GIUSEPPE UNGARETTI – La poesia ermetica

Giuseppe UNGARETTI  (1888-1970), poeta. Nato ad Alessandria d’Egitto da famiglia toscana emigrata per lavoro, vi trascorse l’infanzia e l’adolescenza. Fu per molti anni a Parigi, a contatto con le avanguardie del ‘900, il simbolismo e la “poesia pura”.
Le prime prove poetiche escono sulla Voce e su Lacerba.
Durante e dopo la guerra del ’15-18 combattuta in Italia e in Francia, pubblica Il porto sepolto (1916) e Allegria di naufragi (1919).

Ha insegnato letteratura italiana all’Università di Roma.
È stato uno del maestri dell’ermetismo e rimane una delle maggiori figure della lirica italiana del ‘900.
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 Una coscienza critica 

L’intreccio complesso di problemi posti dalla guerra e dal dopoguerra viene sofferto e interpretato – sul piano poetico – da Giuseppe Ungaretti.
Egli nacque ad Alessandria d’Egitto nel 1888. Da giovane frequentò gli ambienti anarchici e socialisti dell’emigrazione italiana in Egitto. Nel 1912 si trasferì in Francia.
Interventista, partecipò come semplice fante alla prima guerra mondiale. Dopo la guerra si stabilì a Roma. Ma poi accettò di recarsi in Brasile per insegnare Letteratura italiana all’Università di San Paolo.
Rientrato in Italia allo scoppio della guerra, ottenne la cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università di Roma. E’ morto nel 1970.
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Le sue opere principali sono: Il porto sepolto (1916)…, Allegria di naufragi (1919)…, L’Allegria (1931)…, Sentimento del tempo (1933)…, Poesie disperse (1945)…, Il dolore (1947)…, La terra promessa (1950)…,  e Il taccuino del vecchio (1960).
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Nella poesia di Ungaretti vengono davvero bruciate senza residui le esperienze crepuscolari, dei futuristi e dei vociani dai quali, per altro, egli prese le mosse. Come giustamente è stato detto, “egli avvertì – e l’estrema nudità a cui la guerra obbliga l’animo umano lo aiutò – che la parola oratoria o decorativa ed estetizzante, pittorescamente bozzettistica o malinconica e sensuale falliva al suo scopo poetico”; la parola poetica è parola “soggettiva e universale”, portata ad una tensione estrema che la colmi della presenza del suo significato.
Il significato e la portata di questa polemica contro il linguaggio poetico anche dei poeti del primo Novecento, ci vengono chiariti dallo stesso Ungaretti nell’introduzione all’Allegria:
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“Ci repugnava fino alle radici del sangue, il Decadentismo (1),quella scuola i cui maestri, e i ridicoli epigoni, si consideravano come gli ultimi superstiti d’una società da esaltare, come la stessa vita, con atteggiamenti neroniani (2). Ci si renda ben conto di questo: era giusto che allora i giovani sentissero che il discorso fosse da riprendere dall’abbiccì, e che tutto fosse da recuperare.
I futuristi in un certo senso avrebbero potuto non ingannarsi se non avessero rivolto l’attenzione ai mezzi forniti all’uomo dal suo progresso scientifico, invece che alla coscienza dell’uomo che quei mezzi avrebbe dovuto moralmente dominare. S’ingannavano soprattutto perché avevano fatto proprie le più assurde illusioni derivate dal Decadentismo, immaginando che dalla guerra e dalla distruzione potesse scaturire qualche forza e qualche dignità. Così immaginarono che anche la lingua fosse da mandare in rovina, per restituirle qualche attività e qualche gloria (3)“.
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“La parola che fosse travolta nelle pompose vuotaggini da un’onda oratoria o che si gingillasse in vagheggiamenti decorativi ed estetizzanti, o che fosse prevalentemente presa dal pittoresco bozzettistico o da malinconie sensuali (4), o da scopi non puramente soggettivi e universali (5) mi pareva che fallisse al suo scopo poetico. Ma fu durante la guerra, fu la vita mescolata all’enorme sofferenza della guerra, fu quel primitivismo (6) o sentimento immediato e senza veli; spavento della natura e cordialità rifatta istintiva dalla natura; spontanea e inquieta immedesimazione nell’essenza cosmica delle cose – fu quanto, d’ogni soldato alle prese con la cecità delle cose, con il caos e con la morte, faceva un essere che in un lampo si ricapitolava dalle origini (7) stretto a risollevarsi nella solitudine e nella fragilità della sorte umana; faceva un essere sconvolto a provare per i suoi simili uno sgomento e un’ansia smisurati e una solidarietà paterna, – fu quello stato d’estrema lucidità e d’estrema passione a precisare nel mio animo la bontà della missione già intravista, se una missione avessi dovuto attribuirmi e fossi stato atto a compiere, nelle lettere nostre”.
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“Se la parola fu nuda, se si fermava a ogni cadenza del ritmo, a ogni battito del cuore, se si isolava momento per momento nella sua verità, era perchè in primo luogo l’uomo si sentiva uomo, religiosamente uomo, e quella gli sembrava la rivoluzione che necessariamente dovesse in quelle circostanze storiche muoversi dalle parole. Le condizioni della poesia nostra e degli altri paesi allora, non reclamavano del resto altre riforme se non questa fondamentale”.
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La guerra, dunque, mettendo l’uomo senza protezione e senza diaframmi di fronte al suo destino, lo rivela nella sua nudità primordiale, nella sua fragilità, nella sua innocenza. E la parola nuda e scavata per ritrovare una propria verginità è l’espressione di questa condizione umana.
E questo, certamente. il momento in cui Ungaretti compie una rivoluzione nel linguaggio poetico italiano – portandolo al livello delle grandi esperienze europee – e nello stesso tempo interpreta la condizione umana di milioni e milioni di uomini costretti ad uccidersi senza una ragione, se non quella delle ambizioni imperialistiche delle varie potenze europee.
Si hanno così le sue liriche più felici, intense e commosse, quelle dell’Allegria:
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Sono una creatura

