DOTTRINE POLITICHE – IL CONTRATTO SOCIALE – Jean-Jacques Rousseau

IL CONTRATTO SOCIALE

Jean-Jacques Rousseau
Chi governa deve essere al servizio dello Stato, e che nel popolo risiede il potere sovrano dello Stato stesso – prende l’avvio questa “operetta” che ha esercitato un’azione decisiva nell’evoluzione del pensiero politico e morale del mondo moderno.

Introduzione

La sua massima opera filosofico-politica, IL CONTRATTO SOCIALE, è uscita lo stesso anno, 1762, della sua massima opera filosofico-pedagogica, l’EMILIO. L’una e l’altra gli procurarono fama imperitura e persecuzioni poliziesco-religiose.

Recensione

Poche opere sono state tanto lette ed ammirate ed altrettanto fraintese come il CONTRATTO SOCIALE. Qui Rousseau parte dalla sua concezione filosofica generale : tutto ciò che esce dalle mani della natura è perfetto, anche l’uomo, allo stato di natura, prima di ogni commercio e unione sociale, è perfettamente sano di corpo e di mente, incorrotto (non morale, ma senza immortalità), perfettamente libero ; e in quello stato ogni uomo è uguale ad ogni altro uomo, non vi sono né padroni né servi, né ricchi né poveri, né potenti né umili. Soltanto lo stato di civiltà ha prodotto tutti i guai, generando la disuguaglianza, la ricchezza e la povertà, lo Stato, il governo, ecc. ecc.
Nel DISCORSO SULLA ORIGINE DELLA DISUGUAGLIANZA TRA GLI UOMINI (1754), Rousseau aveva descritto questo stato di decadenza dell’uomo dal primitivo stato di perfezione come alienazione (concetto che in seguito verrà ripreso da Marx nei MANOSCRITTI ECONOMICO-FILOSOFICI), ossia separazione dell’uomo da se stesso, divisione dell’uomo in lavoratore e uomo, proprietario e uomo, cittadino e uomo, ecc. ecc.; e ne aveva attribuito la causa alla divisione del lavoro e alla conseguente origine della proprietà, per difendere la quale venne poi creato lo Stato con le leggi e il governo.
Nel CONTRATTO SOCIALE Rousseau si pone il problema tipicamente dialettico: visto che non è possibile ritornare allo stato di natura e alla selva primigenia per porre fine alla miseria umana e reintegrare l’uomo nella sua completa umanità, cerchiamo di ottenere questo proprio attraverso l’alienazione, nello Stato e mediante lo Stato, di recuperare la libertà nella legge e mediante la legge.


