ODISSEA – Riassunto e commento 11° libro

ODISSEA

IL VIAGGIO NELL’AVERNO
L’INDOVINO TIRESIA
LA MADRE ANTICLÈA
L’OMBRA DI ACHILLE
 L’OMBRA DI AIACE

LIBRO XI

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Tempo: Trentatreesimo giorno dall’inizio del poema. Azione raccontata ad Alcinoo
Luoghi dell’azione raccontata: Isola di Eea. Ade

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NEL LIBRO PRECEDENTE

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Ulisse approda all’isola di Eolo, il re dei venti, e dopo un mese, congedandosene, riceve in dono un otre contenente tutti i venti meno Zefiro.
I compagni però, incuriositi, aprono l’otre dal quale escono i venti che risospingono la nave all’Eolia; Eolo tuttavia scaccia questa volta Ulisse, ritenendolo in odio agli Dei. La tappa seguente è alla terra dei Lestrigoni, feroci cannibali, dai quali l’Itacese riesce a salvare una sola nave e quarantacinque compagni. Ed eccoli ad Eea, l’isola di Circe; la maga con beveraggi e con la sua bacchetta trasforma in porci i compagni che Ulisse ha mandato in esplorazione, ma l’eroe avvertito da Euriloco, che è sfuggito all’incantesimo ed aiutato da Mercurio, ha il sopravvento sulle magie di Circe che innamoratasi di lui lo tiene ospite per un anno. Quindi la nostalgia della patria fa che i compagni inducano Ulisse alla partenza; ma la maga lo avverte che prima dovrà andare all’Ade, per interrogare Tiresia. Si parte: manca solo Elpenore, che salito ubriaco sul tetto, ne era precipitato ammazzandosi.
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Partito dall’isola Eea Ulisse raggiunge il paese dei Cimmeri e si dirige all’ingresso dell’Ade. Scavata quindi una fossa vi versa vino, miele, acqua e asperge il tutto di farina bianca. Pregate quindi le anime dei morti sgozza sulla fossa le vittime e vi fa colare dentro il sangue.
Ed ecco che gridando ed emergendo dalle buie profondità le anime dei morti si affollano intorno alla fossa, ma l’eroe le tiene lontane, ché cosi gli è stato ingiunto di fare, finché appaia l’ombra di Tiresia. Si mostra anche Elpenore, che ancora si trova nel vestibolo dell’Ade perché insepolto, e dopo aver raccontato ad Ulisse i particolari della sua triste fine, Io prega di seppellirlo, quando ritornerà da Circe.
Si fa quindi innanzi Tiresia, il vate tebano che regge lo scettro d’oro; chiede ad Ulisse il perché di quel suo viaggio all’Averno e quindi, bevuto il sangue della fossa, gli predice il futuro. Nettuno contrasterà ancora il suo ritorno, a causa del ferimento di Polifemo; giunto in Trinacria si ricordi di non toccare i buoi del Sole, altrimenti arriverà ad Itaca senza un solo compagno e su nave straniera. In patria Io attende l’arroganza dei Proci, ma egli ne avrà facilmente ragione; dopo, tuttavia, dovrà rimettersi in mare e giunto ad una terra dove un remo sulla sua spalla verrà scambiato per una pala, ivi pianti quel remo e sacrifichi agli Dei i a Nettuno in particolare. Infine ritorni pure alla sua terra, dove vivrà felice.
Ulisse domanda poi a Tiresia come mai la madre sua Anticlea, ch’egli ha intravvisto fra le ombre, non gli rivolga lo sguardo e la parola e il vate Io esorta a lasciarla bere di quel sangue che le permetterà di riconoscerlo. Cosi avviene; Anticlea gli chiede delle sue peripezie e gli racconta della fedeltà di Penelope, di Telemaco del vecchio padre Laerte, della sua morte di consunzione per la lontananza del figlio. Ulisse vorrebbe abbracciarla, ma per tre volte l’ombra gli sfugge all’abbraccio come nebbia.
Si presentano quindi le antiche eroine, figlie e mogli di re, le quali espongono i casi della loro vita; tra le altre Tiro, Antiope, Alcmena, Leda ed Arianna.