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Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede.
La morte
si sconta
vivendo.
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Metro: versi liberi.
* S. Michele: altura del Carso.
* prosciugata: priva di acqua.
* refrattaria: insensibile alle variazioni del tempo, ma anche ostile.
* disanimata: priva di vita.
* La morte ecc.: in ogni attimo di vita un poco si muore.
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San Martino del Carso

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro.
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto.
Ma nel cuore
nessuna croce manca. 
E’ il mio cuore
il paese più straziato.
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Metro: versi liberi.
* Dì tanti ecc.: di tanti compagni che corrispondevano con il loro affetto al mio.
* neppure tanto: neppure qualche brandello.
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Nel dopoguerra la preoccupazione di trovare un “ordine” prese anche Ungaretti: e si propose così il problema del rinnovamento metrico, il ritrovamento del “canto della lingua italiana” anche attraverso il metro, e in specie la ricostruzione dell’endecasillabo. Mentre si va precisando la dottrina della poesia come forza sintetica, come analogia:
“Se il carattere dell’Ottocento era stato quello di stabilire legami a furia di rotaie e di ponti… il poeta di oggi cercherà di mettere a contatto immagini lontane, senza filo. Dalla memoria all’innocenza quante lontananze da varcare. Ma in un baleno” (1923-33).
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Non bisogna confondere questa di Ungaretti con l’immaginazione “senza fili” dei futuristi; anche la tecnica è diversa, come ci spiega lo stesso poeta:
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“Trapassi bruschi dalla realtà al sogno; uso ambiguo di parole nel loro senso concreto e astratto; trasporto inopinato d’un soggetto alla funzione d’oggetto, e viceversa…” (1929)…, così: “Nell’ordine della fantasia, spezzato al demone dell’analogia i ceppi s’è cercato di scegliere quella analogia, che fosse, il più possibile illuminazione favolosa, nell’ordine della psicologia s’è dato avvio a quella sfumatura propensa a parere fantasma o mito; nell’ordine del visivo s’è cercato di scoprire la combinazione di oggetti che meglio evocano una divinazione metafisica”. (1929).
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Tuttavia, come è stato osservato, il sogno di un paese innocente è alla base di un’energica aspirazione verso la parola innocente, verso una nuova verginità espressiva, capace di spezzare ogni vincolo retorico, e di fondarsi come voce essenziale. Ma nel recupero della patria era implicato sia pure in germe, il recupero di quella stessa tradizione così energicamente violentata alle radici… In armonia con il dominante riflusso europeo tra le due guerre, un nuovo classicismo parve esito naturale.
Abbiamo allora Sentimento del tempo e poi, con un ripiegamento sempre più vistoso verso esigenze religiose, Il dolore.
Così, la parola essenziale si riduceva a illuminazione favolosa, a fantasma, a mito, e l’asse Petrarca-Leopardi era riportato a dominare l’orizzonte della cultura lirica, con tutta la mediazione del barocco europeo, con l’ossessione angosciata della memoria demente, e infine con tutte quelle armoniche religiose che potevano esservi implicate.
Oggi, rimane ovviamente decisivo il momento inaugurale della carriera poetica di Ungaretti.
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1) Decadentismo: qui per decadentismo s’intendono soprattutto gli atteggiamenti estetizzanti e superoministici. Il dannunzianesimo, insomma, con I suoi derivati.
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2) neroniani: estetizzanti e superoministici, come s’è detto.
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3) Cosi… gloria: la critica ai futuristi è, in primo luogo, una critica ideologica: annullamento dell’uomo di fronte alla macchina, esaltazione della guerra e della violenza. Di qui i limiti anche nella loro rivoluzione formale.
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4) La parola… sensuali: qui si allude, evidentemente a D’Annunzio, a Pascoli e ai crepuscolari.
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5) Soggettivi e universali: la parola poetica, per Ungaretti, proprio perché vuole esprimere gli aspetti più interni ed autentici dell’animo umano è, nello stesso tempo, soggettiva e universale.
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6) Primitivismo: ritorno al sentimenti elementari dl fronte alla morte sempre incombente.
7) in un… origini: nei momenti supremi ci sembra di ripercorrere la nostra intera esistenza in pochi secondi.
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