LE CORBUSIER (MODULOR) – Il più grande architetto del Novecento

 Le Corbusier, pseudonimo di Charles Edouard Jeanneret-Gris (La Chaux-de-Fonds, 6 ottobre 1887 – Roquebrune-Cap-Martin, 27 agosto 1965), il più grande architetto realizza compiutamente le sue idee. Emergono da queste sue opere le indicazioni per la città del futuro.

   

La mano aperta di Chandigarh

La mano aperta di Chandigarh (1), il grande monumento concepito per il Campidoglio, “ruoterà su un albero a sfere, non per sottolineare l’incertezza delle idee, ma per indicare simbolicamente la direzione del vento (il mutare delle condizioni) …”.

Un’idea nata a Parigi nel 1948 “a seguito delle preoccupazioni e dei dubbi interni sorti dalla sensazione angosciosa delle disarmonie che dividono gli uomini così sovente e ne fanno dei nemici”.

A questa silhouette Le Corbusier affida il compito di simboleggiare la sua fiducia nell’uomo e nelle sue possibilità razionali; ed essa aperta di fronte a l’Himalaya, sembra riassumere con un’opera concepita al di là di ogni circostanza storica e ambientale una vita di studio dedicata alla architettura moderna.

Una vastissima letteratura ha accompagnato il lavoro del maestro; polemiche, discussioni, contrarietà, unite a una instancabile attività di divulgazione delle proprie formule e delle tesi del movimento moderno, hanno reso ormai tanto popolare il suo nome da poterlo assumere come simbolo di una certa cultura urbanistica e architettonica avanzata a partire dalla fine della prima guerra mondiale.

Questa è la ragione per cui, ben consapevoli della impossibilità di descrivere e qualificare in poche righe un ventennio di cultura architettonica del dopoguerra, ho preferito scegliere un discorso su una personalità che ha fatto storia, e tanto significativa da proporre continuamente materia di riflessione per il futuro della cultura architettonica ed urbanistica.

L’esposizione dell’opera di Le Corbusier tenutasi a Palazzo Strozzi nel 1963, ci ha fornito una visione più completa della sua personalità mettendo in rilievo la sua versatilità non solo di architetto ma di pittore, grafico e scultore, e dando modo di constatare quanto per lui sia vera e autentica quella “Sintesi delle arti maggiori” per la quale nei 1944 aveva lanciato un appello nel giornale “Volontè”.

Questa sua vocazione alla globalità e all’integrazione dei mezzi di espressione viene completata dalla sua opera di scrittore e di matematico. Proprio per questa sua attività di teorico e teorizzatore dei principi dell’Architettura moderna si è voluto più volte avvicinare Le Corbusier ai trattatisti del Rinascimento e come questi, si è detto, alla base del suo pensiero vi era il principio di creare per mezzo dell’architettura e dell’urbanistica un ambiente determinante per lo sviluppo di una società più evoluta e felice.

“In quest’ora di travagli (scritto durante l’occupazione 1943), si ritorna ai principi stessi costitutivi dell’uomo e del suo ambiente. L’uomo considerato come una biologia, valore psico-fisiologico, l’ambiente esplorato a nuovo nella sua essenza permanente: e questa sarà la natura… Ritrovare la legge di natura. E considerare l’uomo ed il suo ambiente, – l’uomo fondamentale e la natura profonda”.

Alla luce di questa visione naturalista della vita dell’uomo, vanno interpretati i suoi principi urbanistici e architettonici attraverso i quali risolve i bisogni e i problemi di una civiltà dell’età macchinistica.

Questo filone è possibile ritrovarlo a partire dal suo primo progetto urbanistico: “Une ville contemporaine” a quello più recente per una città reale e costruita: Chandigarh, la capitale del Punjab in India.

Difficile quindi dividere in due parti l’attività di Le Corbusier: quella anteguerra e quella comprendente le opere del ventennio del dopoguerra poichè in queste viene data forma ed espressione a idee e principi generalizzati, maturati in precedenza, di cui oggi comprendiamo la preveggenza sia pure nella tipica astrattezza della espressione.

Per esempio quando nel 1932 scriveva “Proprietà sterile”: “quando ogni fenomeno naturale non è che un movimento ininterrotto, circolazione, sviluppo, cielo, ecc. regolarità ed armonia, l’attività contemporanea vede i suoi obbiettivi resi vani dall’instaurazione paziente, lunga, secolare della sterile proprietà.

Io ho sempre avuto un grande terrore di parlare, di giudicare le cose che ignoro. Mai ho pensato di dover discutere di economia generale, nè di politica.

Oggi sono i miei doveri professionali che mi mettono di fronte all’ostacolo: la proprietà sterile …”.