Statua all’Île Rousseau, Ginevra

A questo scopo Rousseau riprende la vecchia idea del contratto sociale, ma in un senso affatto nuovo: egli non crede, come pare credesse ancora nella ORIGINE DELLA DISUGUAGLIANZA, e come aveva creduto la maggior parte dei contrattualisti prima di lui, che di fatto, in una certa epoca della storia, gli uomini, dapprima isolati, si siano uniti in una società mediante la stipulazione reale di un patto. Rousseau dice che noi potremo conciliare libertà e comunità, stato di natura e stato di civiltà, se considereremo la società politica come se fosse sorta da un contratto in virtù del quale ogni individuo cede alla comunità di cui entra a far parte tutta la sua libertà, divenendo però contemporaneamente membro di tale collettività libera e sovrana e quindi sovrano di essa. In virtù di tale patto la libertà cambia senso: mentre la libertà allo stato di natura significava assenza di legge, ora significa partecipazione alla volontà legislatrice, quindi volontà sovrana. Quella libertà che prima era pura irresponsabilità ora diviene responsabilità piena; in una parola, la libertà di natura, animale, diviene libertà morale, umana. E poiché tutti i membri della società sono ugualmente sovrani, alla uguaglianza negativa dello stato di natura (uguaglianza come non differenza) subentra l’uguaglianza positiva della società democratica (uguaglianza dei diritti sovrani). E siccome l’uomo cede totalmente la sua libertà al consorzio sociale, egli vi porta dentro tutta la sua umanità: come cittadino sovrano ridiventa uomo totale, totalmente uomo e totalmente cittadino. L’individuo si risolve totalmente nella società; ma la società, il potere politico, il governo, etc. , si risolvono totalmente nella volontà del cittadino. Questa volontà non è più il volere immediato, impulsivo, dell’uomo bruto, bensì la volontà generale, cioè la volontà razionale, consapevole, riflessa del cittadino cosciente, che vuole ciò che è bene per tutti e non soltanto per se.
Da queste idee Rousseau trae le conseguenze politiche che gli servono a disegnare le linee dello Stato democratico. Come per Hobbes e a differenza dei liberali, anche per lui il contratto è unico: lo stesso atto che unisce gli individui in società costituisce l’esistenza dello Stato. Ma a differenza di Hobbes, egli concepisce questo atto unico non come “darsi a un sovrano”, bensì come costituzione di un sovrano collettivo: dunque per lui il governo vero, legittimo, fondato sul contratto sociale, non può essere che quello repubblicano. Tanto più che la sovranità è indivisibile e inalienabile: il popolo, unico e vero sovrano, non può né cedere la sua sovranità (perché diventerebbe schiavo, e quindi non più libero di contrarre), né dividere i “poteri” fra vari enti ciascuno sovrano del proprio ordine, come volevano i liberali. Governo, parlamento, magistratura restano per lui soltanto varie forme di servizio sociale sotto l’unica indivisibile sovranità del popolo. Niente garantismo quindi: lo Stato è per lui totalmente sovrano, senza limiti alla sua azione; ma esso non è la volontà di un despota o di un gruppo, bensì azione di volontà collettiva e universale.

Questo nelle grandi linee il contenuto della bellissima opera di Rousseau. Per quanto la teoria appaia seducente, non è a dire che in essa manchino difficoltà e soprattutto contraddizioni politiche. Prendo in esame le due difficoltà principali. L’una riguarda il significato che può avere il concetto di “volontà generale”. E’ questa che è veramente sovrana e fonte della legge giusta. Ma se io voglio una cosa (per esempio una legge o un provvedimento di politica estera), e il mio vicino ne vuole una del tutto contraria, chi deciderà chi di noi due vuole di “volontà generale” e non egoisticamente, secondo il proprio interesse? Rousseau stesso osserva che la maggioranza dei voti non offre in ciò nessuna garanzia: può darsi che la volontà della minoranza sconfitta sia più razionale, e quindi più generale, della volontà della maggioranza vincente nelle votazioni. E allora? Tanto più, e qui sta un’altra difficoltà, che Rousseau non vuole abolire la proprietà privata, e quindi la divisione del lavoro, e quindi le classi sociali, e quindi..ecc. ecc.
Ora noi sappiamo, per averlo appreso prima ancora da lui (1754) che da Marx (4844), che dove ci sono classi c’è alienazione umana, quindi non può essere “uomo totale” e “volontà generale”. Dove ci sono classi non c’è uguaglianza, e la “volontà generale” diventa in pratica la volontà egoistica dei più ricchi e dei più potenti.
Per questo la democrazia politica, sebbene a partire dai giacobini francesi molti si siano detti discepoli del filosofo ginevrino, non ha mai realizzato gli ideali di Rousseau, contaminandoli con l’ideologia liberale, dividendo l’uomo dal cittadino, i diritti dell’uomo dai diritti (e i doveri) del cittadino. La democrazia borghese non ha potuto, e non poteva, realizzare gli ideali teorici di Rousseau. Lo potranno fare altre forme di democrazia?
Queste, comunque, dovranno far subire ai pensieri di Rousseau una profonda revisione in sede teorica e anche più profonde modificazioni pratiche per arrivare ad un programma concretamente realizzabile.


Jean-Jacques Rousseau ritratto da Maurice Quentin de La Tour intorno al 1750-1753.
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