I FIORI DEL MALE (Les Fleurs du mal) – Charles Baudelaire

I FIORI DEL MALE

Charles Baudelaire

Introduzione

Charles Baudelaire nacque a Parigi il 9 aprile 1821. Proveniva da un ambiente borghese agiato, ma la sua prima formazione non fu molto felice: mortogli infatti il padre quando egli era ancora giovanissimo, la madre, ben presto risposatasi con un militare di carriera entrato nella diplomazia, ne abbandonò l’educazione a tutori non sempre solleciti della formazione spirituale del giovane, che crebbe scontroso e malinconico nei collegi di provincia ove iniziò i suoi studi, portati a termine a Parigi.
Vagamente destinato alla carriera legale, il giovane Charles manifestò ben presto accanto ad una indubbia vocazione letteraria una propensione invincibile per la vita sregolata, la frequentazione di ambienti artistici d’avanguardia e tutta quella serie di abitudini e di costumi che si è convenuto di raggruppare sotto il nome di “bohémiens”.
Anche per sottrarlo alle influenze dell’ambiente che si era creato, il patrigno pensò inviare il giovane Charles a compiere un grande viaggio in Oriente, nel 1841, allorché il giovane compiva appena i venti anni.
Da questo straordinario viaggio, molte circostanze del quale restano tutt’ora misteriose – egli non giunse mai a Calcutta, dove pure era diretta la nave su cui si imbarcò -, Baudelaire doveva riportare tutto un patrimonio di immagini esotiche, di cui ritroviamo tracce nel suo capolavoro, che egli andava lentamente elaborando.


Ritratto di Charles Baudelaire – Dipinto da Émile Deroy nel 1844

Recensione

Come è accaduto per molti grandi poeti, Baudelaire deve ad un unico libro il posto eccezionale che si è assicurato non solo nella storia della letteratura francese, ma nella storia dello spirito umano: “I Fiori del male”, che apparvero in volume nel 1857.
La grande novità della sua poesia e il carattere estremamente ardito di alcune immagini parvero offendere i benpensanti, sì che al poeta e al suo editore fu intentato un processo: ma l’eccellenza del genio del poeta non tardò ad imporsi e dal tempo della loro pubblicazione sino ai giorni nostri “I Fiori del Male” hanno conosciuto, si può dire, un successo sempre crescente.
Il grande merito di Baudelaire è di aver definitivamente annesso al regno della poesia il dominio oscuro del fondo dell’animo umano, ove le passioni e i sentimenti si muovono allo stato quasi inespresso, dove è dato di raggiungere la terribile complessità dell’animo dell’uomo e di conoscerne i misteri e la contraddittoria grandezza.
Grazie alla poesia, suprema liberatrice, l’anima esala questo suo fondo oscuro e peccaminoso e si ritrova purificata sulla soglia della grazia e della suprema salvezza.

Baudelaire, che ha inoltre il merito di aver per primo fatto conoscere al pubblico francese il grande scrittore americano Edgar Poe, verso il quale lo spingevano indubbie affinità di pensiero e di sensibilità, non parve saper più ritrovare lo stato di grazia che aveva reso possibile la composizione del suo capolavoro: la sua successiva produzione sembra rispecchiare anche le sue amarezze e il suo declino, che fu rapido e triste.
La rovina finanziaria lo colpì infatti nel 1861, ed egli morì pochi anni dopo, nel 1867, a soli quarantasei anni di età, dopo essersi trascinato irrequieto e scontento tra Parigi e Bruxelles senza ritrovare mai il suo equilibrio.


Jeanne Duval, per lungo tempo musa e amante di Baudelaire, ritratta da Édouard Manet nel 1862 (ritratto commemorativo della donna, deceduta quell’anno).


CANTO D’AUTUNNO *

* Presto saremo immersi nelle fredde tenebre; addio, vivida luce delle nostre estati troppo brevi!
Odo già risonare i funebri colpi della legna che cade sul selciato dei cortili.
Tutto l’inverno sta per rientrare nel mio essere; collera, odio, brividi, orrore, fatica dura e forzata, e, come il sole nel suo inferno polare, il mio cuore non sarà più che un rosso e gelido masso.
Io ascolto fremendo ogni ceppo che cade; non ha eco più sorda il patibolo quando viene innalzato.
Il mio spirito è simile alla torre che crolla sotto i colpi dell’ariete instancabile e pesante.
Cullato da questi colpi monotoni, mi pare che qualcuno inchiodi in fretta una bara.
Per chi? Ieri ancora era estatel ecco l’autunno!
Il misterioso rumore risuona come una partenza”.