E nella contropagina della ristampa 1984 del suo libro “La ville radieuse” dedicato alla divulgazione delle sue teorie urbanistiche scrive in grandi caratteri:

D E C I S I O N E

Liberare il suolo per ragioni di utilità pubblica

La sua teoria sulle “tre condizioni umane”: l’unità agricola, la città lineare industriale, la città radiocentrica degli scambi, la teoria della città concepita come una macchina per abitare ad alta densità di popolazione, rappresentano un tentativo per tradurre con linguaggio urbanistico l’esigenza di annullare il contrasto tra città e campagna modificandone i rapporti attraverso l’impiego delle moderne infrastrutture necessarie alla società macchinistica.

Ma Le Corbusier non é stato un uomo politico, come risulta dal passo in precedenza riportato, al contrario, egli al terzo congresso del C.I.A.M. del 1930 a Bruxelles esortava con molta chiarezza i colleghi a non voler discutere di politica, sociologia ed economia, problemi per i quali l’architetto non ha la qualifica necessaria.

D’altra parie l’elemento utopistico del pensiero di Le Corbusier e per altro verso dell’altro grande architetto della nostra epoca F. L. Wright si manifesta quando egli presume di poter veramente creare le condizioni ideali per la vita dell’uomo della società industriale attraverso la ristrutturazione dell’ambiente fisico.

Così quando l’idea si scontra con le molteplici inevitabili e complesse esigenze umane, sociali ed economiche, i1 risultato è un monumento di straordinario valore architettonico come l’Unité a Marsiglia o Chandigarh, ma sorgono le difficoltà, i contrasti e le polemiche.

   

L’Unité d’habitation – Marsiglia

 L’idea dell’Unité d’habitation va ricercata lontano nel primo progetta di una città ideale per tre milioni di abitanti: “une ville cantemporaine” che Le Corbusier esponeva nel 1922 al Salon d’Automne.

Qui la morfologia urbana, sia pure nella forma schematica di uno studio teorico, propone gli sviluppi successivi del “Plan Voisin” per il centro di Parigi del 1925: e del piano di Anversa del 1933. La tipologia edilizia, metodologicamente definita assieme alla morfologia della città, verrà sempre meglio chiarita e approfondita.

Al centro grattacieli a croce per uffici ed attività commerciali a forte densità edilizia, nella zona intermedia case “à redents”; nastro continuo a forme grecate variamente componibili; ed infine “l’immeuble villas” dove, come si è detto, si può ricevere la primitiva idea delle future Unités. Esso comprendeva 120 alloggi, servizi comuni, portineria, solarium, terrazza, giardino e un negozio alimentare cooperativo.

  

Plan Voisin –  Parigi

Nel 1944 nella serie di proposte che Le Corbusier avanza per affrontare l’urgenza dei problemi posti dalle distruzioni belliche, troviamo “les Unités d’habitations transitoires”; ma si tratta ancora di edifici a due piani benchè in essi compaiano alcuni di quelli che saranno gli elementi tipici de “l’Unité d’habitation de grandeur conforme” e cioè: l’alloggio duplex, la strada interna, il brise soleil, i servizi e le attrezzature comuni, un numero di cellule adeguato al mantenimento dei servizi.

Finalmente nel 1947 Le Corbusier riceve l’incarico dal Ministero per l’Urbanistica e la Ricostruzione di tentare a Marsiglia la prima esperienza alla quale applicare i principi architettonici che sino allora aveva elaborato e divulgato: copertura a terrazzo attrezzata per gli sport e lo svago, facciata libera, volume del fabbricato sospeso su pilotis ed in conseguenza area al piano terreno utilizzabile al 100 %.

Le Corbusier afferma che all’origine di tutto ciò vi é un suo viaggio alla Certosa di Ema in Toscana, effettuato nel 1907: gli apparve allora possibile trasportare ai tempi odierni l’armonia elaborata mille anni avanti implicante l’indissolubilità del binomio “individuo-collettività”.

Perciò l’Unité va vista nel contesto dei principi urbanistici che Le Corbusier sosteneva per la “Città Verde” e cioè: complesso di unità di abitazione costituenti un insieme autosufficiente, separazione della circolazione delle automobili da quella dei pedoni, costituzione di centri amministrativi e di affari.

La concentrazione dei volumi in edifici di grande altezza, la liberazione dei piani terreni delle case sospese su pilastri isolati, avrebbero dotato la città di un parca libero, ininterrotto, a piena disposizione dei pedoni.

Nel concepire l’Unité di Marsiglia Le Corbusier aveva pensato alla prefabbricazione integrale di ogni cellula di abitazione, da infilarsi nella struttura di cemento armato come un cassetto in un mobile.

La cellula di Marsiglia è un elemento completo in se stesso, indifferente al terreno o alle fondazioni o al tipo di ossatura nel quale viene inserito. Le Corbusier la assimila a una bottiglia perfettamente contenuta in uno scaffale.

