LA CITTÀ DEL SOLE – Tommaso Campanella

Comunismo e religione di natura nell’isola di Taprobana

Secondo un modulo consueto, la CITTÀ DEL SOLE è scritta in forma di dialogo, che si svolge tra un nostromo genovese che ha appena compiuto la circumnavigazione del globo e un Ospitalario (membro dell’ordine degli ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, poi Ordine di Malta), il quale interpella il navigatore circa gli ordinamenti che questi ha trovato vigenti nella favolosa isola di Taprobana (odierna Sry Lanka) dove ha sede una città eretta su un alto colle e cinta da sette cerchie di mura.

“E’ un Principe sacerdote tra loro – riferisce il Genovese – che s’appella Sole, e in lingua nostra si dice Metafisico: questo è capo di tutti in spirituale e temporale, e tutti li negozi in lui si terminano. Ha tre Principi collaterali: Pon, Sin, Mor, che vuol dir: Potestà, Sapienza, Amore”.

I tre ministri che assistono il supremo reggitore e che personificano le tre primalità dell’essere (il che conferma l’intimo legame tra la metafisica di Tommaso Campanella e il suo ideale politico), presiedono rispettivamente alla preparazione militare, agli studi e alle scienze, e all’organizzazione della vita erotica affinché essa si svolga secondo precise regole eugenetiche.

I Solari (abitanti della Città del Sole) vivono una vita sottoposta ai dettami della ragione in conformità con i quali hanno stabilito di adottare la comunanza di tutti i beni: la proprietà privata, infatti, incoraggiando l’amore proprio, egoismo, invidia e rapacità, avrebbe sul consorzio umano effetti rovinosi.
Non esistono servi né padroni, non hanno luogo disparità di fortune, ognuno accetta ed esercita le mansioni che più gli si addicono e tutti egualmente lavorano per la prosperità collettiva.
Vivono in comune e vestono identicamente, con quattro differenti vesti a seconda delle stagioni: le fogge sono descritte con bizzarra e puntigliosa meticolosità.
Come tutti i riformatori utopisti, Tommaso Campanella vuol dare una descrizione minuziosa di come dovrebbe esser lo Stato ideale da lui auspicato.
I funzionari che dipendono da Mor hanno l’incarico di combinare gli accoppiamenti affinché diano il miglior risultato (“non accoppiano se non le femine grandi e belle alli grandi e virtuosi, e le grasse a’ macri e le macre alli grassi, per far temperie”), e in genere l’attività sessuale dei Solari è regolata secondo l’interesse pubblico: motivo da Campanella forse desunto dalla REPUBBLICA di Platone che insieme alla UTOPIA dell’inglese Tommaso Moro costituisce il modello al quale, per sua stessa ammissione, lo Stilese si è ispirato.

Uomini e donne sono egualmente addestrati alle armi e le guerre sono intraprese soltanto a favore di popoli oppressi o contro tiranni aggressori.
Le operazioni commerciali sono rare e sotto forma di baratto; il denaro non ha corso e ne sono dotati soltanto coloro che come legati vengono avviati all’estero.
Tutti i cittadini di età superiore ai venti anni partecipano alle assemblee e ciascuno può formulare la propria opinione circa ordinamenti ed esporre le proprie lagnanze verso gli “officiali” di rango inferiore i quali “si mutano secondo la volontà del popolo inchina”.
Ma il principe-sacerdote e i suoi tre ministri sono inamovibili, possono dimettersi di loro volontà ma non essere rimossi…, inoltre è loro prerogativa confermare o meno quello che è stato stabilito nelle assemblee.

Il regime politico non è dispotico e neppure democratico…, vi prevale, sia pure con il consenso dei sudditi, un autoritarismo illuminato che ha caratteri teocratici, dato che il Metafisico è al tempo stesso il capo politico e il capo religioso.
Ma si tratta di una singolare teocrazia a base aconfessionale: la religione professata dai Solari è un cristianesimo naturale senza verità, senza dogmi precisi, senza sacramenti e senza clero.
I Solari onorano l’universo quale immagine vivente di Dio, riconoscono l’influenza degli astri sulle vicende umane…, credono nell’immortalità dell’anima e in una vita futura, “ma li luoghi delle pene e premi non l’han per tanto certi” e sono in dubbio circa l’eternità della pena: “stanno anche molti curiosi di sapere se queste [le pene] sono eterne o no”.
Il cristianesimo della Città del Sole non ha una rigida organizzazione dottrinale e non viene risolutamente contrapposto alle altre religioni, monoteistiche e politeistiche, come la Verità assoluta del Cristo non è in nessun modo affermata.

Racconta il navigatore Genovese al suo interlocutore, parlando delle figure che fan mostra di sé sulle mura della città…

“Trovai Moisé, Osiri, Giove, Mercurio, Macometto ed altri assai…, e in luoco assai onorato era Gesù Cristo e li dodici apostoli, che ne tengono gran conto…”.