COMMENTO

Il poeta canta l’approssimarsi dell’autunno: ma questo semplice motivo é al tempo stesso spunto per più gravi pensieri, occasione di una più sottile inquietudine.
L’autunno è l’annuncio dell’inverno – ma l’inverno per lo spirito è il freddo periodo della consapevolezza e del rimorso.
Ed ogni più lieve stimolo esterno – la luce che si attenua, il risuonare dei ceppi spaccati dall’accetta – sembra sviare il pensiero verso riflessioni drammatiche e cariche di mistero: una bara, la partenza, la morte….
I colpi sono “funebri” sono le sensazioni che si risvegliano nell’animo del poeta.
Il rumore sordo della legna che sotto i colpi dell’accetta cade in pezzi sul selciato assume un valore simbolico e sembra richiamare l’immagine di qualcosa che crolla e si infrange: una rovina gigantesca e lontana, le cui esatte dimensioni si perdono nel sogno poetico..
Ma quasi a sollevare tanto chiuso e consapevole dolore ecco il guizzo finale: “ieri ancora era estate!” – quindi la poesia si chiude sulla sua nota vera, placata, di malinconico rimpianto della vita che fugge e della bellezza che finisce.


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LA CAMPANA INCRINATA *

Le notti d’inverno, accanto al fuoco che palpita e fuma, é amaro e dolce ascoltare i ricordi lontani lentamente salire al suono delle campane che cantano nella nebbia. .
Beata la campana dalla gola vigorosa, che a dispetto della vecchiaia, a vivace e sana, lancia fedelmente il suo grido religioso come un vecchio soldato che vigila sotto la tenda.
Io sento la mia anima fendersi e, spesso, quando essa vuole popolare dei suoi canti le notti fredde, la sua voce fievole sembra il rantolo greve di un ferito – dimenticato sulla riva di un lago di sangue io sotto un mucchio di morti – che muore, immobile, in uno sforzo immane”.

COMMENTO

Nella lunga serata invernale i ricordi si affollano allo spirito del poeta, evocati dal suono mesto delle campane.
E viene con loro, insidioso, il rimorso – che ha, questa volta, un tono nettamente religioso.
Il pensiero della vecchia campana rimasta fedele al suo dovere suggerisce la consapevolezza della propria infedeltà, e il senso di impotenza che prende il poeta rimanda alla terribile realtà dell’espiazione.
Quindi gli ultimi versi, che rappresentano uno dei vertici dell’arte baudeleriana, in cui esplode la tragica consapevolezza della propria condizione di peccato: il poeta è solo – ma il simbolo potrebbe agevolmente estendersi all’umanità tutta – schiacciato sotto il peso delle proprie colpe, attendendo una luce di cui non intravede il più lontano bagliore….


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MOESTA ET ERRABUNDA

La poesia incomincia col motivo abituale dell’evasione: fuggire dal piccolo e soffocante mondo delle nostre passioni, verso il vasto mare, verso le emozioni grandi ed eterne della vita!
Ma interviene subito, a sollevare la banalità di uno spunto troppo sfruttato dalla poesia di ogni tempo, un tono nuovo, fresco e primaverile: il ricordo dell’infanzia.
Ed è come un bagno di purezza: ritornano le parole sussurrate, i sentimenti minimi, le gioie puerili ed indimenticabili, in uno scenario cui la lontananza dà magici riflessi di fiaba: ritorna in tutto il suo fascino un mondo ormai morto e che solo l’arte sa far rivivere, in eterno.
E di fronte a tanta bellezza, anche il rimpianto del poeta sembra addolcirsi: per una volta, si direbbe, gli sorride la speranza, di ritrovare un giorno il suo paradiso perduto….


Charles Baudelaire fotografato da Étienne Carjat, circa 1862
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