“Queste bottiglie, dice, potranno un giorno essere fabbricate di un solo pezzo in officina, in elementi separati, successivamente montate a piè d’opera e attraverso mezzi efficaci di sollevamento, esser collocate ad una ad una nella ossatura”.

  

Modulor

 Non si può parlare dell’Unité senza il “Modulor”, lo strumento matematico, di progettazione attraverso il quale é stata disegnata l’Unité.

Di esso Einstein scrisse nel 1946 dopo un incontro con Le Corbusier a Princetown: “E’ una gamma di dimensioni che rende complicato far male e facile far bene”. Esso si esprime graficamente attraverso una scala di valori, in rapporto di sezione aurea, che caratterizzano l’ingombro nella spazio di un uomo alto sei piedi.

I tre valori fondamentali espressi in centimetri danno quindi luogo a due serie di numeri dette serie rossa e serie bleu, attraverso le quali ogni disegno risulta rapportato alla dimensione umana.

Il Modulor vuole inoltre essere una mediazione tra il sistema metrico decimale che rappresenta un’astrazione, ed il sistema inglese del piede, che risulta più legata a rapporti umani ma di utilizzazione più complessa.

A Marsiglia, a Nantes, in altre sue opere, Le Corbusier ha inserito rappresentazioni grafiche o plastiche del Modulor che diviene così simbolo del confronto con la misura umana, estesa ad ogni possibile significato, che Le Corbusier pone alla base del suo lavoro.

L’Unité di Marsiglia rappresenta senza dubbio un successo architettonico ed una esperienza insostituibile, ma pare un fallimento dal punto di vista economico e sociologico.

Tanto che nelle Unités successivamente costruite a Nantes nel 1952 ed a Berlino in occasione dell’interbau del 1957 – dovette rinunciare ai servizi comuni a metà altezza, ma con rincrescimento, forzato “dall’economia di un bilancio e da una legislazione”. Egli così sembra non rendersi conto che l’aver cristallizzato in un episodio architettonico uno schema funzionale, può non corrispondere alle effettive esigenze dei cittadini.

La sollecitudine per i bisogni umani, la cura per il focolare che egli teorizza, si traduce alla fine in un atto di autorità dell’architetto che avoca a sé ogni decisione togliendo all’utente la libertà di scelta.

Del resto una sola Unité, separata da un complesso urbano omogeneo, che vorrebbe riassumere nel momento architettonico ogni stadio della pianificazione urbanistica, non può che rappresentare una astrazione.

Non diversamente che a Marsiglia, a Chandigarh Le Corbusier dà corpo a teorie già compiutamente elaborate in lunghi, anni di studio, tanto che assieme ai suoi collaboratori, gli inglesi Maxwell-Fry e J. Drew e il cugino P. Jeanneret riesce a dare il piano urbanistico in solo sei settimane.

Si tratta di progettare e sovrintendere alla costruzione della capitale del Punjab prevista per 150.000 abitanti ma ampliabile fino a 500.000.

Il tracciato è concepito sulla base della regola delle 7 vie, elaborata negli anni di studio del dopoguerra. E’ un sistema urbanistico che 7 ordini di strade con diversa funzione gerarchicamente individuata irrigano, come “il sistema sanguigno o linfatico portano nutrimento al tessuto biologico”.

Ne consegue un sistema ortogonale che dà luogo a settori rettangolari dedicati alla residenza. Assoluta la separazione del traffico veloce da quello lento o urbano e di questo da quello pedonale che si svolge in mezzo al verde-continuo.

A un margine della città è collocato il Campidoglio, nel quale sorgono la residenza del governatore, gli edifici ministeriali, per il Parlamento e l’amministrazione della giustizia, architetture emozionanti progettate dallo stesso Le Corbusier. Nella valle detta “Vallée des Loisirs” tutte le attrezzature dello svago e del tempo libero; la zona commerciale e gli edifici per le attività culturali si snodano come una spina dorsale lungo uno degli assi della città.

Si tratta con tutta evidenza di uno schema estremamente razionale per tradurre il quale in risultati architettonici viene assunto come parametro fondamentale quello del clima. Le Corbusier si preoccupa perciò di costruirsi una “Griglia dei clima”, che gli consente di inquadrare ogni problema in una serie di casi previsti; tratta le coperture dei suoi edifici come problemi idraulici ed estende il “brise soleil” a tutta la facciata considerando quello dell’ombreggiamento come il problema numero uno.

   

Le Corbusier – Chandigarh – Haute Cour de Chandigarh – 1951

Ma l’idea urbanistica, ritenuta capace di migliorare la vita dell’uomo e l’uomo stesso attraverso una ristrutturazione dell’ambiente fisico, non incide minimamente a Chandigarh sull’evoluzione sociale.

