia scientifica d’Europa: biografo amorosissimo e diligente del suo maestro…, tutti acuti osservatori e chiari e signorili scrittori.
E così – in mezzo a quei suoi veramente figliuoli – Galileo Galilei si spense nel 1642.
Il granduca lo volle sepolto nel tempio delle glorie italiane, in Santa Croce.

Il Viviani, che lasciò di essergli sepolto vicino, provvide al monumento.

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