LA METAFISICA E LA PITTURA ITALIANA DEL NOVECENTO

LE MUSE INQUIETANTI (1918)
Giorgio de Chirico (1888 – 1978)
Milano, collezione privata
Olio su tela cm 97 x 66
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Un fatto nuovo della pittura europea e internazionale del periodo tra le due guerre (e più precisamente dei primi anni di tale periodo) fu il delinearsi di una tendenza che per i suoi particolari contenuti prese il nome di “metafisica”, termine in cui si comprende tutto ciò che sta al di là delle cose fisiche, naturali (in particolare, la parola deriva dal fatto che, nell’opera del filosofo Aristotele, i libri dedicati ai problemi dell’essere, e cioè a un argomento non attinente alla materia, venivano dopo [meta] quelli riservati alla “fisica”: da qui, “metafisica”). È una corrente che rappresenta essenzialmente un contributo italiano all’arte continentale, poiché italiano è il suo “inventore”: Giorgio De Chirico (Volos, 10 luglio 1888 – Roma, 20 novembre 1978). Per De Chirico, l’arte non rappresenta la realtà, non la interpreta né interviene per modificarla in qualche modo: essa è semplicemente un’altra realtà. Come tale, si pone al di fuori sia delle cose fisiche che della storia; è, cioè, “metafisica” e “metastorica”.

Inutile dire che l’opera di De Chirico ha giocato un ruolo molto importante sul piano europeo come su quello nazionale. Se centro della pittura mondiale è in questi anni Parigi, l’Italia non è tagliata fuori dal discorso artistico e presenta solide credenziali. Con De Chirico (la cui opera evolverà in seguito verso meno significativi traguardi) altri pittori operano ad eccellenti livelli.
Tra questi Carlo Carrà (1881-1966) anch’egli metafisico, pur non mancando nei suoi dipinti – meno impassibili e più polemici di quanto non fossero quelli del suo caposcuola – una certa ricerca di collegamento con una realtà storica.
E tuttavia ben presto l’arte italiana, lasciandosi alle spalle l’esperienza metafisica, tende a imboccare strade diverse: con Felice Castrati (1886-1963), ad esempio, e soprattutto con Giorgio Morandi (1890-1964) che deve essere considerato come il più grande pittore italiano del Novecento.

NATURA MORTA – Giorgio Morandi  

Morandi rivolge la sua ricerca alla definizione di uno spazio e di uno stile pittorico, assai lontano per concezione da quello metafisico; assume come tema e punto di riferimento alcuni “oggetti”, che si ripeteranno in tutta la sua produzione, quali bottiglie, vasi con pochi fiori, recipienti vuoti. Egli riesce, con mezzi direi essenziali e scarni, ad evocare un mondo poetico di eccezionale intensità. La banalità degli oggetti che lo ispirano si trasforma, nei suoi dipinti, in una forte sensazione di spiritualità.

Se Morandi rappresenta un punto fermo e indiscusso nell’evoluzione delle arti italiane tra le due guerre, tutto il resto non appare riconducibile a precisi indirizzi e orientamenti. La pittura italiana sembra piuttosto organizzarsi in piccoli gruppi e singole personalità variamente ispirati. In tale coacervo finisce col predominare una generica mediocrità, anche se non mancano artisti di talento, come Arturo Tosi (1871-1965) e Mario Sironi (1885-1961).

Solitudine di Mario Sironi

  SOLITUDINE (1925-1926)
Mario Sironi (1885 – 1961)
Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna
Olio su tela cm 98 x 82 

Per tutto il periodo centrale del “ventennio” mussoliniano, il grigiore fu il tono dominante dell’arte italiana: non fu fascista, ma si adattò opportunisticamente alla situazione. Segno timido di una reazione da parte degli artisti più impegnati – visto che era loro obiettivamente impossibile stabilire un proficuo contatto con le esperienze europee, così come inesistente era la possibilità di definire un’arte nazionale, “novecentesca” e fascista – fu quello di rifugiarsi nello studio delle situazioni locali, regionali. Così agirono, a Torino, il “Gruppo dei sei pittori” (tra cui il pittore-scrittore Carlo Levi, Torino 1902 – Roma 1975); a Milano il gruppo dei “chiaristi” (così detti dal tono chiaro delle loro pitture), in Toscana, Ottone Rosai (1895-1957), mentre Mino Maccari (Siena 1898 – Roma 1989) tentava la via della pittura satirica di costume.

Sul finire degli anni Venti, però, si costituiscono due raggruppamenti che esprimeranno in maniera ben più incisiva, un netto, anche se pessimistico, atteggiamento di rivolta: la “Scuola romana” e il gruppo milanese di “Corrente”.

Della prima – che riprende alcuni caratteri dell’espressionismo – fecero parte Scipione (pseudonimo di Gino Bonichi, 1904-1933), Mario Mafai (1902-1965), la pittrice russa Antonietta Raphael (Kaunas 1895 – Roma 1975), lo scultore Marino Mazzacurati (1908-1969).
Scipione sceglie, come tema della sua pittura, la Roma barocca e vaticana, con tutto il suo torbido splendore, contrapposta alla Roma dell’Impero (sia quello vero, degli antichi, che quello di cartapesta di Mussolini). Analogo motivo ispira Mario Mafai, il quale tuttavia dà maggiore concretezza alla sua polemica: nella stupenda serie delle “Demolizioni”, egli si scaglia, infatti, contro i guasti provocati dall’urbanistica fascista.
Alla “Scuola di Roma”, aderiranno poi giovani e promettenti artisti come Corrado Cagli (Ancona 1910 – Roma 1976), Giuseppe Caporossi (Roma 1900-1972), Afro Basaldella (Udine 1912 – Zurigo 1976), gli scultori Pericle Fazzini (Grottamare AP, 1913 – Roma 1987) e Mirko Basaldella (Udine, 1910 – Cambridge USA, 1969) e soprattutto Renato Guttuso (Bagheria 1911 – Roma 1987) che assumerà subito una chiara e lucida posizione di rivolta.
La “Fucilazione in campagna” (vedi foto), ispirata all’assassinio di Federico Garcìa Lorca da parte dei fascisti spagnoli, e la “Fuga dall’Etna”, denuncia della tragica condizione degli emigranti meridionali, chiariscono la natura politica dell’opposizione di Guttuso.

FUCILAZIONE DI CAMPAGNA (1939)
Renato Guttuso (1911 – 1987)
Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma
Olio su tela CM 100 x 75 
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Al gruppo di “Corrente”, infine, si collegano il più grande scultore del secolo scorso, Giacomo Manzù (Bergamo 1908 – Roma 1991) e i pittori Aligi Sassu (Milano 1912 – Majorca 2000), Giuseppe Migneco (Messina 1908 – Milano 1997), Bruno Cassinari (Piacenza 1912 – Milano 1992). Va detto che anche per “Corrente” la protesta politica (in special modo per le imprese fasciste in Spagna nel 1936) costituì l’elemento di unità e di coerenza, qualificandone l’espressione artistica. Vanno infine ricordati gli apporti che alla pittura europea e mondiale dettero alcuni artisti italiani operanti in quella autentica capitale della cultura che era Parigi. Nell’ambito della “Ecole de Paris” – che negli anni Venti è una specie di “borsa” dei valori pittorici cui presiedono i tre “mostri sacri”, Matisse, Braque, Pablo Picasso  – emergono il grande talento di Amedeo Modigliani (1884-1920), l’arte delicata di Filippo De Pisis (1896-1956), la solida pittura di Massimo Campigli (1895-1970).
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