Al contrario, a Le Corbusier serve ottimamente il fatto che la società indiana sia suddivisa in 13 classi sociali, per ordinare in modo conforme i suoi settori verificando così una classificazione funzionale. Egli stesso disegna la casa dei paria con un bellissimo progetto che malamente viene parafrasato dai suoi collaboratori nella restante edilizia.

Tentare un giudizio su Chandigarh mentre l’esperimento è ancora, si può dire, in fase di realizzazione, e senza un’esperienza visiva diretta, è per lo meno azzardato; tuttavia dalle poche cose che qui si è detto sul Maestro e dal confronto con l’attuale problematica sulla configurazione della città è forse possibile trarre i primi elementi per un giudizio.

Il fatto che Le Corbusier non si sia preoccupato dell’aspetto sociale, economico e politico fa parte di una sua posizione professionale dichiarata molto apertamente a suo tempo. Ma in tutti i suoi progetti per città ideali o reali, traspariva l’insoddisfazione per le situazioni esistenti e la fiducia nell’uomo che, collocato in un ambiente ristrutturato, avrebbe saputo creare i mezzi per la propria emancipazione e civiltà.

A Chandigarh questa preoccupazione non appare ma tutto sembra dover rientrare in uno schema inattaccabile costruito sulla base della razionalizzazione e classificazione delle funzioni e della consapevolezza dei parametri naturalistici.

A questo punto si pongono tre ordini di problemi assai importanti ai quali certo non si vuol dare soluzione col presente scritto:

a) quali sono le possibilità metodologiche per un salto qualitativo che consenta di pervenire al “disegno della città” superando il metodo della razionalizzazione delle funzioni?

b) tenuto conto che Le Corbusier nel corso della sua maturazione ha man mano abbandonato i rigidi principi del funzionalismo per divenire sempre più un ‘umanista’ (nel senso che le sue opere di architettura si sono andate vieppiù adeguando ad un canone astratto, ideale), in che misura nell’ordine di Chandigarh ha giocato il momento dell’intuizione a scapito del metodo conoscitivo sistematico?

c) ammesso, come ammette la critica moderna, che il “disegno della città” sia espressione d’arte (e tale è possibile che sia a Chandigarh se il tutto è coerente con le stupende architetture del Campidoglio); e che l’arte sia il momento fermale della storia, sino a che punto è possibile la trasfusione della storia e della cultura di Le Corbusier (proprio perchè ‘umanista’ radicato nella tradizione europea) nella storia e nella cultura indiana?

In altri termini ciò che é vitale per la nostra cultura perchè fa storia, può essere altrettanto stimolante per gli indiani o al contrario essere al di fuori di un “tempo” che agisce in un certo “spazio” per cui mancherebbe uno dei termini essenziali della struttura di una società?

Non si tradurrebbe in questo caso una architettura in un atto di autorità, mancandogli quel termine essenziale di libertà che è funzione di un “tempo” storicamente inteso?

La risposta a questi interrogativi presuppone un ulteriore approfondimento per verificare se il caso di Chandigarh non rappresenti un’utopia fatta pietra e cemento, un’occasione comunque e dovunque colta dal Maestro per dar corpo a una sua visione dell’urbanistica precorritrice della sua città futura.

  

Palace of Assembly – Chandigarh

   

NOTE

(1) – Chandigarh, è una città dell’India settentrionale di 810.000 abitanti, che allo stesso tempo funge da capitale di due stati, Punjab e Haryana, ma ne è amministrativamente indipendente rispondendo direttamente al governo centrale, avendo lo status di territorio (Union Territory of Chandigarh). In base al numero di abitanti la città rientra nella classe I (da 100.000 persone in su).

Chandigarh sorge ai piedi della catena sub-himalayana dei monti Shivalik e si trova tra gli stati di Haryana a sud e Punjab a nord, ed è molto vicino al confine con l’Himachal Pradesh, ad est.

È nota per essere una delle città più ricche e belle dell’India tanto da meritare l’appellativo di “The City Beautiful”. Il suo nome significa “il forte di Chandi”, che è una dea il cui tempio si trova nel vicino distretto di Panchkula, nell’Haryana.

Il grande architetto Le Corbusier ne ha curato il piano urbanistico che ha ridisegnato la città negli anni cinquanta e vi ha progettato molti edifici pubblici, tanto che si può affermare che Chandigarh ha la più grande concentrazione di opere di Le Corbusier al mondo.

Tra le attrattive turistiche della città, il celebre Giardino delle pietre di Nek Chand e nei pressi la regione del lago Sukhna, paradiso dell’avifauna.

  

Chandighar – Palazzi di Le Corbusier (File originale in Passaggio in India)
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