Probabilmente, quando scriveva la CITTÀ DEL SOLE, la religiosità di Tommaso Campanella era ancora lontana dall’essersi allineata alle posizioni dell’ortodossia cristiano-cattolica…, né si deve dimenticare che, ai tempi della congiura da lui perpetrata ai danni della Spagna, lo Stilese dava scandalo tra coloro che lo circondavano, affermando che Gesù Cristo era stato “un uomo da bene”.

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Ritratto di Tommaso Campanella
Collezione Camillo Caetani, Sermoneta, Italia

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Nota Benedetto Croce, ribadendo un giudizio generalmente accettato, che lo scritto di Campanella non regge al confronto con l’UTOPIA di Tommaso Moro che ne è il precedente più diretto, né per i pregi letterari che sono invero scarsi nel dialogo campanellino, né per consistenza e precisione di riferimenti storici.
Una costruzione utopistica, infatti, per quanto astratta per definizione, ha un suo nucleo di concretezza nella misura in cui costituisce un documento di denunzia di ben determinate condizioni sociali, nella misura in cui, sotto l’involucro della finzione, vibra un manifesto di protesta che può avere in realtà un efficace valore di incitamento e di stimolo (a parte il fatto che può in una data epoca considerarsi utopistico, e quindi non esistente e non possibile, può diventare reale o possibile in un’epoca successiva, onde il valore di anticipazione che alcune utopie hanno avuto).

Nessuno, per esempio, potrebbe tracciare la ricordata UTOPIA del Moro di futile vaniloquio o di sterile vagheggiamento, se non altro perché il punto di partenza di essa è dato dalla tragica situazione in cui vennero a trovarsi i contadini inglesi, in seguito al passaggio dalla coltura cerealica al pascolo allo scopo di allevare pecore e montoni dalla cui lana l’aristocrazia fondiaria ricavava un reddito maggiore.
Rileva appunto il Croce che mentre l’opera del Moro “si fonda su una descrizione e una critica assai viva e particolare delle condizioni sociali dell’Inghilterra al dissolversi dell’economia feudale, il comunismo di Campanella muove dalla generica osservazione dei mali che affliggono le società umane, dal vecchio contrasto di ricchi e poveri, di oziosi e lavoratori, di sfruttatori e di sfruttati, dalla considerazione dei vizi e delle malvagie passioni che nascono dal ‘mio’ e dal ‘tuo’.

Io penso che il Croce abbia ragione solo in parte.
Certamente la maggior genericità che egli rivela svigorisce e allenta un po’ la carica polemica che sta sotto l’ideale comunismo teocratico caldeggiato dallo Stilese (“comunismo”, beninteso, che non ha a che vedere con il moderno movimento socialistico e comunistico).
E tuttavia non si può dire che manchi la tensione polemica nascente dalla allusione diretta o indiretta alle condizioni del tempo.
La vita idilliaca e ordinata dei Solari acquista il risalto di una denuncia e di una invocazione, se la confrontiamo con la realtà squallida e brutale della Calabria del Campanella con il peso vessatorio del governo spagnolo, la miseria e l’ignoranza delle sue plebi rurali, il clero corrotto, il brigantaggio cronico, i baroni litigiosi e prepotenti.
E in un punto, anzi, un riferimento più particolare si affaccia tra le righe a proposito della capitale del regno dell’Italia meridionale.
La felice armonia sognata nell’isola immaginaria di Taprobana mette in luce più cruda le disuguaglianze, gli squilibri sociali, il parassitismo in una città come Napoli…

“… Ma noi non così – commenta amaramente il Genovese – perché in Napoli sono da trecento mila anime, e non faticano cinquanta mila…, e questi patiscono fatica assai e si struggono…, e l’oziosi si perdono anche per l’ozio, avarizia, lascivia, ed usura, e molta gente guastano tenendoli in servitù e povertà, o facendoli partecipi di loro vizi…”.

Tommaso Campanella, nato a Stilo il 5 settembre 1568 e morto a Parigi il 22 maggio 1639, era un filosofo e un letterato. Domenicano, si allontanò presto dall’ordine in sospetto di eresia per le sue idee rivoluzionarie e l’interesse per le arti magiche.

Implicato in un complotto politico ai danni della Spagna trascorse con alterne vicende 27 anni in carcere…, ottenuta la libertà nel 1629, fu esule a Parigi dove morì.

Campanella fonde il sensismo telesiano con la concezione agostiniano-platonica dell’autocoscienza per costruire una metafisica in cui l’uomo ha coscienza del suo percepire e per fine una riforma del cristianesimo che veda tutti i popoli riuniti da una medesima fede e teocrazia.
Il suo progetto riformatore si esplica nell’utopia della CITTÀ DEL SOLE, modello comunistico di società in cui si realizzano felicità individuale e bene collettivo.

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