Dopo le eroine, per espresso desiderio del suo ospite, Ulisse racconta ad Alcinoo dell’apparizione di eroi greci. E nel racconto dell’Itacese rivive la tragedia di Agamennone, al suo ritorno in patria, quando fu ucciso per mano della moglie Clitennestra e del suo complice Egisto.
Appare quindi anche l’ombra di Achille, che pure nel regno dei morti conserva un certo prestigio sulle altre ombre; l’eroe però rimpiange la vita, si duole ancora della sua morte prematura e si rallegra solo alla notizia che il figlio Pirro s’è comportato da eroe nella presa di Troia.
Ed ecco Aiace Telamonio, che tuttavia se ne sta solingo e disdegnoso, giacché ancora cova nell’animo per l’Itacese il vecchio rancore per essergli stato posposto nell’assegnazione delle armi di Achille.
Altre ombre appaiono quindi ad Ulisse: Minosse che sta amministrando la giustizia, Orione, Tizio, Tantalo e Sisifo che scontano le loro durissime pene ed infine Ercole, tremendo anche nell’Ade, che sta saettando tra le urla delle ombre sgomente.
Ad un tratto un grande frastuono, causato da anime che si radunano, impaurisce Ulisse, che torna tosto alla spiaggia e salpa verso l’isola della maga Circe.
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COMMENTO – Il canto XI è tra i più famosi del poema oltre che dei più belli ed originali. Basti pensare che ad esso si ispirò la poesia dell’oltretomba di tutti i tempi, dal latino Virgilio al nostro Dante.
La scena s’apre su di un’orrida visione d’assieme: nel freddo buio del vestibolo dell’Ade, tra il  sinistro scrosciare dei fiumi infernali e i vapori del sangue delle vittime scannate, appaiono le anime confuse dei morti, assetate di quel sangue che vale a destare in esse l’illusione e il ricordo della vita irrimediabilmente perduta.
Non c’è distinzione di sessi, di età, di categorie sociali, ché la Morte è veramente cieca ed imparziale; c’è solo in tutte le ombre l’intima e infinita tristezza del distacco dalla vita.
Cosi in Elpenore che anela alla tomba, ma anche a un segno che lo ricordi ai posteri, destinato com’è ad essere sepolto lontano dalla patria; cosi in Agamennone che resta legato alla vita da un odio implacabile, che non ammette perdono o dimenticanza. Cosi in Achille, non più l’Achille del primo poema, votato alla gloria e incurante di una esistenza effimera, ma stranamente crucciato per la perdita della vita, di cui solo dopo morto pare abbia capito il profondo valore. Un Achille legato alla vita e al regno della luce anche dall’esempio del suo eroismo che si perpetua nel figliolo Neottolemo, unico conforto alla sua anima, tristemente sopravvissuta.
Cosi, infine, in Aiace che, pur essendosi suicidato, non ha potuto col suo gesto eliminare lo sdegno per la mancata assegnazione delle armi divine. Uno sdegno che rimane intatto e fa di quest’ombra, già torre incrollabile fra i vivi, non un fievole vento dalle fattezze umane, ma una massiccia statua di inconfondibile fisionomia.
Soltanto Anticlea, la buona, la dolce e soave Anticlea, sembra ricordarsi della vita per compiacere al figliolo ritrovato; e lo informa della fedeltà di Penelope, di Laerte vivo infelice, di Telemaco, della sua casa. Il passo, pieno di trepida tenerezza e amorosa pietà, sembra accogliere in sé tutta la possibile poesia della maternità e per un momento la morte, che ha permesso quest’incontro tra madre e figlio, non appare più cosi severa, anche se l’inutile abbraccio, alla line dell’episodio, richiama ad una realtà più triste e piri dura.
La profezia di Tiresia, motivo determinante del viaggio nello schema logico degli avvenimenti, passa cosi in secondo piano nella scala dei valori poetici, anche se il vaticinio vibra, verso la fine, di un suo accento patetico e di una serena promessa ad Ulisse: un placido tramonto nell’affannosa giornata della sua vita.
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